(di Max Bondino)
Bambini che saltano a piedi uniti nelle pozzanghere così, come il cuore dovrebbe reagire agli imprevisti. Padri milanisti li rincorrono invano nel piazzale di San Siro. Chissà quand’è stata la prima volta in cui abbiamo deciso di aggirarle, l’esatto momento in cui qualcuno ci ha convinti che non valeva la pena bagnarsi. Io non lo ricordo mica più. Però vanto ancora un rapporto conflittuale con gli ombrelli, forse non è tutto perduto. A ridosso del mio Gate ce n’è una enorme. Una gigantesca pozza di fango in cui si specchia Milan – Udinese. Che dite, saltiamo?
“Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play”
Sono state due settimane nelle quali la collezione di rimpianti si è arricchita parecchio, tutti lì, in bella mostra d rante una sosta in cui rivivere il peggio. Sapevamo già, grazie alla saggezza di Theo Hernandez a Firenze, che la lettura delle formazioni non sarebbe stata una bella esperienza ma il forfait di Matteo Gabbia genera speculazioni su una linea difensiva a tema Halloween, in largo anticipo, come nei centri commerciali. Ma la paura è affascinante, lo sappiamo. Ci spinge a misurare i nostri limiti e guardare oltre. È una finestra attraverso la quale osservare i confini fra sicurezza e pericolo, controllo e caos. Una cosa però è certa, rivedere finalmente Pavlovic in quella linea a quattro in cui anche Freddy Krueger avrebbe tremato, mi ha restituito parecchio coraggio.
“And every demon wants his pound of flesh
But I like to keep some things to myself
I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn”
Il prezzo pagato ai nostri demoni è in bella vista. Tutti i “colpevoli” di Firenze che non si sono regalati un’espulsione sono lì, seduti in panchina. Ma forse, da quella negatività, stasera è nato qualcosa di nuovo. Così, dopo una palla scioccamente persa nei primi secondi del match (per dare un senso a tutti i miei discorsi sulle qualità formative della paura), l’AC Milan inizia a giocare e lo fa bene. Già al minuto numero 8, una grande apertura di Pavlovic lancia Okafor che dribbla, si accentra ma calcia troppo centrale. Nel mentre, l’Udinese abbatte (nell’antica arte dell’Aikido) ogni singolo rossonero in maniera preventiva. Accadrà per 100 minuti senza mai vedere un cartellino giallo dedicato.
Quattro minuti dopo, il vantaggio. Ed è bellissimo. Okafor replica la più classica delle giocate di Rafa sull’esterno, butta la palla avanti e non lo prendono più. Dal limite serve centralmente per Pulisic che controlla e scarica in meno di un secondo a Chuckwueze sulla destra che, di prima, la incrocia sul palo lontano. Altra manciata di minuti e ancora Okafor, imbeccato da Reijnders serve in mezzo per la testa di Morata che colpisce troppo centrale. Restiamo lì, a fare “glamping” nella loro area, anche se con meno precisione ma con ritrovata eleganza. Stilosissima una giocata di Fofana al 22esimo, con un velo da passerella, si apre un’autostrada per Pulisic che avanza e cerca il tiro quando, forse, servire nuovamente Chukwu sarebbe stato più saggio ma sappiatelo, non sentirete mai da me una critica gratuita al giocatore più forte della Serie A.
“And I’m ready to suffer and I’m ready to hope
It’s a shot in the dark aimed right at my throat”
Sono gli ultimi momenti normali di una partita che torna ad essere quella pozzanghera piena di fango in cui abbiamo deciso di saltare a cuor leggero. Al minuto 28 un banale lancio dell’Udinese trova tutta la nostra linea difensiva altissima e fuori tempo lanciando Lovric, in solitudine, verso la porta. Lo deve inseguire Reijnders a cui basta sfiorarlo per rimediare il rosso diretto. È un colpo duro, letale e preciso, piantato lì fra sofferenza e speranze. In chiusura di primo tempo l’Udinese trova il pari con Ehizibue, di testa ma quei favolosi fuorigioco in cui anche i pensieri lungimiranti finiscono (che tante volte abbiamo maledetto), stasera ci benedicono.
“And it’s hard to dance with a devil on your back
So shake him off, oh whoa”
Ci sarebbe piaciuto ballare. È anche sabato sera, oltretutto. Ma se persino il Diavolo in persona porta il peso dei suoi demoni, nessuno meglio di lui sa come scrollarseli di dosso. Assistiamo così ad una ripresa di pura sofferenza ma l’AC Milan lo fa nel modo migliore, accettandola, senza subirla mai davvero. Nell’ennesima, fangosa partita di una Serie A sempre più allo sbaraglio, dove ogni match è una recita sceneggiata a braccio da chi la dirige, emerge la grandezza assoluta di uomini come Christian Pulisic che trascorre la ripresa a fare da tutor ad un Terracciano più imbarazzato di noi, nel vederlo giocare a San Siro. Non è da meno Morata che, dal day one, ci ha fatto capire quanto si spenderà per questa maglia. Il paradosso è che, nonostante il clima ansiogeno, Maignan non deve compiere miracoli, limitandosi a molte uscite alte su tutti i palloni che l’Udinese continua a buttare
dentro.
Siamo noi, ad avere un paio di occasioni clamorose. La prima è una ripartenza di Morata che dopo 60 metri, stremato, entrato in area, sterza sull’avversario (probabilmente sperando di trovare un rigore) ma viene recuperato. Poi assistiamo ai tragicomici tre minuti della partita di Abraham, entrato al 72esimo, si ritrova a fare una sponda in area per Pulisic che controlla, danza in mezzo a quattro difensori, trova un rasoterra insidioso, respinto corto dal portiere, Tammy ci si avventa, a meno di un metro dalla linea, accartocciandosi su sé stesso come se qualcuno gli avesse sfilato la colonna vertebrale, in porta ci finisce lui, non la palla. Cadendo si fa anche male ed esce, lasciando il posto a Loftus Cheek. In tempo zero, tornano a circolare sulle chat le video collection piene di “epic fail” che gli avevano dedicato i tifosi romanisti.
Il suo infortunio ingrassa ulteriormente il recupero. Sette minuti che diventeranno dodici perché al 95esimo l’Udinese con l’ennesimo traversone dentro l’area, trova l’intero nostro campionario di insicurezze difensive e dopo un mezzo miracolo d’istinto di Maignan, Kabasele, in mischia, la spinge dentro. Quando molta gente attorno stava abbandonando lo stadio, la scritta VAR appare sui msxischermi come l’occhio di Sauron ad esercitare il suo potere sul nostro regno. Dopo tre minuti scopre un altro di quei fuorigioco subatomici che hanno ormai trasformato il gioco del calcio in qualcos’altro. Restano un paio di minuti nei quali si staglia, quasi mitologico, Pavlovic, con la testa fasciata e sanguinante a rastrellare tutto ciò che osa avvicinarsi a Mike.
“Cause looking for heaven, found the devil in me
Looking for heaven, for the devil in me”
È un risultato piccolo ma gigantesco per i significati che porta con sé. Una serata da poveri diavoli, forse ma da Diavoli veri.
A volte, la felicità, si trova proprio al centro di una pozzanghera.