Mentre Domenica notte ero a letto e fissavo con gli occhi spalancati il soffitto del mio soppalco, mi sono chiesto lungamente quale sia stato il momento in cui abbiamo perso la partita coi gobbi. Quando Gonzalo ha sbagliato il rigore, quando Benatia non è stato espulso per una sacrosanta doppia ammonizione, quando Laxalt ha ciccato un appoggio elementare innescando lo 0-2. Ognuno di questi certamente, ma in realtà sono giunto all’amara conclusione che l’abbiamo persa al Minuto Uno, praticamente al fischio d’inizio, quando in campo e per la verità anche in quasi tutto lo stadio, eravamo già predisposti alla mattanza.
Come se un’ineluttabile sensazione di disfatta aleggiasse sopra il Terzo Anello. Le Merde sono state piallate dai Berghem, la Lazio ha pareggiato, ci sta perdere coi gobbi, cerchiamo di non farci troppo male. Davvero, spiace dirlo, ma di sconfitte in casa con i mafiosi ne abbiamo viste negli ultimi disgraziati anni, ma sono state sempre state partite vere. In cui giocavamo, subivamo magari, ma eravamo mentalmente presenti, anche con formazioni ai limiti del ridicolo. Pure l’anno scorso, quando quello sciagurato di Kalinic ha gettato sulla traversa una palla solo da spingere dentro, perlomeno c’eravamo in campo. Domenica mai, praticamente.
Vi dirò di più, io ho assistito a quel tragico 1-6 nel 1997 e quel giorno non abbiamo preso l’imbarcata perché intimoriti come Domenica, ma anzi, perché eravamo una squadra che in quel momento non voleva abdicare al suo status di Grande e affrontava i gobbi a viso aperto e in modo suicida, nonostante la palese (e momentanea) inferiorità. Voglio dire, da noi c’erano Blomqvist, Dugarry, Reiziger e Nonno Vierchowod che credo allora avesse già 50 anni, mentre da loro Zidane, non so se rendo l’idea.
Ora non voglio essere cattivo, non sopporto chi insulta chi indossa la mia maglia- a meno che se lo meriti per oggettive e conclamate colpe – e per questo non mi va di inferire su Diego Laxalt, che per altro mi pare sia pure un bravo ragazzo, con quegli occhialoni e quelle treccine da liceale che fa l’Interrail ad Amsterdam. Quando però gli ho visto fare quell’immonda puttanata che di fatto ha suicidato la partita ho pensato al mio carissimo amico Davide Barbano, Grifone convinto, uno che mi ha insegnato i cori in genovese stretto, che quando dal nulla questa estate gli abbiamo scippato l’uruguagio mi ha mandato ridacchiando un messaggio di conforto in previsione delle sue future cazzate. Cioè, con tutto il rispetto, pure lui, abituato agli onesti mestieranti che spesso vestono la gloriosa maglia rossoblù, schifa Laxalt, pensate a che mediocrità ci siamo adeguati.
C’è voluto tanto per levarci di dosso fardelli come Muntari, Poli, Essien, Bonera (e tanti altri): a Giugno se Dio vuole andranno in scadenza altri che davvero, detto senza arroganza, non sono più presentabili a certi livelli, non possiamo ancora ritrovarci gente che farebbe fatica ad essere titolare in una squadra di bassa classifica. Non è con questi giocatori che si forma una rosa che renda merito alla nostra Storia e agli obiettivi che dovremmo avere per Tradizione. Ora, sappiamo tutti perché siamo in questa situazione. Gli infortuni che ci hanno decimato, una campagna acquisti iniziata con due mesi di ritardo, insomma, di sfighe ne abbiamo avute fin troppe. Mettici pure un arbitro che nonostante il loro palese ed evidente dominio, ci ha ridicolmente danneggiato.
Va bene tutto, restiamo lì, attaccati coi denti alla vita, sperando che a Gennaio avvenga qualcosa di decisivo per prendere quel Quarto Posto che per noi varrebbe la Champions, lo Scudo e l’Intercontinentale messe assieme (un misero quarto posto, un posizionamento che dieci anni fa sarebbe equivalso ad un fallimento, oh mon dieu quelle decadence). Chi merita di già l’Europa, l’Oceania e un terzo continente a scelta è il nostro popolo. Uno stadio immenso e leggendario, che quando è pieno leva il fiato, una coreografia incredibile e che sta facendo il giro del mondo e in cui, probabilmente nei fumi dell’alcool, ho voluto riconoscere Lemmy dei Motorhead nel baffone con i simboli di Fossa e Brigate tatuati sul petto. Robe che i gobbi nel loro stadio del cazzo in miniatura se le scordano, vincessero pure altri centoventi scudi consecutivi, quei subumani.
Questa gente, queste facce meritano di meglio, questi anni duri ci hanno temprato: hanno reso più dura la pellaccia di noi vecchi arnesi che arriviamo dal passato, e al tempo stesso hanno forgiato una nuova generazione che in pratica ha visto solo miserie. Non siamo nati per essere mediocri in eterno, quelle targhe in marmo che fanno bella mostra di sé sulle rampe che salgono verso il secondo anello stanno lì a ricordarci chi siamo. Abbiamo aspettato tanto, adesso ridateci quello che ci spetta.
Per me ragazzo degli anni 70, questo Milan-Juve ha ricordato quello del 1984 …0-3 con “Flipper” Damiani che da’ di matto e pugila Cabrini …loro sideralmente distanti da noi, che lottavamo per andare in coppa Uefa. Nonostante in difesa Baresi ma con Tassotti ancora in fase evolutiva pre-Liedholm e soprattutto Spinosi a fine carriera e Gerets…
Ci sono voluti quasi 35 anni per sentire ancora quel senso si squilibrio nella partita con i gdm . Stessa rassegnazione dopo il loro primo gol. In panchina ora Laxalt e ai tempi Andrea Manzo .
5 anni dopo vincevamo la Coppa dei Campioni attraverso tante cadute fatte di sfide con il Waregem e Derby con gol di Minaudo. Forza vecchio cuore rossonero !
Caspita. Sì, una buona similitudine. Però lì la partita finì con l’espulsione, qualche velleità di suonargliele c’era, no?
Sì, forti del duo d’attacco Lutero il bombardiere nero +Damiani, con Verzao dietro ; avevamo delle vaghe speranze almeno per i primi 20’.
La vendetta si e’ consumata, anche fisicamente, l’anno dopo, con Di Bartolmei che cerò di assassinare Bodini con il suo classico rigore da “setiprendovaiinprognosiriservata” e con PPV ( PietroPaoloVirdis ) di doppietta dopo averli puniti anche all’andata.
“Il cuore rossonero batte ancora, la nostra lotta è cominciata ora”