Cronache del dopobomba 3: Milan-Cagliari 2-0. Reportage dal deserto

Diceva un fortunato idolo dei teenager: “Non può piovere per sempre”. Sarà.

Arrivati allo stadio in placido orario, la convinzione collettiva è: dai oh, non scherziamo, tre di fila in casa non si possono perdere, che cazzo. Eh? No no.

I primi sei minuti rafforzano questa sensazione nei 30mila scarsi presenti in un S.Siro desolatamente (e ormai stabilmente) vuoto: pressing, ripartenze, triangolazioni, tiri. La gente si lucida gli occhi e inizia a vaneggiare. Sembra il Milan di Sacchi. Non vedevo scendere uno così sulla fascia dai tempi di Maldera III. Montolivo non è poi così pessimo. Non se la cava niente male quello lì (…sarebbe Traorè).

E queste due sono ovviamente le più grosse.

Il gol del Faraone, logica conclusione di un quarto d’ora giocato alla garibaldina, viene accolto con la stessa enfasi con cui le Piazze italiane accolsero 1) la proclamazione dell’Impero e 2) il gol di Tardelli nel 1982. Adesso li mettiamo sotto, adesso si va di goleada. Ora sì che si ragiona. Facciamo la ola.

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Peccato che da lì in poi il temibile Cagliari, una delle tre-quattro squadre oggettivamente più scarse mai viste a S.Siro da quando hanno introdotto la regola del fuorigioco, si trasformi nella Honved di Puskas riportando tutti alla dura realtà. Facciamo cagare.

Mai, a memoria d’uomo, il Milan ha messo in campo così tanta pochezza. Uno dice, e i tempi di Farina? No, ma dammelo tu Evani. Non dico nemmeno il Capitano giovane, che non è il caso di essere blasfemi. Ma Verza, Filippo Galli, almeno Scarnecchia, che prima di candidarsi col PSDI i cross li sapeva fare.

Invece da noi i cross li mette solo De Sciglio, che scopriamo di colpo essere un’Iraddiddio (e che vogliamo titolare FISSO). Il pueblo lo adora e adora la sfrontatezza di El Sharaawy, che in pratica tiene in piedi da solo tutto l’attacco rossonero.

Sul resto, notte fonda.

Mexes, ormai lanciato nel ruolo di sosia di Lars Frederiksen dei Rancid, si impegna in tutti  i modi, per fortuna inutilmente, per far segnare il Cagliari. Il centrocampo De Jong, Traorè, Montolivo, Emanuelson sembra tagliato con l’accetta da un boscaiolo del Canadà tanto è la pochezza tecnica. Pazzini è solo, come il pastore errante dell’Asia.

In una sorta di transfert emozionale, uno capisce cosa prova lo spettatore medio di una squadra da mezza classifica. Ansia perenne, la sensazione costante che il disastro sia dietro l’angolo, l’entusiasmo fugace per un passaggio riuscito, un tiro in porta, qualcosa che possa vagamente essere definito calcio. Uff, che fatica. Ma quanto manca?

Per fortuna il Pazzo fa la cosa giusta al momento giusto della sua inutile partita, cioè fa espellere Conti, radendo al suolo le velleità sarde. Santo Ambrosini e il Faraone fanno il resto. Sospiro di sollievo. Si va a casa sapendo che il 7 c’è il derby. Ma c’è tempo per pensarci.

Intanto buona la terza. Anche se la quarta sarebbe meglio, come direbbe Russ Meyer.

3 Risposte a “Cronache del dopobomba 3: Milan-Cagliari 2-0. Reportage dal deserto”

  1. En passant, Roberto Scarnecchia oltre a essersi candidato con manifesti elettorali in cui i due figli avevano uno la maglia del Milan uno quella dell’inter, è il primo marito della attuale moglie di Beppe Grillo.
    La vita è affascinante, no?

  2. Bonera è un giocatore primi anni Sessanta, sia per la velocità sia per il portamento. Non lo dice mai nessuno e io ci tengo a ribadirlo. Lì in mezzo, lui e la zia mesciata (non so scriverlo) e crestata sono inguardabili.
    D’accordissimo sul fatto che il Milan di Farina fosse molto più forte

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