(di Max Bondino)
Ci siamo. Vado a San Siro col Milan nel cuore e la mia musica in testa, i battiti aumentano, il volume pure, poi mi agito, le due cose si mischiano ed esce ‘sta roba qui. Il Derby è il Derby ma questa partita, per me, è da sempre un regolamento di conti, una lotta tra bene e male. La mia personale trasposizione adulta delle battaglie sul tappeto fra cowboy e indiani lego che facevo da bambino, dove i cowboy… (poveri vaccari, che stragi). Il bello del mio rapporto con la musica è la sua capacità di raggiungermi per vie non convenzionali. In una città la trovi ovunque, nel ritmo del traffico, nelle sirene che si allontano, nei bleep ossessivi dei tornelli che si aprono, lo stridere dei freni della metro ma oggi mi si è palesata su un mare di t-shirt che continuo a vedere addosso ai teenager milanesi. La cosiddetta “Fast Fashion” ha riportato il faccione di Tupac Shakur sul petto di una generazione che, mi auguro, decida di riscoprirne anche l’arte, il genio, la filosofia.
Siamo arrivati a questa partita in maniera surreale. Il turno di Champions non ha solo obnubilato tifosi ma fornito un assist alla stampa per cucirci addosso addirittura il ruolo di sfavoriti, belle stelle che siete. La prima risposta la fornisce il nostro stadio con un messaggio in mondovisione ai dibattiti di quartiere a cui abbiamo assistito in questi giorni sulla sua demolizione. Una coreografia da 75mila spettatori, uno spettacolo monumentale che sbatte in faccia il valore di uno scudetto vero a chi è abituato a riceverli come omaggi aziendali. Theo capitano, contro la “ciufe”, è sublime: Thug Life game. Perché come diceva 2Pac: “Real eyes realize real lies”. E allora guardate bene, coi vostri occhi, le bugie che vi raccontano quando parlano del Milan. La verità è distante 90 minuti.
La simpatica squadra guidata da Allegri ha un grande superpotere attualmente, riesce a rendere brutta ogni partita a cui partecipa, per osmosi, proprio. Ci prova anche con noi e a tratti, inizialmente, ci riesce. La loro imprecisione costante rende il match il festival della palla sporca e dell’aggressività ignorante a palesare ancora di più che oltre ad esser grandi e grossi, c’è davvero poco altro. Così, dopo un diagonale di Cuadrado all’ottavo (fuori) e un tiro centrale di Milik bloccato a terra da Tatarusanu all’undicesimo, la loro partita finisce. Ed inizia una miniserie in cui Leao colpisce, in modo sempre più creativo e talentuoso, i pali. La prima volta al 19esimo, calcio d’angolo e su spizzata di Kalulu, Rafa tenta il colpo di tacco nell’area piccola: legno 1. La seconda, al 33esimo da venticinque metri, tiro a girare nell’angolo basso: legno 2. Il tutto inframmezzato al minuto 28, dal “memento” teso a non farci dimenticare contro chi stiamo giocando: scambio veloce fra Theo e Leao dal corner che porta Rafa in area a tirare sul primo palo dove c’è Vlahovic con un gomito (largo) a metterla sul fondo: tranquilli, vi conosciamo. Come già detto, la vostra partita è finita da un pezzo.
L’ultimo quarto d’ora del primo tempo è la prova tecnica di manifesta superiorità che verrà messa in pratica nella ripresa. Vinciamo ogni duello, Kalulu sbatte più porte in faccia del door selector dello Studio 54, Theo Hernandez mostra uno strapotere inumano per uno che una manciata di giorni fa era fermo per un problema muscolare, Matteo Gabbia porta a spasso Vlahovic, mentre Tonali instilla diversi dubbi in Locatelli sul suo futuro professionale. Al 35esimo, dopo un tiro di Leao ribattuto, Sandro è letteralmente uno scoglio davanti alla loro area, non riescono più a uscire, le prende tutte, palla a Bennacer che da fuori tenta la meraviglia all’incrocio, fuori di poco.
“Do everything you can to make it around the system, over the system or out the system” disse Makaveli. Avrà pensato questo Theo Hernandez a contrasto con Cuadrado facendolo volare per aria per la prima volta con un motivo valido nella sua carriera, al 44esimo, conquistando il corner. Lo battiamo male come sempre, basso ma in mischia quanto basta da offrire a Giroud la possibilità del tiro forte di sinistro che si stampa sulla pancia di Tomori in traiettoria, nell’area piccola, Fik si gira e di sinistro gonfia nell’ordine, la rete e poi il petto. Esiste un’immagine più potente, più carica di swag, di Fikayo Tomori che esulta? Da grande, se mai dovessi crescere, voglio essere come lui.
Nell’intervallo, nel caso ce ne fossimo dimenticati, l’AC Milan ci ricorda quanto sia americana la nostra proprietà con giochi di laser ed apparizione di The Rock sui maxischermi a dire “ForSa Milan” per convincerci ad andar a vederlo al cinema in un film non esattamente indimenticabile. Cuadrado ne avrebbe il tempo, visto che il secondo non lo gioca, già ammonito e con la spada portoghese a pendere sulla sua testa di riccioli. L’altra testina riccioluta che lo sostituisce, Mc Kennie, diventa subito meme al primo confronto con Rafa. È qui che si capisce il tenore della ripresa: lo scherno. Al 50esimo, dopo un’incursione di Brahim, la palla finisce a Leao che gli sosta una manciata di secondi immobile di fronte, lo sfida, senza che l’americano con le meches abbia il coraggio di avvicinarlo. Al primo scatto è già un metro e mezzo oltre e Mc Kennie si palesa in tutta la sua tenerezza, lo rincorre roteando i pugnetti, come i ragazzini di prima media bullizzati da quelli delle superiori.
But the best is yet to come. Vedete, per tutto il match a Leonardo Bonucci è stato ricordato a pieni polmoni d’esser uomo fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni (di chi, come Shakespeare, mangiava prevalentemente radici, prugne e fichi secchi) e al 53esimo riceve finalmente tutto ciò che merita. Vlahovic, spalle alla porta (esasperato da Tomori in pressing) mette una palla orizzontale, lenta, verso il centrocampo (uno di quei palloni che farebbero infartare all’istante qualunque allenatore dei pulcini), Brahim sente l’odore del sangue a venti metri di distanza e ci si fionda, intercetta, punta la porta ed è esattamente qui che la voce di 2Pac recita: “We’re made to grow, you either evolve or you disappear”. Quando Bonucci ripenserà al momento esatto in cui è finita la sua carriera, in cuor suo saprà che è accaduto mentre Diaz lo dribbla svelando agli occhi della tifoseria che più lo detesta la stessa mobilità di un chiodo nel muro. Leo Bonucci svanisce, si estingue, da sempre incapace di qualsiasi evoluzione (prima umana che atletica) mentre il nostro numero 10 continua la sua corsa, evita il tentato omicidio di Milik in scivolata e vola, dopo 50 metri, a segnare il 2-0. Eccolo, sulle spalle di Leao ad urlare: All Eyez On Me! All Eyez On Me!
Manca più di mezz’ora e Milan – Juventus è finita, gente. Allegri, sotto di due a San Siro fa cambi conservativi in vista del Maccabi Haifa. È una vittoria che trascende il campo, questa. Il goal di Brahim è il missile di Luke Skywalker nel cuore della Morte Nera. L’impero del male tornerà, accade sempre, ma in questo momento sono in pezzi, nello spazio profondo. Abituati al peggio dalla storia, una piccola parte di noi non si vuole fidare ma come ho ripetuto a tutti i miei vicini di posto: ci sono quattro goal fra noi e loro, al momento: Quattro. E lo ripeto anche voi. Infatti, l’unico rammarico di una prestazione perfetta è non seppellirli con l’occasione di Theo al 66esimo (liberato da una giocata splendida di CDK) che dopo aver scartato Szczesny si ingolosisce e tenta il pallonetto da delirio anziché servire Rebic solo in mezzo. Non lo farà neppure Origi, lanciato in solitudine al 91esimo cercando il tiro angolato per la troppa fame. Menzione per Pierino Kalulu al minuto 83 a fermare il tiro di Kean in area come Franco insegnò a Paolo e così sia.
C’è tempo anche per una mini rissa scatenata da un calcione di Parades a Tonali in pieno recupero. È sempre bello vedervi perdere la testa, dopers. Per dirla col poeta di Harlem: “Long live the rose that grew from concrete where no one else ever cared”. E allora lunga vita a questo Milan, cresciuto fra le crepe del cemento di stadi vuoti a sovvertire le regole della natura o quantomeno del gioco.
Guardatelo: All EyeZ on Me! All EyeZ On Me!”