BPM (Beats Per Matches) – Ultima di campionato ovvero: Good Riddance

(di Max Bondino)

Quanta roba dentro San Siro. Mai come oggi, questo stadio somiglia alla vita. Piena zeppa di cose splendide, altrettante bruttissime, molte inutili ed alcune indispensabili. C’è Serginho al Gate 8, calato in un minifestival farlocco a dispensare parole di grande milanismo mentre chi lo introduce ne enfatizza le gesta con la voce da autoscontri, leggendo malamente da un foglietto stropicciato. C’è la mascotte Milanello, con le sue scarpe da 8 kg l’una e l’essere umano che vive lì dentro, o che quantomeno, cerca di sopravvivere. Dopo un mese travestita da Atlantide, Milano riemerge a veder le stelle, a dir il vero solo una, la più importante, l’unica a tenerci in considerazione anche di giorno, chiamata ad illuminare la marea di nuove maglie vendute al Day One. Ecco, sappiate che quelle rinnovate strisce perfettamente rossonere che si stagliano un po’ ovunque, rientrano fra le cose belle della vita, eclissando definitivamente l’assurda prima divisa di questa stagione.

Another turning point, a fork stuck in the road
Time grabs you by the wrist, directs you where to go”

E’ chiaro a tutti che sarà il tempo a strattonarci. Verso un futuro che ci illudiamo sempre di poter scegliere e mai come oggi siamo qui per questo. Ingannare qualche emozione in attesa delle prossime. “Non eravamo pronti”, si dice sempre. Non lo eravamo a veder piangere Zlatan, né durante l’ecatombe di maggio 2012, ancora meno se scaliamo alle VHS e ai giubbini di renna. Oggi, ad esser sinceri, un po’ pronti lo siamo ma è bello vedere nei bambini con la 9 di Giroud, la dirompente gioia malinconica di chi per la prima volta, fa a pugni col tempo che passa. Fa invece cerchio la squadra, poco prima del match, attorno a Stefano Pioli. E’ un bell’abbraccio collettivo a cui ne seguono decine di altri molto sinceri che fanno apparire tutti i nostri passati dubbi sulla coesione del gruppo, abbastanza ridicoli, va detto.

“So make the best of this test, and don’t ask why
It’s not a question, but a lesson learned in time”

Così, senza fare troppe domande proviamo a godercela. E la partita si rivela proprio come la nostra stagione, come la vita. Un patchwork di bellezza e disagio che sembra impossibile vedere cuciti così bene assieme, eppure…

Il primo tempo è una sceneggiatura quasi perfetta, manca ancora il supporto della curva ma la squadra mette in scena venti minuti di calcio in leggerezza con occasioni per tutti sino al vantaggio di Leao al minuto 22. Dopo una facile presa aerea, Fiorillo perde goffamente palla, Leao nei pressi la recupera e segna il goal più facile della sua carriera rossonera. La corsa con dedica al suo ormai ex allenatore è certamente il gesto “tecnico” migliore. Ottima sceneggiatura, dicevamo. Beh, fra gli autori principali di queste tre stagioni vissute in binge-watching è Olivier Giroud a citare sè stesso al 26esimo. L’acrobazia sull’angolo di Florenzi è poesia ermetica, è street art, è simbologia del nostro immaginario.

Si è girato, ancora una volta. L’ultima. San Siro lo canta con tutto il fiato che ha.

Quanto ci siamo amati. Mica smetteremo.

“… So take the photographs and still frames in your mind
Hang it on a shelf in good health and good time”

 Siamo venuti qui per questo. E ce la portiamo a casa volentieri quest’ennesima immagine da conservare sullo scaffale delle gioie. La ripresa, forse, l’appoggiamo su quegli scatoloni laggiù, in garage. Finisce lo sciopero della curva e si vede subito la quantità di materiale infiammabile inespressa nell’ultimo mese. Su San Siro scende una simpatica schighera al profumo di napalm. Si vede davvero di tutto. Accorcia la Salernitana su calcio d’angolo con Simy al minuto 63, Mirante gli evita la doppietta poco dopo, assistiamo a momenti di strapotere assoluto di Theo Hernandez e soliti svarioni difensivi, segniamo il terzo con un colpo di testa di Calabria assistito meravigliosamente dal fondo dal solito Pulisic.

“Tattoos of memories, and dead skin on trial
For what it’s worth, it was worth all the while”

 Ricordarci fino all’ultimo tutti i nostri difetti. Alla fine, forse, è giusto così.

Vediamo addirittura esordire Caldara (addio anche per lui!) a sei anni dal suo arrivo (pensarlo di fianco ad Higuain in Duomo, apre uno squarcio nello spazio-tempo), Mirante prende l’ultimo goal della sua carriera per il 3-2, l’ovazione all’ingresso di Simon Kjaer a cinque dalla fine assieme a Lapo Nava che subisce la rete del definitivo pareggio mentre ancora, il cartello delle sostituzioni non si era spento.

Il terzo tempo dura una mezz’oretta e non appena esce dai banali binari organizzativi, diventa oggettivamente molto bello. Perché lo sono le emozioni, tutte vere. Kjaer è il primo ad uscire ed anche quello a cui la voce, trema di più. Senza più spartito, lo stadio si esibisce in una perfetta punteggiatura dei discorsi di commiato, inserendosi coi cori, dove e quando serve, dimostrando che siamo sempre una cosa sola, anche quando non c’è una palla che rotola. Accade anche con Oly, forse il più sciolto nel raccontarsi e ancora di più nel raccontarci, spiegando candidamente che è stata la gente a fargli capire, una partita dopo l’altra, la bellezza di esser arrivato qui. La prima parte del discorso di Stefano Pioli è un po’ rigida, si vede che sta già pensando al finale. Quasi glielo rovina la squadra, aggradendolo e lanciandolo in aria mentre lo sentiamo urlare col microfono in mano: “nono, non ho finito”. Lo rimettono giù, nasce uno spontaneo “Pioli is on fire” dagli spalti e c’è chi recupera al volo Gala dalla playlist. Ed è bello farlo ancora una volta, tutti assieme, con il mister che ora, ha una luce diversa negli occhi, riporta il microfono alla bocca.

Avete messo il fuoco nel mio cuore e rimarrà sempre acceso”. Questa frase rientra di diritto nella rubrica: “non avremmo saputo dirlo meglio”.

“… It’s something unpredictable
But in the end, it’s right
I hope you had the time of your life”

Non avremmo neppure saputo predire nulla di questi ultimi cinque anni, nel bene e nel male.

Ed è stato bello, bello così.

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