A love supreme. Episodio 10 – Milan-Napule 0-0

Stavo pensando che la fortuna di Sheva è di abitare (presumo) a Kiev. Sabato sera ero lì che mi spolmonavo con gli occhi lucidi ululando “Nonèèèèbrasilianoperòòòò” mentre in mezzo al campo con il microfono in mano diceva ‘Fuuorza Miilian’ con l’accento alla Ivan Drago e nel frattempo immaginavo come sarebbe stato averlo come vicino di casa qua nel ridente Lower East Side di San Siro. Insomma, come sarebbe incontrarlo ogni mattino sul pianerottolo mentre in ciabatte porta fuori il rufo e di dirgli ogni volta, ogni santa volta che mi capitasse, solo e unicamente “Grazie”. Due, dieci, cento, mille volte. Sempre e solo “grazie”. Un po’ alienante alla lunga, ne convengo.

Ma del resto che gli vuoi dire all’uomo che ci ha regalato la gioia più immensa nella nostra vita? Certo, ci ha fatto anche soffrire, ci ha regalato anche delusioni, la sua stagione tornato in rossonero dopo l’autoesilio a Londra è stata piuttosto mortificante, ma tant’è. Ce ne siamo già scordati tutti. Per questo ogni anno celebriamo il 28 Maggio come il nostro Natale, il Giorno in cui il Sogno si è fatto Realtà e le forze del Bene (noi) hanno trionfato su quelle del male (i gobbi maledetti e prima ancora le Merde immonde).

Che poi sapete quando è stata la prima volta che Sheva ha messo piede sul campo di San Siro? Esattamente 20 anni fa, più o meno. Era il Febbraio del 1999, lo scudo di Perugia era ancora lontano, ma lui era già un acquisto ufficiale, celebrato con una surreale amichevole notturna con la sua Dinamo Kiev. Mi ricordo che ero arrivato al volo dal lavoro – forse iniziava prima delle 20.30, non sono sicuro – e di aver pure
trovato al cancello uno che rompeva il cazzo perché non avevo il biglietto (costava 1 euro, anzi le 1000 lire dell’epoca). Alla fine sono salito in Fossa dove c’era un altro migliaio di coraggiosi – faceva un freddo cane – con tanto di uno striscione in cirillico a dargli il benvenuto. Già qualche mese dopo infilava la prima della lista infinita di pere rifilate alle Bave nel derby.

Non so se racconterò con la stessa enfasi la prima volta che ho visto Piatek giocare in rossonero. Anche lui arriva dall’est, anche lui mi sembra un bel torello con la fame di chi scalpita. Entra al posto di uno spolmonato Cutrone, fa a sportellate, a momenti la mette pure dentro, insomma fa ben sperare, così come tutti si sono spellati le mani su un paio di trick da playground di Paquetà, per la verità sabato sera un po’ più fumoso rispetto alle sue prime uscite, ma Sant’Iddio, questo è sceso dalla scaletta dell’aereo da Rio e l’hanno sbattuto in campo, altro che periodo d’ambientamento e adattamento ad un calcio diverso dal suo. Ma è tutta la squadra in generale che sfodera un Primo tempo di gran livello, tenendo testa assolutamente al celebratissimo Napule, che pure l’anno scorso qua aveva accolto un punticino, ma ci aveva sostanzialmente costretto a una partita da Linea Maginot, mentre sabato li abbiamo fatti trottare eccome, sbagliando, buttando via palle importanti, ma dando la sensazione che se ce la potevano mettere loro, beh, pure noi eravamo sempre lì lì.

Peccato che l’occasione della vita sia capitata sullo stinco tornito ma non certo raffinato di Musacchio, che sotto di noi ha maldestramente deviato una palla che forse meritava miglior sorte. Pazienza, ci siamo goduti i ragazzi per 90 minuti senza mai aver la sensazione che avessimo perso il senso della partita, anche quando giustamente è toccato a noi subire un po’ la loro garra.

San Siro è pieno e guardingo, c’è un clima strano, fra grandi ritorni e la sensazione sgradevole che le scorie di quello che è successo prima di Natale pesino in qualche modo. Qua i napoletani, intesi come tifosi eh, non sono mai stati graditi e ci teniamo a ribadirlo senza fare sconti, ma nemmeno ululati. Perché tante cose si possono dire dell’allora Curva Sud o di quella attuale, ma mai, mai, che abbia insultato un giocatore
perché di colore. Infatti non succede nemmeno questa volta, ci si sfancula allegramente, loro ci augurano le fiamme e noi le peggio cose, come è normale che succeda fra tifoserie storicamente avversarie, che se volete proprio i buoni sentimenti è il caso di andare al cinema. E’ la vecchia regola aurea del futbol: fischia gli avversari, insultali, ha visto mai che si sentano a disagio, che sbaglino quel passaggio, quella ripartenza, fagli sentire sul collo il fiato di 50mila cacciaviti incazzati.

Alla fine qualche applauso però rimane eccome. Cacciano Carletto e d’istinto mezzo stadio batte le mani perché al cuore non si comanda. Ammetto, quando è arrivato all’ingresso in campo non l’ho visto perché ero coperto dal telone della coreografia: l’hanno levato e pronti via, la partita è iniziata. So però che martedì rivederlo su un’altra panca farà effetto. Perché se a Sheva direi mille grazie, quelli che dedicherei a te Carletto non sarebbero uno di meno.

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