(di Max Bondino)
La fine di una storia coincide a volte con un tradimento ma altrettanto spesso sfuma in quel processo graduale definito “disamore”, l’erosione di un sentimento. Nonostante non si contino più le volte in cui ci siamo sentiti traditi o apatici di fronte alla comune passione di una vita, la realtà è un’altra. Stiamo vivendo la più classica delle relazioni tossiche, dove l’innamoramento c’entra più poco, dove tutto è disfunzionale ai massimi livelli.
“Friday night you and your boys went out to eat, uhhh
Then they hung out
But you came home around three, yes you did”
L’AC Milan esce a far serata il venerdì, a Verona, lasciandoci con la paura di un’altra notte d’infedeltà.
Ritroviamo una certa disfunzionalità non solo nel nostro rapporto con chi ci guida e dovrebbe rappresentarci ma anche in una formazione che ci sbatte in faccia un Terracciano centrocampista così, come tentativo estremo di manipolazione. Il primo tempo di Verona – Milan è ciò per cui si è ormai radicato il concetto di “second screen” legato alla visione di un evento sportivo. Devi cercarti qualcos’altro da fare, insomma. Per capirci, gli highlights di questa partita durano un minuto e trentotto secondi, dai quali sottrarre lo spot iniziale e altri venti secondi dedicati all’ingresso in campo con cuccioli di cane (che avrei adottato in massa) a far passerella.
“Pack your bags up and leave
Don’t you dare come running back to me”
Quindi, mentre Chuckwueze sforna un numero impressionante di cross nel nulla, l’attenzione torna inevitabilmente sugli spalti, dove la contestazione continua, invitando questa proprietà a fare i bagagli, uscire da Milanello senza voltarsi. Dateci almeno il tempo di cambiare le serrature. Dopo i primi venti minuti di nulla inzuppato nel niente, anche la squadra inizia a ricevere i più classici fra i cori dedicati all’importanza di un apparato genitale appariscente. Fuori causa anche Rafa alla mezz’ora per un problema muscolare, riusciamo a creare il primo tiro pericoloso al 40esimo proprio con quel veronese di Terracciano che con un gran destro da fuori costringe Montipò ad alzarla sopra la traversa. L’unica nota positiva è ancora Alex Jimenez. Voglia, iniziativa, carattere. In una stagione così, questo ragazzo non dovrebbe più lasciare la prima squadra (nonostante le dichiarazioni di Fonseca, nel post, a sottolinearne la titolarità siano parse più l’ennesima stoccata un po’ fuori luogo al “Senator Theo” che un vero complimento al futuribile spagnolo).
“I’ve been through all of this before
So how could you think
That I would stand around and take some more
Things are gonna change”
Quante volte ci siamo già passati, eppure dopo l’intervallo siamo ancora qui, nella speranza che qualcosa cambi davvero. Quando sei veramente a digiuno, anche un pacchetto di crackers appare una delizia. Così, al Milan basta alzare un po’ l’intensità per dare un senso a questa trasferta. L’ingresso di Theo al posto di Rafa trasforma Jimenez in un sorprendente esterno alto di sinistra e da quel lato iniziamo ad esser pericolosi.
Ma è al minuto 55 che la bellezza torna a mostrarci le sue capacità di infrangere le barriere della banalità, come se la realtà si aprisse all’improvviso, rivelando un frammento di pura meraviglia, un attimo in cui tutto il peso del mondo svanisce e si è sopraffatti dall’imprevedibile. Ci ha preso gusto, Fofana, a ridicolizzare chi lo ritiene un semplice interditore. Ancora una volta, appena passato il centrocampo inventa una giocata che solo Rui Costa poteva considerare di “repertorio”, un rasoterra di trenta metri che va a sbocciare in area, fra i piedi di Reijnders. La corsa, la coordinazione e il tiro di Tijjani sono un unico movimento, lo ripeto, l’olandese è davvero musica che gioca a pallone. La conclusione è perfetta e dal replay scopriamo che non ha neppure guardato la porta, nemmeno per un attimo. Come il respiro, che accade senza rendercene conto, così Tijjani Reijnders gioca a calcio.
“It’s not right
But it’s okay
I’m gonna make it, anyway”
È bastato quel piccolo, supremo, frammento d’infinito per accettare un’altra serata in cui si è giocato poco (e spesso male) perché dopo il vantaggio, l’unico vero sussulto lo regala un’iniziativa di Jimenez, al 63esimo, una percussione centrale con finta e tiro a metter in difficoltà il portiere veronese. Il resto sono tante botte prese e cambi un po’ strambi che ci portano, a un certo punto, ad avere cinque potenziali terzini in campo a gareggiare fra loro per decretare chi sia quello più fuori ruolo di tutti.
“Close the door behind you, leave your key
I’d rather be alone than unhappy”
Nonostante la vittoria, il tono dei cori che hanno accompagnato il match non è mai cambiato. Ci sono i tre punti, che potranno avvicinare la nostra proprietà a saldare i suoi debiti (ormai unico obiettivo stagionale) ma che poco aggiungono alla nostra gloria. È curioso come proprio nella settimana della grande rottura, arrivi il comunicato che ci dichiara ostaggi di Red Bird almeno sino al 2028. Nessuno può sapere davvero cosa potrà accadere nei prossimi tre anni ma una cosa è certa, anche eventuali (un po’ improbabili) trofei difficilmente riporteranno i milanisti a sentirsi, a breve, di nuovo un “popolo” anziché un semplice pubblico.
In fondo, chiediamo solo questo.