(di Max Bondino)
Il mio mondo è un posto curioso. Tanti suoni, molti silenzi, qualche ronzio. Ma è esattamente lì, fra una voce e un colpo di cassa che è custodito quasi tutto quello che sono e dove trovo ciò che, davvero, mi serve. Da quando la musica è diventata “liquida” tutti hanno più confidenza con le forme d’onda. Le vedono scorrere, sui player, rappresentazioni grafiche del suono con i suoi picchi, le curve che raccontano il viaggio di ciò che si sta ascoltando. Nel mio lavoro si passano molte ore ad osservarle, modificarle. Se zoomate, in maniera estrema, scoprirete che prima di un colpo di cassa, c’è sempre un vuoto dove il silenzio è solo apparente. Ascoltando in loop quei millisecondi, ecco il ronzio. Mi sono rifugiato lì, fra la voce e il drop (quel momento in cui una canzone esplode in tutto il suo fragore). Al sicuro da tutte le voci, ascoltate dopo l’ultima, brutta, giornata di campionato, trasformandole proprio in quel ronzio che è il preludio verso qualcosa di parecchio più grande. Un rituale. E si sa, ogni liturgia ha i suoi tempi, arrivo così a San Siro con un’ora abbondante di anticipo e scopro, senza troppo stupore, che gran parte della Milano rossonera ha fatto altrettanto. Perché come predicano i Faithless (capaci come pochi altri di trasformare i loro live in riti pagani): “This is my church, this is where I heal my hurts”. È qui, con la mia gente e la nostra storia che vengo a curare tutte le mie ferite.
Al Tempio, passato, presente e futuro si allineano per poi girare vorticosamente su loro stessi, un loop che diventa vortice e mi ritrovo, con vent’anni in più sulle ginocchia a cantare, all’improvviso, ancora per Sandro Nesta e Clarence Seedorf, entrambi lì a bordocampo a raccontare a tutti, in diretta, cosa siamo. Non esistono linee temporali ma solo l’AC Milan di Milano. E a proposito di tempo, in Champions scorre diversamente, è incredibilmente più denso. Lo dimostrano i primi dieci minuti del match all’interno dei quali c’è adrenalina per riempire un’intera partita di Serie A. Già al terzo minuto con Theo (per il quale andrebbe ormai coniata una nuova definizione di ruolo) che scheggia il palo alla prima incursione e al decimo, con l’errore di Kjaer che porta la sua versione extended “Kjaergaard” ad un rigore in movimento su cui Tomori compie un gesto di una bellezza ammorbante. Tutta l’aria in zona San Siro viene risucchiata nei polmoni dei 75mila presenti, si crea il vuoto assoluto mentre Fikayo si lancia in scivolata a stoppare il tiro. Dopo l’impatto, nel boato generato da tutto quell’azoto restituito all’unisono sembra di sentire l’eco di un “SandroNestAlè”. L’evocazione nel prepartita ha dato i suoi frutti.
In mezzo a questi due episodi, il Salisburgo esasperato ed esasperante che abbiamo conosciuto all’andata. Una squadra di ragazzini tachicardici, spot vivente del marchio RedBull che indossano. Nel tentativo di sincronizzarci coi loro ritmi altissimi commettiamo qualche errore di troppo ma come dice Maxi Jazz in “Take the long way home”: There are things I know beyond knowing, they’re growing”. Ci sono cose che si imparano ben oltre la consapevolezza, crescono e maturano dentro, spontaneamente. E il Milan cresce, come ha sempre fatto da quando Paolo Maldini lo ha ripreso per mano. E al 13esimo lo fa in modo inaspettato, quando un calcio d’angolo (che di solito usiamo come break per inviare foto agli amici) si trasforma nell’1-0 nel modo più semplice e bello, come insegnano ai bimbi nelle scuole calcio. Palla messa bene in mezzo da Tonali e colpo di testa di Giroud. Eccolo il “drop” di San Siro che stavo aspettando. Sono fuori da quel ronzio, è finita l’attesa, ora si balla.
Ad esser sinceri un po’ ci fan ballare anche loro, danno la sensazione di poter arrivare sempre con facilità al tiro ma noi altrettanto e per qualunque cristiano che non sia coinvolto emotivamente, dev’esser senz’altro un gran belvedere. Il pressing altissimo del Salisburgo, visto allo stadio, è quasi grottesco ai miei occhi. Questi vivono letteralmente nella nostra metà campo a prescindere che debbano attaccare o difendere e se hai davanti due come Leao e Theo, è come grattare all’improvviso la pancia a un gatto e pretendere di uscirne senza graffi. Al 25esimo Rafa tiene palla a centrocampo e serve Theo lanciato nei loro 50 metri fino a poco prima occupati solo dal portiere. Cavalcata e respinta di Kohn che Giroud insacca, annullato per fuorigioco di una rotula, praticamente. Si resta in ortopedia anche in difesa, allo scadere, con una parata di menisco di Tatarusanu su tentativo ravvicinato di Adamu, non stilisticamente bellissima da vedere ma efficace.
Il Milan rientra con un po’ di ritardo nel secondo tempo, lasciando il Salisburgo schierato in campo da solo ad attenderci, per almeno un paio di minuti. Ce ne serve meno di uno però, per far capire agli austriaci che sono invitati ad una festa che non è la loro. Quando Rebic crossa dalla destra, Dido canta: “Your love is on a grand scale, mine is in the detail”. Sono ormai infiniti i dettagli della storia d’amore fra il popolo rossonero ed Olivier Giroud che, dal suo arrivo, non ha mai sbagliato una parola, un’intervista, così come una scelta di gioco, quando è in campo, quando davvero contano le scelte che uno fa. Anche stavolta, accorgendosi che il pallone di Rebic non è perfetto per esser girato in porta, decide di renderlo tale per Krunic con un assist di testa magistrale. Rade deve solo metterci la fronte e andare sotto la Sud a prendersi l’ovazione che merita, il più casciavìt della nostra rosa.
Dopo aver augurato ogni bene al Salisburgo per il suo futuro in Europa League, è il momento di far spegnere la tv ai gufi sul divano. Ci pensa ancora Giroud, dieci minuti dopo ma l’occhio di bue, in questa azione illumina solo Rafa Leao che quasi inconsapevole del suo strapotere fisico, nel tentativo di trovare spiragli per il tiro dove non ce ne sono, circumnaviga tutta la loro area saltando qualunque essere umano nel suo raggio, oltre l’istinto. Una via di mezzo fra la memoria muscolare e la trance. Dalla destra, mette palla in mezzo, la difesa del Salisburgo la sporca, lasciandola lì e ci pensa Olivier a pulirla, trasformandola in una scintilla che brucia la rete. Rafa andrà vicinissimo al goal poco più tardi, al 66esimo ma vorrei usare quest’azione per parlare di Bennacer che la inizia con una delle decine di aperture meravigliose di una partita con almeno un’altra quarantina di giocate che hanno alzato, sistematicamente, di 10db il volume di San Siro. Nella narrazione finiscono spesso in primo piano altri compagni ma con quello che fa Ismael nel corso di un match ci si potrebbe scrivere un racconto a parte, un piccolo romanzo di formazione. È diventato un giocatore semplicemente clamoroso. E il fatto che in questi giorni, la stampa, abbia accostato Jorginho al Milan spiega molto bene lo scollamento attuale dalla realtà del nuovo “giornalismo social”.
Dicevamo, il quasi-goal di Leao. Apertura di Bennacer per Theo che dalla sinistra la mette subito tesa, rasoterra, in area, Rafa irrompe e in scivolata la schianta sotto la traversa che la respinge dalla parte sbagliata della linea. Tutto ciò che accade nei seguenti 20 minuti (sostituzioni, piccoli infortuni, qualche tentativo timido degli austriaci) viene incorniciato dalla Ola che si infrangerà sul goal del di Messias nel recupero, servito nello spazio da un’altra giocata d’infinita saggezza di Giroud. Finta e tiro a giro d’ordinanza per il 4-0. L’AC Milan di Milano, Campione d’Italia torna agli ottavi di Champions League, io più umilmente, torno verso la M5. Tredici minuti di metro lilla e sono a casa. Senza togliermi la giacca cerco il telecomando e benedico i servizi streaming che ti permettono il rewind sugli eventi live. Torno al fischio finale e nel post, la prima voce è quella di Paolo Maldini e sono parole mirate, ambiziose, di grandezza. Mentre lo ascolto penso che riuscirebbe anche a convincermi che posso ancora pettinarmi.
Clarence Seedorf, si vede, guarda ancora il suo Capitano, riconosce quello sguardo. “Lo diciamo?” gli chiede.
“Io sono affamato”. Risponde Paolo.
“I’m unafraid
Never ever scared
Worries washed
Pressed air
I am the left eye
You’re the right
Would it not be madness to fight?
We come One”
All’improvviso, non abbiamo più paura. Le ansie scivolano via. Scrutiamo tutti, insieme, un orizzonte familiare. Arrendiamoci.
Siamo una cosa sola.