(di Max Bondino)
In fondo, quasi tutte le cose che contano nella vita, mica si spiegano. Sono quelle senza le quali non sai vivere, non esiste un perché. Come un pensiero che non ti lascia, un’idea che ti sussurra nelle orecchie anche quando non vuoi sentirla, come una melodia che torna senza preavviso a riempire la testa, un richiamo a riportarti nel flusso. Il Milan, in una serata che appariva già dimenticabile, ha scelto di essere sé stesso, di giocare come se ogni gesto fosse inevitabile. Non ho sussurri nel cervello ma canzoni, come quella che accompagna queste parole, che rimbomba nelle mie cuffie ripetendo ossessivamente “non posso fare a meno di te”. E tutto prende forma, come nella bellezza più stordente di tutte, quella che ti sorprende.
“I can’t do without you”
Nella lista delle cose di cui non sapremmo più fare a meno nella vita ci è entrato, da tempo (di diritto) Tijjani Reijnders. Passano 20 secondi e sul lancio di Pulisic, due difensori dell’Udinese si scontrano come fossero sotto “l’incantesimo di Manchester” con Ricky Kakà a far magie sopra le loro orecchie. Vista l’umiltà del match, fanno tutto da sè, servendo involontariamente Tijjani che si trova solo davanti al portiere. Tira d’istinto, rapido ma Okoye, altrettanto veloce, devia di piede in angolo.
In una serata dal sapore primordiale nella quale due squadre si affrontano vestendo incredibilmente le loro prime maglie, il calcio sembra essere un po’ meno ostico e incomprensibile di come ci è apparso in questa stagione troppo spesso scema e tragicomica. Viviamo finalmente la prima mezz’ora da protagonisti, sfoggiando un inedito 3-4-3 che sfida la gravità, rendendoci improvvisamente più leggeri. Tomori, Gabbia e Pavlovic a fare finalmente brutto assieme, lasciando Alex Jimenez più libero di avanzare. Al minuto 11, Pulisic tenta il goal olimpico dalla bandierina, poco dopo è proprio lo spagnolo a cercare dalla destra Jovic che, con le ultime prestazioni si è ampiamente guadagnato una maglia da titolare. Al quarto d’ora, un colpo di testa di Pavlovic si può catalogare come “prova tecnica”. Lo sono anche tutte quelle dei suoi soci che ci accompagnano alla mezz’ora quando il pallone arriva ad Ehizibue che dal limite calcia una gran botta in diagonale ma Mike è attentissimo. È il primo vero pericolo del match, è già un successo.
“And you’re the only thing I think about (I can’t do without you)”
Ci sono così tanti milanisti che, in questi anni, hanno immaginato e sognato un Milan senza Rafa Leao. Noi non siamo fra quelli ma se volete, possiamo fare uno sforzo. Ok, abbiamo chiuso gli occhi, entrando nelle loro fantasie più sconce: ne siamo usciti con uno scudetto in meno, per dire. Al minuto 42, invece, gli scudetti sono fortunatamente ancora 19 mentre Fofana vince un contrasto con Lucca e appoggia un pallone puntuale (ma un po’ debole) al limite dell’area, proprio per Leao. Quello che fa Rafa è il lavoro di un artista che raccoglie una palla di fango e, con un gesto improvviso, la trasforma in un’opera d’arte che brilla sotto i riflettori. Dal suo piede all’incrocio dei pali scopriamo quanto possa essere violento, un arcobaleno.
Ci sono furia, ferocia e prepotenza in abbondanza anche in Strahinja Pavlovic quando all’ultimo minuto va a colpire di testa sul calcio d’angolo di Pulisic portandoci su uno strameritato 0-2.
“It’s all that I can still do (I can’t do without you)”
Ci ritroviamo, inaspettatamente in una condizione di sopravvivenza emotiva, non più guidati da obiettivi ormai colpevolmente distanti ma irresistibilmente attratti dalla bellezza, interrotta solo ad inizio ripresa quando un terribile autoscontro fra Maignan e Jimenez lascia Mike inerme a terra. Vedere Abraham, lontano dall’azione, ricadere sulle ginocchia a pregare per lui è un’immagine potente, che gela il sangue e spezza ogni respiro. Un tempo sospeso, come se il cuore della partita avesse smesso di battere. Fortunatamente, non servono miracoli ma sono sufficienti i primi interventi dei paramedici per ritrovare coscienza (non solo la sua).
Entra Sportiello, pronto a partecipare alla festa risolvendo una situazione un po’ delirante in area piccola al minuto 65, dopo un calcio d’angolo. Poco dopo, Abraham passa dalle preghiere al campo, sostituendo Jovic, e mi tocca restare in questa “area biblica”, come se il canale aperto poco prima per Mike conducesse a una resurrezione che aspettavamo da tempo. Avevamo visto Theo brillare già contro la Fiorentina, ma lì, De Gea gli aveva ricordato che anche i più grandi sono solo uomini fallaci, ma al 74esimo, quando dalla sinistra Leao serve un tacco geniale a Tammy, che con una sponda apre una voragine, rivediamo quell’essere più mitologico che divino un tempo chiamato Theo Hernandez. Cavalcata incontenibile, ingresso in area e danni alla porta incalcolabili: 0-3.
Minuto 80. Tomori rimbalza un tentativo in area dell’Udinese, parte un contropiede talmente musicale che si dovrebbe stendere su un sequencer per ammirarne la struttura. Reijnders riceve da Pulisic a centrocampo, smista di prima per Abraham sulla destra, cambio di gioco immediato per Rafa dal lato opposto, col primo tocco entra in area, col secondo inventa uno scavetto delizioso per Reijnders che ormai nell’area piccola, segna il suo decimo goal in campionato. Come una squadra con tutto questo talento possa occupare quella posizione di classifica è un ossimoro concettuale sempre più disarmante.
“And you know you’re the one I dream about (I can’t do without you)”
L’irrazionalità dei sogni è ciò che li rende così speciali, in fondo. È stato bello per una sera, chiudere gli occhi e riabbracciare l’AC Milan che, senza preavviso, torna a dominare con grazia e potenza.
Non perché ci sia un grande piano, ma a volte accade, quando ricordi chi sei.
E per ora, basta quello.