(di Max Bondino)
Le situazioni di particolare disagio si affrontano spesso con una maschera. Quale s’intona ad un Friday Night sottozero in San Siro? Ne ho provate diverse ma nessuna mi convinceva davvero, rimedio così con un look post-apocalittico, fatto di felpa con cappuccio calata sul cranio già imbustato nel cappellaccio d’ordinanza e scaldacollo fino al naso incastonato nella sciarpa del 120esimo compleanno rossonero. Non esattamente la maschera per l’anima che cercavo ma una serie di ottime scelte se nel post partita dovessi decidere di rapinare un bancomat senza raffreddarmi troppo. Sui maxischermi, il cameraman indugia sulla testa nuovamente platinata di Theo ma è solo quando si volta di tre quarti che tutto mi è chiaro. O quantomeno so cosa avrei finito con lo scrivervi qui, che è già qualcosa. Lo smiley che si è disegnato sul lato destro della nuca non è solo la maschera che andavo cercando ma quella che il Milan ha indossato in questo inizio d’anno allucinogeno.
Nell’inconsapevole, tamarra ignoranza di Theo Hernandez c’è un simbolismo che mi prende subito a sberle. A metà strada fra la faccina sfatta e stonata dei Nirvana e quella fatta e gioconda dell’Acid House, eccolo lì il volto di chi pensava che questa stagione potesse essere la nostra “Second Summer of Love” e si ritrova per un mese a farsi un trip nello scarico di un cesso scozzese come Ewan Mc Gregor in Trainspotting. Insomma, siamo scoppiati ma non ci leverete il sorriso.
“I’ll be your friend
until the end
all the time
standing by your side”
Il messaggio semplice ed universale di Robert Owens che molti fratelli rossoneri hanno dimenticato non appena la propria squadra ha smesso di funzionare come una “proiezione di sé” (esattamente come i genitori psicologicamente scassati fanno coi figli), è più che mai attuale durante il primo tempo di Milan – Torino. Roba forte e acida, che solo un sentimento come l’amicizia (meno fashion dell’amore ma decisamente più potente) può rendere sopportabile. Il Toro gioca a calcio, noi ancora no. Il migliore dei nostri è Malick Thiaw e si vedono scene brutte che nemmeno nei parcheggi dell’Amnesia. Come quando Kjaer inciampa in area da solo, sul pallone, crollando a terra davanti a Tatarusanu creando almeno tre diverse sliding doors verso un rigore contro che schiviamo miracolosamente.
“Don’t let them get you down – get up and stand your ground, get real”
Come suggerisce Paul Rutherford, non ci siamo demoralizzati, quantomeno. La priorità era difendere il fortino. Essere realisti. Siamo ancora un po’ scoppiati ma forse ci scappa un sorriso, di quelli gialli e irriverenti. Ce ne scappa uno isterico, quando il secondo tempo si apre con una serie di stop sbagliati di Saelemaekers da mandare ai pazzi un allenatore dei pulcini ma qualcosa si muove. Probabilmente la miscela chimica sulla testa di Theo fa reazione col sudore e gli entra in circolo, si rivede qualche accelerazione e creiamo ben due palle goal in due minuti. Al 54esimo con Leao che spara su Milinkovic una bella sponda di Giroud e al 56esimo proprio Olivier con un diagonale a botta sicura con la palla che sembra rotolare lentamente in porta, poi salvata sulla linea.
“Don’t make me wait too long
Ooh I need your touch
Don’t make me wait for your love”
La storia d’amore fra San Siro e Olivier Giroud è talmente passionale che l’astinenza non è praticabile. Così, con la voce sensuale di Jamie Principle, facciamo presente quanto siamo ormai “ormonalmente” alla ricerca di un goal. Lo sentiamo avvicinarsi, a piccoli e rapidi tocchi come il synth di Frankie Knuckles in Your Love. Al minuto 62, Acid Theo sale e fa male. Dalla sinistra mette finalmente l’arcobaleno perfetto in mezzo all’area. “Love can’t turn around” cantava Darryl Pandy. L’amore no, ma Giroud turns around a lot. E lo fa ancora una volta, splendidamente, di testa a sublimare una partita di lotta e di governo commovente. Theo per Giroud è il “French Kiss” che stavamo aspettando. Il preliminare di chi vuole darsi di nuovo da fare sul serio. Come nel classico di Lil Louis, i BPM di San Siro hanno un boost per poi rallentare, esausti verso un piccolo orgasmo atteso davvero troppo.
Potremmo raddoppiare a un quarto d’ora dalla fine dopo una ripartenza di Kalulu sulla fascia ma Theo spara fuori l’assist di Pierre. Lo stadio invoca Zlatan ma entra Origi e finisce così, con lui a difender palla alla bandierina del corner, una delle zone erogene delle nostre ultime stagioni.
Fatboy Slim, uno che dello Smiley ha fatto un brand di sé stesso era solito raccontare che la forza di quel simbolo è la sua capacità di esser sempre di moda e out of fashion contemporaneamente, “un po’ come la mia carriera”, diceva. L’AC Milan, sfoggia ancora quell’espressione stonata dipinta sul “retro-cranio” di Theo, ma è sempre qui. Siamo ancora un po’ scoppiati ma ci è tornato il sorriso.
“As we walk, hand and hand,
Sisters, brothers
We’ll make it to the promised land”