(di Max Bondino)
Abbiamo almeno smesso di preoccuparci. Non per stanchezza, non per resa.
Semplicemente ti fermi, e ascolti.
Il passo incerto delle ore, l’eco sbiadita dei sogni, il respiro di chi ha camminato accanto a te anche nei giorni più leggeri. Stagioni così, che in fondo aspettano solo di capire quanto ancora sei disposto a credere.
Non è più il tempo delle promesse.
È il tempo dei gesti quieti, delle mani che si tendono senza parole, dei piccoli fuochi che ancora illuminano il cammino.
A Venezia, in un pomeriggio senza pretese, il Milan ha acceso il suo.
“Feels like I’m waiting, like I’m watching, watching you for love”
Attendiamo, pazienti e affilati con gli occhi dell’amore. E’ un finale davvero strano quello che ci scivola incontro. L’ultima manciata di giornate di questo campionato (per noi) nonsense sono diventate un tour di preparazione ad una finale di Coppa Italia (finalmente un po’ più importante del solito) grazie a quel derby che sembra aver fatto più danni di quanto potessimo sperare, regalandoci nuove prospettive. Oggi, il “milanismo” gioca almeno altre due partite ad ogni turno.
E di questa giornata numero 34, non ci si può proprio lamentare.
Ancora meno quando inizia con un goal di Christian Pulisic. Bastano quattro minuti e un errore in impostazione di Candè. Il pallone viene intercettato da Alex Jimenez che smista per Fofana. Il tocco di prima, filtrante, dentro l’area è una delizia da trequartista. L’assoluta, semplice, bellezza con cui il nostro americano preferito stoppa col destro e conclude col sinistro ci ricorda cosa potremmo essere, ancora una volta.
“So free my mind, all the talking, wasting all your time”
Un goal che ci libera ulteriormente da pressioni che neppure abbiamo più il diritto di avere ma vaglielo a spiegare al mio cuore un po’ scemo. Venezia – Milan si rivela una di quelle partite brutte che, paradossalmente, avremmo voluto vedere più spesso quest’anno: dove chi ha più qualità la mostra senza pudore e poi amministra. La classifica, oggi, racconterebbe tutta un’altra storia. Ma l’enorme possesso palla a favore non ci mette al sicuro né da una mischia delirante su un corner al 23esimo (al termine della quale, il diagonale di Yeboah attraversa tutta l’area piccola e finisce fuori) né tantomeno da un pareggio improvviso alla mezz’ora, ancora con Yeboah a finalizzare una bella azione corale in mezzo all’area dove la distrazione generale regna. Il VAR trova un fuorigioco e il buonumore resta intatto.
“Dreams, where I am fading, fading”
Si sogna poco anche nella ripresa. Al punto che le emozioni principali sono due rigori reclamati, uno per parte. Rivediamo Santiago Gimenez nell’ultima mezz’ora, sospesi in quella zona onirica dove l’incubo sembra sempre pronto a prender forma.
Speriamo davvero che questo ragazzo venga affidato alle mani giuste: il modo in cui riesce a sbagliare quasi tutto quello in cui viene coinvolto racconta un disagio psicologico in cui è stato confinato un po’ colpevolmente, credo.
Lucidissimo, invece, Loftus-Cheek quando, al 75′, scarica dieci metri sopra la traversa, una ripartenza in superiorità numerica che avrebbe potuto avere almeno tre finali alternativi migliori.
“Feels like I’m dreaming, like I’m walking, walking by your side”
Eppure, questo finale di stagione sembra trattarci con una delicatezza sinora sconosciuta, quasi una carezza leggera su tutte le cicatrici ancora aperte.
Qualcosa si muove, impercettibile, negli spazi vuoti che avevamo smesso di guardare.
Una “Innerbloom” sottovoce, un lento (seppur tardivo) sbocciare interiore che sfiora la squadra, e con lei anche chi si era perso nei suoi dubbi più fragili. Così, Santiago, all’ultimo minuto di recupero riceve l’ennesima giocata perfetta di Tijjani, un lancio di cinquanta metri che lo mette solo davanti al portiere per un pallonetto morbido, quasi timido, che racconta tutto quello che le parole non riuscivano più a dire.
“If you want me, if you need me, I’m yours”
C’è qualcosa di struggente nella pazienza che abbiamo imparato. Non c’è rumore, né clamore: solo un senso diverso dell’attesa, una forma nuova di fiducia che prova a germogliare proprio quando sembrava impossibile.