BPM: Milan – Roma 3-1 di CoppaItalia ovvero ANOTHER LOVE

(di Max Bondino)

La musica è, scientificamente parlando, il risultato della vibrazione dell’aria. Quando un oggetto suona, sia esso una corda di chitarra, la membrana di un tamburo o le corde tese di un pianoforte, le particelle d’aria circostanti vibrano, creando onde sonore che viaggiano fino ai nostri timpani. Lì, il suono viene trasformato in segnali elettrici che il cervello interpreta come note, armonie e poi, emozioni.

Ma se la scienza ci spiega il “come”, la poesia ci racconta il “perché”. La musica è aria in movimento, sì, ma è anche emozione in viaggio. È l’invisibile che si fa sentire, il battito di un cuore che attraversa lo spazio senza bisogno di essere visto. Come il vento porta profumi e ricordi, così la musica trasporta sogni, malinconie e speranze.

C’è stato un momento, sul finire di Milan – Roma, per me, bellissimo. Sarà durato intorno ai due minuti scarsi, come alcune “radio edit” di questo strambo momento storico in cui anche le emozioni vanno obbligatoriamente accorciate. All’improvviso, la melodia di una canzone che ho visto nascere ed amo profondamente riecheggia nell’aria dentro San Siro. E’ “Another Love” di Tom Odell. Lo fa in un coro della curva, tornata a cantare per 90 minuti per la prima volta da tempo immemore. Il testo riadattato si confonde mentre io inizio a cantare le parole originali su quelle note così cariche di quella malinconia luminosa da cui nascono i bei sogni.

“I wanna take you somewhere so you know I care
But it’s so cold and I don’t know where
I brought you daffodils in a pretty string
But they won’t flower like they did last spring”

Era davvero la soundtrack o meglio, il “tema di chiusura” perfetto per la serata. Per anni, i milanisti hanno inseguito l’amore senza riuscire a trovarlo davvero. Ci hanno provato, eccome se ci hanno provato. Aggrappati a sogni sfocati, a promesse mai mantenute, a speranze che puntualmente si sgretolavano con il passare delle stagioni. Ogni tentativo di innamorarsi di nuovo finiva con il confronto impietoso con ciò che era stato: amori troppo grandi, storie troppo ingombranti per dare spazio a quelle nuove.

Lo so che non abbiamo ancora davvero parlato della partita ma sapete com’è, questo è il primo BPM in assoluto dedicato alla Coppa Italia, non avrebbe dovuto nemmeno esistere (per gli scaramantici: neppure quelli della Supercoppa, sappiatelo). E probabilmente non sarebbe esistito se non fossi tornato a casa continuando a cantare “Another Love” nella mia testa, cercando di dare un significato ad un’emozione. Come un’eco che rifiutava di spegnersi.

Perché c’è qualcosa che va aldilà della bellissima e insperata doppietta di Abraham con quel perfetto terzo tempo ad impattare di testa nell’angolino basso. O ancora nell’inconsueta freddezza con cui finalizza il ritorno di Theo all’abitudine di lasciare, dietro di sé, scie di erba bruciata e fumante. C’è dell’altro oltre alla supremazia atletica e mentale del duo, a tratti mitologico, Tomori – Pavlovic o nel sentirsi sollevati di avere fatto amicizia con quel nuovo bullo del quartiere San Siro: Kyle Walker.

“And I’d sing a song that’d be just ours
But I sang ‘em all to another heart
And I wanna cry, I wanna learn to love
But all my tears have been used up

On another love, another love”

Quante canzoni a squarciagola abbiamo cantato a chi non le meritava davvero, quanti ne abbiamo amati per arrivare, in questi mesi, a sentirci così apatici, dopo aver versato tutte le lacrime possibili per amori irraggiungibili, lontani nella memoria.

L’ottimo match dell’AC Milan (seppur con tutti i rischi abbastanza inevitabili con una squadra di qualità come la Roma) viene sublimato al 60esimo. I giallorossi hanno accorciato da poco con Dobvik, di testa, grazie a un traversone deviato che con una strana traiettoria supera Mike. A quel punto, Conceicao fa All-in: Santiago Gimenez e Joao Felix diventano progenie di Herbert Kilpin.

“Oh, need a love, now
My heart is thinking of “

Mentre noi siamo lì, a cercare di innamorarci di nuovo. C’è qualcosa di primordiale in quello che accade. La nostalgia della bellezza che ci abita dentro si desta all’improvviso. La consapevolezza che ciò che ci mancava non è mai stato realmente perduto. La bellezza era lì, nascosta tra le pieghe del tempo. Dopo tocchi e giocate che avevamo dimenticato, Santiago trova l’imbucata per Felix mettendolo solo davanti a Svilar. Joao gli regala soltanto uno sguardo fugace mentre il pallone si affretta, calamitato fra i suoi piedi, sa di potersi fidare di lui. La carezza con cui scavalca il portiere, chiude il match e forse, apre qualcosa di molto più grande per l’AC Milan.

E non parlo della semifinale conquistata.

È l’emozione che si risveglia in un istante, quasi senza preavviso, a farci sentire ancora parte di qualcosa che va oltre il risultato, oltre il presente. È ciò che avete sentito nel petto, è il motivo di quel sorriso un po’ trasognato sul volto. Un gesto che squarcia il tempo e ci fa scorrere davanti agli occhi decine e decine di fuoriclasse al cospetto di versioni più giovani di noi stessi ma sempre con le braccia al cielo e una sciarpa rossonera al collo.

Perché la nostra speranza non è mai stata legata granché alla logica dei numeri e delle statistiche, ma alla sensazione che qualcosa di speciale possa nascere, anche se con quattro mesi di colpevole ritardo. La bellezza di quella giocata incarna la speranza che questa volta, finalmente, ci sia una squadra che sappia “risvegliare” l’amore che avevano perso per il gioco. La bellezza è contagiosa, ed è una forma di linguaggio universale che fa dimenticare il tempo che passa, facendoci sentire come se, per un attimo, il mondo fosse tornato al suo equilibrio perfetto, in cui il calcio non è mica uno sport, ma passione, arte e incanto allo stesso tempo.

Come accade nelle canzoni, specialmente quelle che non ti aspetti, all’improvviso.

È stato un piacere rivederti, AC Milan.

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