(di Max Bondino)
Il Torino ha appena segnato, al 14esimo della ripresa, allo scadere. È il goal decisivo, quello dell’8-6. Per l’Anderlecht non c’è più tempo per recuperare. Il pallone passa sotto la rete, scavalca la recinzione e rimbalza, impazzito, contro lo stipite della porta. Fa un rumore sordo, di plastica vuota. Fabrizio, il mio compagno di banco granata delle medie, lo raccoglie per un test rapido fra indice e pollice, apre il cassetto della scrivania e ne recupera un altro per la rivincita (Non chiedetemi perché, ma quando giocavo in trasferta a Subbuteo, a casa di amici, portavo sempre l’Anderlecht). Il 29 aprile 1992, Paolo è seduto sulla poltrona di camera mia, inchiodato al Sony 14 pollici per la finale di Coppa Uefa contro l’Ajax. Indossa un improbabile berretto verdeoro (amarcord di Leo Junior). Sistemo i Masters at Work nella valigia dei dischi per la notte che ci aspetta e mi siedo sul tappeto a tifare per lui.
Ritrovai quel cappello brasileiro un paio di decenni dopo, in uno scatolone, a casa dei miei. Abbandonato per la delusione ma salvato dalle mani attente di mia madre. Stefano è del Toro, come suo padre ed è il cosiddetto “brother from another mother” di una vita. Da trent’anni è la prima persona a farmi gli auguri di compleanno attraversando tempo, spazio e storia delle telecomunicazioni. Suonando il clacson del motorino all’alba in cortile, telefonate urbane e interurbane, le cartoline di carta e quelle terrificanti animate che impestavano Outlook. SMS, MMS, Messenger e Whatsapp. Mai su (o grazie a) Facebook.
Insomma, ho sempre avuto tanti amici granata (forse è un caso ma credo anche che conoscere il gusto dell’amarezza, fin da piccoli, tenda a rendere migliori le persone) quindi, se proprio dovevamo buttare via tre punti, che vadano a gente con dei valori. Sia chiaro, mi girano le palle ma non riesco ad esser livoroso nei confronti del Torino e del suo popolo. Mi viene difficile come trovare difetti ad Annie Lennox. Certo, hanno una presidenza deprecabile ma “who am I to disagree?”. Ne abbiamo avute di altrettanto imbarazzanti pure noi.
Sono arrivato abbastanza leggero a questa partita, senza sottovalutarla ma avrei dovuto accettare il consiglio degli Eurythmics in “Thorn in my side”: “I should have known better but I trusted you at first”. Avrei dovuto saperlo che era un match destinato a trasformarsi in una spina nel fianco ma mi sono fidato, all’inizio. E come fai a non fidarti quando dopo 6 minuti dovresti stare serenamente in vantaggio di due goal. Sembrava esser l’appendice di Zagabria, tanti goal sbagliati anche lì ma parecchi messi dentro. Il fatto che a divorarseli sia stato il frontman della nostra band, era un brutto indizio. Soprattutto considerando che dopo il secondo, inguardabile errore, Leao ha iniziato a canticchiare “To run away from you was all that I could do”. È letteralmente fuggito, di corsa, veloce come lui sa fare, dalla partita e dai compagni questa volta, rifugiandosi in sé stesso, nel tentativo, vano, di rimediare.
E mi stavo quasi fidando pure di Tatarusanu, al 20esimo, quando l’ho visto prima, respingere con attenzione il bel diagonale al volo di Pietro Pellegri (ovviamente in versione Bobo Vieri per l’occasione) e un minuto dopo, bloccare, sicuro, il tiro centrale di Schuurs. Ma sapete, non durerà. Rafa, alla mezz’ora, si libera bene al limite e calcia, credo non meno di 8 metri sopra la traversa, la sua partita finisce esattamente qui e purtroppo anche la nostra. Due minuti dopo Il Toro ce ne fa due in 120 secondi, entrambi avvilenti per sviluppo e protagonisti in negativo. In telecronaca ci dicono “occhio ai saltatori del Torino…” Beh, sulla punizione dalla trequarti di Lazaro non salta nessuno dei loro ma neppure noi. A Djidji basta colpire di testa coi piedi piantati a terra in mezzo alla nostra difesa, più piantata di lui. 1-0. Faremo di peggio, sul secondo. Milinkovic Savic rinvia da fondo campo arrivando al limite della nostra area, immobilismo duro e puro che consente a Vlasic di servire Miranchuck che batte con un diagonale Tata, anche lui con in tasca la tessera del Partito Immobilista.
“Here comes the rain again
Raining in my head like a tragedy
Tearing me apart like a new emotion”
Sulla squadra che con le vittorie in trasferta ha costruito uno scudetto, piove tragicamente ed è un’emozione nuova, per certi versi, dimostra quanto ci avessero abituato bene. Vi ricordate quando facevo ironia in merito ai cambi nell’intervallo? Pioli dev’essersela presa perché ormai sono diventati la norma (e quando sono almeno tre, vuol dire che le cose che non funzionano sono parecchie). Escono Kalulu, Diaz e Leao (forse Brahim, il migliore dei nostri nel peggio cosmico del primo tempo) per Dest, CDK e Rebic. Rafa fuori per scelta tecnica fa un po’ impressione ma quando sbagli tutto credo sia il messaggio giusto da mandare a lui e alla squadra. Nessuno è intoccabile. Non accade granché. La partita è ormai apparecchiata troppo bene per le caratteristiche del Toro che, fortunatamente, rispettando la sua natura di squadra umile, punta a portare a casa il risultato perdendo tempo anziché costruire nuovi pericoli, evitandoci un passivo più fastidioso, vista la fragilità dimostrata. Dopo un quarto d’ora di gigantesco nulla arriva il goal di Messias, nato da un’uscita fuori area demenziale di Milinkovic su un lunghissimo lancio di Tonali. Junior si libera di Buongiorno con una strattonata (abbastanza fallosa) e segna con un pallonetto preciso all’incrocio.
Entra Bennacer al 70esimo e nonostante il nostro centrocampo diventi immediatamente più dinamico, è troppo tardi per sperare in qualunque cosa non sia un episodio, che sembra palesarsi al 91esimo. Sulla punizione di Rebic, c’è un gomito infingardo in barriera ma va detto, per quello che si è visto, il pari era davvero il massimo a cui poter ambire e con un Napoli che sembra voler arrivare a maggio con 120 punti, l’atteggiamento che dovremo avere per provare a riprenderli dovrà essere molto diverso da oggi.
“I’ve got a life, though it refuses to shine
I’ve got a life, it ain’t over, it ain’t over”
Ma c’è vita, anche se abbiamo brillato davvero poco. Il campionato si complica ma è tutt’altro che finito. A questo giro, forse sono più fortunato di molti di voi. Sto metabolizzando meglio questa sconfitta perché per me il gioco fra Torino e Milan si traduce anche in facce amiche e un mare di bei ricordi.
“Yeah, it feels like I’m seventeen again
Feels like I’m seventeen again
Looking from the outside in
Some things never change”
I palloni del Subbuteo non li incolli più, lo sapete, no? Una volta rotti, vanno buttati. Preferivo il Tango ma proviamo questo, è strano, tutto pieno di stelline. Però stavolta niente Anderlecht, Fabri. Facciamo che gioco in casa io, prendo il Milan. Il Salisburgo lo fai tu.
Certe cose, non cambiano mai.