BPM: Napoli – Milan 2-1 ovvero HOW NOT TO DROWN

(di Max Bondino)

Il momento in cui stai affondando è molto diverso da quello in cui tocchi il fondo. È prima, molto prima. È quando l’acqua smette di sorreggerti e inizia a trascinarti giù, quando ogni movimento, invece di salvarti, accelera la discesa. È nell’istante in cui l’aria diventa più densa nei polmoni, quando le correnti ti sfiorano la pelle e capisci che l’istinto di risalire potrebbe essere il tuo errore fatale. Perché è lì, nella consapevolezza della caduta, che il tempo si dilata. La mente registra ogni dettaglio con una lucidità spietata: la luce che filtra dall’alto in bagliori irregolari, i suoni che si attutiscono, il battito del cuore che martella, perfettamente isolato. E invece di lasciarsi andare, resta vigile. Invece di spegnersi, osserva.

Una discesa lenta, lunga una stagione intera, ogni speranza un respiro trattenuto, ogni partita un’altra onda che ti spinge più giù. Eppure resti lì, occhi aperti nel buio liquido, incapace di smettere di cercare qualcosa a cui aggrapparti.

“I’m writing a book on how to stay conscious when you drown
And if the words float up to the surface
I’ll keep them down”

Questo è solo un podcast, con qualche velleità da rubrica e l’incoscienza di diventare un libro. Ad oggi, sempre più vicino a somigliare ad un manuale di sopravvivenza o forse la testimonianza di come un popolo possa sopravvivere mesi interi, senza respirare mai. Sapete, ero convintissimo avremmo vinto facile, a Napoli. Ma non perché facessi affidamento sui miei eroi, né per capacità analitiche che non possiedo affatto. Solo perché, in un’annata così violentemente spietata da sembrare manipolata da quegli Dei malvagi e vendicativi, anche un nostro trionfo sarebbe diventato il sorriso di chi sta lontano, pronto a brindare sulle nostre macerie.

“They were out for blood, and they would have your guts”

E invece, questo AC Milan subacqueo coi piedi nel cemento è talmente autolesionista da sovvertire anche le più basilari regole che governano sfiga e paradosso. Anche oggi, la durata delle nostre aspettative riesce a rendere la vita di una farfalla qualcosa di sorprendentemente longevo. Un minuto. Lancio di Di Lorenzo a pescare Politano in corsa in mezzo a tre dei nostri che lo accompagnano in area, commossi, come damigelle d’onore. Il suo sinistro, secco, sul primo palo fa male ma è un dolore familiare, come quando lei ti dice che “dobbiamo parlare” e sai già come va a finire.
La sensazione che tutti pensino di poter infierire su di noi ce la dà Anguissa che al minuto 14, a metà strada fra vantaggio e raddoppio, tenta di segnare di tacco in mezzo alla nostra area. Il 2-0 arriva con Lukaku, al ventesimo, dalla solita palla terrificante persa con sufficienza a centrocampo che arriva al belga, ancora una volta attorniato dalla nostra difesa al completo, sempre vestita a festa e con gli occhi lucidi. Indisturbato, colpisce malissimo ma quest’anno basta e avanza per segnare alla squadra un tempo conosciuta come AC Milan che impacchetta, così, un altro primo tempo, regalandolo a chiunque ne faccia richiesta.

“I’m writing a chapter on what to do after they dig you up”

Il capitolo sulla riesumazione dopo che si è stati seppelliti lo lasciamo scrivere ancora una volta a Sergio Conceicao, maestro del genere. Il primo colpo di scena della ripresa è sempre rimettere in campo Rafa Leao per poi creare un “Royal Rumble” in cui affastella tutto il capitale umano in grado di attaccare, da Chuckwueze a Santiago Gimenez fino a Jovic ed Alex Jimenez. Gli sviluppi di trama sono abbastanza prevedibili. Tutto ciò che succede di buono, passa dalla sinistra, da Rafa. Quando al 54esimo entra in slalom verso l’area, ricordandoci che la conclusione non è esattamente il pezzo forte del repertorio, oppure poco dopo quando in combinazione con Chukwu, libera al tiro Gimenez che spara alto e al minuto 67 quando in tandem con l’amico di giorni più lieti, Theo Hernandez, materializza un rigore a favore.

“Watch as they pull me down
Pulling me down”

Ed è qui, che capiamo quanto la stagione sia emotivamente finita, quanto la discesa sia ormai irreversibile, tanto da vedere il fondo senza ancora averlo toccato. Dopo le polemiche sul delirio dei rigoristi improvvisati nella gestione Fonseca che hanno riportato Christian Pulisic (l’unico a saperli battere davvero) ad essere l’uomo in carica, scopriamo l’ultimo barlume di buonismo rimasto nella cultura americana. In una situazione di vita o morte, nell’ultimo tentativo di aggrapparci a qualcosa che ci riporti verso la superficie, la squadra decide di aiutare Gimenez a ritrovare autostima. Va lui sul dischetto, calciando malissimo, rasoterra, fra le braccia di Meret. Well done, guys. Mission Accomplished!

Da qui alla fine mi aspetto di tutto: anche fermarci davanti alla porta vuota per motivi inclusivi. Perché segnare quando il mio compagno potrebbe somatizzare una gelosia intrinseca?

Un effetto collaterale lo hanno ottenuto comunque. Quando a cinque dalla fine, Theo mette in mezzo dal fondo, Santiago è talmente depresso da venire anticipato da Jovic per il tap-in del 2-1. Luka sfiora addirittura il pari nel recupero a dare la dimensione dell’assurdo di questa squadra impegnata a sprecare il proprio talento per poi sperare che un giocatore costantemente ai margini della rosa si ritrovi ad essere l’ultima risorsa di un destino che non sa più dove andare.

“I will never escape these doubts, I wasn’t dead when they found me”

Nonostante questo, continuiamo a galleggiare, sommersi sotto tutti i nostri dubbi, ma non è il fondo che ci spaventa ma il fatto di esser sempre lì, sospesi, tra il ricordo del respiro e l’incapacità di risalire. È la coscienza di starci andando incontro, ed è in quell’attimo sospeso (ormai lungo una stagione intera) che il tifoso del Milan continua a guardare verso l’alto, a cercare un bagliore tra le onde, a credere, nonostante tutto, che un giorno tornerà a respirare. Perché, in fondo, la resa arriva solo quando smetti di guardare verso la superficie.

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