BPM (Beats Per Matches) – Son Of A Gun: Verona-Milan

(di Max Bondino)

Parlare ad un microfono (in diretta, intendo), cioè “fare la radio” come amiamo dire noi, simpatici animaletti con le cuffie in via d’estinzione (per lasciare posto ai content creator da 15 secondi sui social) permette, negli anni, di sviluppare un vero e proprio superpotere, pressoché inutile ma molto figo: l’automatica percezione e misurazione del tempo che scorre. Mi spiego meglio: immaginate di incontrarci per strada, un attimo prima di dirci a vicenda “uè, grande”, vedo che sono le 18:54, dopodiché mi attaccate un pippone su fidanzate, situazioni politiche, figli pestiferi o peggio ancora le vostre considerazioni sull’ultima puntata di X-Factor. Ecco, nonostante io partecipi alla conversazione (escludendo l’ultimo caso), a un certo punto, so con precisione chirurgica che sono passati esattamente otto minuti, mi sono rotto le balle e devo andare. Allontanandomi, tiro fuori il cellulare dalla tasca che indica: 19:02 e mi confondo fra la gente con la faccia tronfia di Tony Manero nel finale di Stayin’ Alive.

Quando passi gran parte della tua vita con un countdown luminoso davanti che ti dice in quanto tempo devi esprimere qualunque cosa (intelligente o meno) ti stia rimbalzando fra le sinapsi o sei consapevole che il tempo a tua disposizione per raggiungere il bagno (ed esprimerti anche lì) è la durata di un pezzo pop (sottraendo intro e outro) entra in gioco l’evoluzione, dotandoti di un senso in omaggio, tipo quello che hanno i gatti, capaci di percepire il mio arrivo quando sto ancora cercando parcheggio sotto casa. Il tempo è tutto. Questa rubrica stessa nasce da una distorsione temporale: usare i beat delle canzoni per dare un ordine emotivo alle partite del nostro Milan. E proprio perché tengo molto a ciò che scrivo per voi, cerco sempre, nei momenti che precedono i match di ascoltare più roba possibile, generi diversissimi, poi la musica fa il resto perché citando il buon Danny Tenaglia, si sa: “Music is the answer”. Le risposte, le ho sempre trovate lì.

Aspettando Verona – Milan ascolto random i Beastie Boys. Poco dopo aver messo il caffè sul fuoco, lo shuffle mi propone “Hey Ladies”, l’ascolto e ripenso a che album fantastico fosse “Paul’s Boutique” (non a caso, quello di minor successo, la gente non ha mai capito un cazzo neppure nei good ol’ times) e mi sale subito la scimmia di risentire quella che era la mia traccia preferita di quel disco. Prima però, corro a spegner il fornello perché la mia Moka piccola impiega 4:50 a far il suo lavoro, “Hey Ladies” sta finendo e a questo punto starà gorgogliando. Spengo in tempo, Ecco a cosa serve il mio superpotere, a non sporcare in cucina. Dicevamo, la mia preferita. Era “Looking down the barrel of a gun”. E cosa si avvicina di più al guardare dentro la canna di una pistola, di una trasferta nella “Banal Verona”?

Perché esauriti gli argomenti vecchi di mezzo secolo, a questo giro hanno provato ad apparecchiarcela presentandoci Salvatore Bocchetti (il milanista misterioso che non ti aspetti) come il nuovo Guardiola. Si dice che per il pesce, l’acqua non esista così come per Rafa tutto questo mare di cazzate sulla sfiga che ci dovrebbero portare ‘sti gialloblu. Quindi, nonostante si capisca subito il livello bassissimo su cui l’avrebbero messa i nostri avversari, all’ottavo, l’MVP della Serie A ci porta in vantaggio. Hrustic consegna letteralmente palla a Giroud a metà campo, Oli fa quello che, per me, (grande maestro della tattica di EA Sports – It’s in the Game) dovrebbero fare tutti i suoi compagni: “Darla a Leao”. Rafa, dai “chevvelodicoaffare”: se li rolla tutti in area e dal fondo la mette in mezzo, Veloso per anticipare Giroud dietro di lui, la tocca dentro. Due minuti dopo, recupero palla di Brahim ancora in mezzo al campo che serve nello spazio il nostro numero 9, sembra la fotocopia del vantaggio ma questa volta lo scambio è con Diaz che non scarica su Leao ma mette Olivier solo davanti a Montipò, scavetto delizioso che esce, non so ancora come.

È qui che con in mano la pistola fumante che avrebbe ammazzato la partita, iniziamo a scrutare “in the barrel of a gun”.

“Looking down the barrel of a gun
Son of a gun, son of a bitch
Gettin’ paid, gettin’ rich”

È decisamente un match da “son of a gun”, questo e se il tempo è ciò che di più prezioso abbiamo, non c’è modo di arricchirsi con Verona – Milan. Al 18esimo Il Verona porta al tiro Gunther dopo una serie di buoni scambi al limite della nostra area. Il tiro è debolissimo, fiacco, centrale. Lo prenderebbe pure Tatarusanu. “O forse no?” deve aver pensato Gabbia che, terrorizzato dall’idea, prova a buttarla in angolo ma pareggia il conto degli autogoal. Due minuti dopo Leao fa “CTRL C + CTRL V” e ripete l’azione del vantaggio, a questo giro però la deviazione non è in porta ma in angolo. Il primo tempo scivola via secondo il piano dello stratega Bocchetti: “meniamoli forte e fingiamoci morti come opossum ad ogni occasione”. Si gioca male, si gioca poco. Ma non è un problema solo del Milan, è la Serie A ad essere una pozza di fango. Quando si fanno quei bei discorsi sullo spettacolo fornito dagli altri campionati, ricordiamoci che il problema non sono gli stadi (perché Maradona dava spettacolo anche in mezzo alle Fiat 127) ma una mentalità oscena e strisciante ormai assimilata da due terzi abbondanti delle squadre italiane, manca solo che qualcuno, prima o poi inizi a bucare i palloni come tattica conservativa.

La ripresa si apre con un colpo di scena: i cambi nell’intervallo, esistono. Entrano Rebic e Origi ed escono Giroud e Brahim anche se, la sensazione è che i problemi li abbiamo a centrocampo dove Adli (che resta un mio personale fetish nonostante il ruolo da desaparecido) ha fatto vedere buone giocate ma è veramente troppo leggero per una partita così infame, lasciando Tonali un po’ solo, unico ad essersi calato nel clima da Beastie Boys “Ultra violence be running through my head, cold medina y’all makin me see red”. Insomma, storie tese anche in apertura di ripresa, con due occasioni, una per parte. Prima loro con Krustic in area a cercare il tiro di sinistro sul secondo palo e poi Theo con una bella palla rasoterra in profondità a trovare Ante che tira a botta sicura ma Montipò respinge.

Al 56esimo, “mammamia everybody” per la traversa di Piccoli che colpisce benissimo sul cross di Veloso. Soffriamo molto sul divano ed anche i ragazzi a centrocampo, così Pioli, che sul mio divano ha poco potere decisionale ma su quel che accade a Verona invece sì, mette dentro Tommy Pobega e soprattutto l’unico insostituibile: Bennacer. E la differenza si vede subito, smettono di creare e tornano a menarci per venti minuti, rimanendo poi a terra, affranti dai sensi di colpa, credo. Creiamo due occasioni importanti, prima con una legnata da fuori di Theo e poi con una bella palla di Tonali per la testa di Rebic: Montipò sempre sul pezzo. Anche Origi fa vedere delle cose ma non ancora quelle che vorremmo, sembra sempre sul punto di stupirci ma poi invece, no. Per il momento è un po’ come quelle massaie confuse che rispondono ai call center: “Non ho capito, le passo mio marito”.

Il tempo. Passa, si perde. Lo avverto trascorrere in millisecondi. Da grandi poteri, d’altronde, derivano grandi responsabilità. A proposito, sapete che uno dei sample contenuti all’interno di “Looking down a barrel of a gun” (gli accordi di piano, per la precisione) è preso da “Time” dei Pink Floyd. Vi giuro che quando ho iniziato a scrivere non ci avevo pensato. Tutti i miei discorsi sulla percezione del tempo, quello sprecato, prezioso o perso vengono avvalorati dalla musica stessa, li scrive lei ‘sti “BPM”, mica io…và che è pazzesca ‘sta roba. Quindi, al minuto 81, i Beastie Boys: “Like Clockwork Orange, going off to the town, I’ve got homeboys bonanza to beat your ass down”. E chi se non Ante Rebic può rispondere a una citazione di Arancia Meccanica, secondo voi. Si esibisce nel suo pezzo forte: l’assist chiaroveggente. Dalla fascia destra mette dentro una palla filtrante per Sandro, nel momento in cui il pallone abbandona il suo piede inizia ad esultare, con tre secondi di anticipo rispetto a quando Tonali riceverà palla e di sinistro…will beat your ass down.

“It ain’t over ‘til it’s over” disse Yogi Berra che nel tempo libero giocava negli Yankees, negli anni 50, ma soprattutto sognava di scrivere canzoni per Lenny Kravitz. Esce Rafa ed entra Thiaw a cui bastano dieci minuti per salvarci la pelle due volte: prima all’86esimo chiudendo in spaccata sul tiro a botta sicura di De Paoli, poi a un minuto dalla fine respingendo sulla linea dopo l’ultima (non) uscita di Tatarusanu che ci teneva a lasciarci un bel ricordo di questo mesetto passato assieme. Come già ho scritto a sangue caldo sui social e rantolato nei messaggi vocali ad amici: Se scendesse una divinità a vostro piacere proponendomi l’immortalità con Tata in porta o quel che mi resta da vivere con Mike, accendo la due, confermo e attendo la fine dei miei giorni col sorriso.

Malick Thiaw a tutti, ci vediamo a San Siro.

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