(Max Bondino)
Nel mondo animale, l’orientamento è questione di sopravvivenza. Le rondini attraversano continenti inseguendo il caldo, i lupi si affidano all’istinto del capobranco, le formiche tracciano sentieri invisibili guidate da segnali che solo loro sanno decifrare. Ogni specie ha un punto di riferimento, una bussola interiore che impedisce di disperdersi nel vuoto. Senza una direzione, senza un ritmo comune, il gruppo si disgrega, l’ordine si spezza, il movimento perde significato.
Eppure, ci sono momenti in cui quel filo viene meno. L’istinto non basta più, il comando non arriva, i segnali si confondono e il viaggio diventa un vagare senza meta. Così, in una serata di Coppa Italia, l’AC Milan si trova davanti al bivio: seguire un sentiero chiaro o perdersi nei suoi stessi passi.
“Don’t let the walls cave in on you”
Nonostante una gara di ritorno ancora da giocare, questa malsana stagione ha avuto il merito di levarci di dosso almeno un po’ di quella pressione, di quel peso che la parola “derby” aveva iniziato ad esercitare nell’immaginario vilipeso di ogni milanista. Affrontiamo, così, ancora una volta, i vicini di pianerottolo come ogni buon milanese, sbirciando prima dallo spioncino e poi, visto che non c’è verso che vadano “fora di bàll”, col miglior sorriso falso in repertorio: Uèla! Eccoci!
Viviamo i primi venti minuti di convenevoli senza badare molto al nostro interlocutore che ci prova dal limite con Correa (Mike, attentissimo, blocca) e al 21esimo, sugli sviluppi di una punizione. La sponda di Bisseck mette De Vrij nelle condizioni di spingerla di testa nell’area piccola ma è provvidenziale l’orrenda acconciatura su quella di Abraham nella deviazione, d’istinto, in angolo.
“Where’s it at? Let’s go! Okay are you ready? I’m ready! (go go go!)”
Il Milan prende il controllo, se non della partita, quantomeno di sé stesso poco dopo, i nomi sono i soliti, talmente forti che dovrebbero sempre echeggiare in vittorie eclatanti, non nei rimpianti. Pulisic danza in mezzo al campo, scarica su Reijnders sulla trequarti che, con una sorta di no-look lancia, di prima, Leao sulla sinistra, Rafa entra in area, dribbla e tira ma Martinez salva tutto. Non ce n’era stato bisogno poco prima, quando una punizione conquistata da Reijnders dalla lunetta veniva scaricata addosso a Fofana da Abraham. In queste settimane abbiamo visto tutti il 45enne Pirlo fare il giro del mondo social mettendo una palla all’incrocio col nervo sciatico infiammato. Cose da anziani, come chiedersi quando, in Serie A, qualcuno tornerà a batterle davvero.
Se loro fanno del possesso un’arma conosciuta, noi siamo celebri per schegge di bellezza inaspettata, come la palla verticale di Tijjani che mette Abraham solo davanti alla porta, Martinez esce a valanga ma forse con un po’ di convinzione in più avremmo alzato i pugni al cielo già nel primo tempo che chiudiamo con un altro pezzo altrettanto celebre del repertorio: il delirio immotivato. Allo scadere, voragine difensiva che regala una doppia occasione a Thuram e Frattesi, il primo non calcia subito, il secondo è fermato da Maignan.
“You get what you give, that much is true”
Non si offenderà Tammy se in apertura di ripresa, quando lo vediamo girarsi in piena area sotto la Sud, il sospiro che anticipa l’urlo va ad un ragazzone francese storicamente molto meglio pettinato di lui. Un goal che sembra scritto dalle leggi della natura che governano questo luogo sacro. Abraham ignora compagni e logica, spalle alla porta, finta, si gira sul destro e incrocia: È 1-0.
“Where’s Your Head At?”
Era questo il momento di usare la testa. Non solo per il colpo vincente, ma per capire che certe partite non ti danno una seconda occasione. Era il momento di affondare, di lasciarli senza respiro, mentre iniziavano ad innervosirsi anzichè aspettare, non concedere il lusso del tempo a chi sa sempre come usarlo.
Per qualche minuto, il Milan sembrava averlo capito. Se Mike chiude la porta a Barella al minuto 50, sono tante le nostre ripartenze che meriterebbero però un senso logico, un riferimento dettato da quel capobranco in grado di spiegare a questa squadra come si sta al mondo. Ma non c’è. Non lo è stato Fonseca, non sarà Conceicao. Così, invece di spingere, di trasformare il ritmo in sentenza, la squadra si assesta, come se potesse bastare, come se il resto fosse già scritto. Non lo è. Non lo è mai. L’azione che porta al pareggio al 67esimo gliel’avremo vista fare decine di volte. Nei pressi della loro area, noi rallentiamo e facciamo girare palla spesso indietro, loro lo fanno al triplo della velocità in orizzontale mandandoci fuori giri. Uno di questi scambi fra Zalewsi, Barella e Correa libera il turco dal limite che colpisce fortissimo, Reijnders la tocca quanto basta per mettere fuori causa del tutto Mike.
Si soffrirà un po’ – come sulla svirgolata comica di Walker e sul miracolo di Mike su Mkhitaryan – ma mai quanto nel momento in cui vediamo Leao uscire dopo aver sfiorato il gol con un tiro a giro. Lui e Fofana per Bondo e Chukwueze. Le sostituzioni di Conceicao restano per me enigmatiche quanto la sua idea di gioco.
“We can’t live on, live on without you”
Credo che partite come questa raccontino perfettamente ciò di cui ha davvero bisogno questa squadra. Quella direzione, quel ritmo comune che non ha mai avuto dalla scorsa estate ad oggi. Sappiamo che la nostra dirigenza sta muovendosi pagando la cauzione al nostro prossimo direttore sportivo che, una volta ottenuta la libertà vigilata, dovrà portarci un capobranco nuovo, famelico e con idee che ci ristabiliscano al nostro posto nella catena alimentare della Serie A.
Nell’attesa, se voleste regalarci uno spuntino nella gara di ritorno, sappiate che qui c’è gente che non ha mai smesso di fiutare il sangue, perché la fame è tanta.