(di Max Bondino)
Sento le voci. Non esattamente come una giovane moglie fresca di trasloco in un’isolata casa vittoriana del Wyoming (come ci insegna il cinema horror) ma sono tutte attorno a me. Le sento mentre fisso il palmo della mia mano, la linea dell’amore e quella del destino sono coperte dal cellulare ma quelle dello sdegno verso l’Atalanta, impegnata in una sessione olimpica di “viva il parroco” contro il Napoli, sono ben visibili sulla mia fronte. “Certo che loro…No ma poi lo sai che va a finire così…Guarda, lo stavo per dire…Dai, ci siamo capiti, ma vedrai…”.
Sulla metro per San Siro mi accorgo che la gente non si fida di questa partita. Siamo passati dalla grandeur della Champions all’ansia per lo Spezia in meno di tre giorni. Esiste qualcosa di più psicolabile del tifo? Alzo gli occhi dallo schermo e me li immagino tutti vestiti come i bizzarri protagonisti del video di “True Faith” dei New Order, impegnati a prendersi a schiaffi l’un l’altro, senza motivi validi. Anche perché io mi sento esattamente come la prima strofa di quel pezzo.
“I feel so extraordinary
Something’s got a hold on me
I get this feeling I’m in motion
A sudden sense of liberty”
Sto divinamente. L’effetto Champions è ancora fortissimo, mi sento libero e superiore alle brutture della Serie A. Prima di arrivare al capolinea, un bambino millanta di aver sette anni, il padre lo corregge con uno sprezzante “sei e mezzo!” per poi indorargli la pillola spiegando agli amici quanto sia forte nel corridoio di casa mentre gioca a fare il portiere urlando: “MAIGNAN! MAIGNAN!”. Ah, se solo fossi un metro e venti più alto, giovane cuore, avresti già un curriculum convincente per la titolarità, stasera. Siamo di nuovo 70mila e spicci per l’ennesima volta ma mi raccomando, facciamo uno stadio più piccolo, fonoassorbente, ritardante per lui, stimolante per lei e con i seggiolini dotati di dispenser per la salsa soia dove intingere gli uramaki. Mentre Pioli, nel freschetto di San Siro, non abbandona la sua t-shirt nera (me lo immagino a casa, con un guardaroba vario come quello di Dylan Dog), Zlatan appare sui maxischermi per un attimo, San Siro si arrapa. Lui lancia occhiate, cuori e una promessa. Aspettatemi, sto arrivando. L’unico a non esserne entusiasta è forse Origi e questa partita lo spiegherà piuttosto bene.
Il Milan gioca i primi venti minuti in maniera autoritaria e in universo parallelo leggermente meno stronzo di questo, potremmo trovarci velocemente sul 2-0. Brahim Diaz è in fiducia, si vede e risulta imprendibile in velocità ma mai quanto Rafa Leao che al 14esimo ara letteralmente la fascia incurante di un paio di spezzini aggrappati addosso come nei cartoni animati, la mette rasoterra in area per Origi che forse fa la cosa migliore della sua partita: un tiro centrale che con un po’ di fortuna avrebbe potuto prender in controtempo Dragowski che invece, respinge coi piedi. Divock è un bel giocatore, lo sappiamo ma ci ostiniamo a travestirlo da Giroud e non è chiaramente a suo agio. Dal 16esimo, un filo di disagio iniziamo a provarlo tutti, quando Krunic colpisce un incrocio clamoroso e pochi secondi dopo sempre Dragowski salva da un metro (a la Garella) su colpo di testa di Brahim. Passa un altro minuto e questa volta è Messias a sganciare un sinistro fortissimo che, semper lù, il Jason Momoa delle Cinque Terre, alza in angolo. È il minuto numero 20 quando Ismael Bennacer disegna un arcobaleno da destra a sinistra verso quel pentolone d’oro chiamato Theo Hernandez che stoppa di petto e insacca nell’area piccola. Vi ricordate quando si poteva esultare ad un goal della tua squadra? Che tempi. Ora devi star punito, muto, con lo sguardo rivolto ai maxi screen in attesa che appaia la scritta VAR – check in corso. Dopo il goal di c’è stato il tempo di ascoltare la versione integrale di Blue Monday.
A proposito, signor Fabbri: “How does it feel, to treat me like you do?” Non so a casa ma noi allo stadio ci siamo sentiti ostaggio di un mentecatto (nell’accezione latina, mente captus, ovvero colui che nell’antica Roma si faceva condizionare nella stesura del suo testamento, sia messo agli atti che gli abbiamo augurato tutti ottima salute). Nel nuovo San Siro ci sarebbe stato il tempo di farsi preparare il Fugu da uno chef stellato giapponese. In quello attuale, prender atto che stava iniziando una di quelle barzellette che non fanno ridere. Intanto Fabbri e i Varisti stanno alla strofa che recita: “I thought I was mistaken, I thought I heard your words” e a quanto pare non si sentono o capiscono, ciò che è certo è che si sbagliano e dopo soli 5 minuti di nulla, viene convalidato. No ma sinceramente: “How does it feel, to treat me like you do?”. Collezioniamo altre belle azioni con Brahim sempre molto reattivo e qualche sbavatura di troppo dietro, figlie sempre del terrore nero generato dal nostro numero 1 che ci ricorda la caducità della vita allo scadere del primo tempo con un’uscita assassina fuori area che avrebbe regalato l’1-1 a qualsiasi squadra sopra il 15esimo posto (sapete, ho conosciuto un bambino di sei anni e mezzo ma ne dimostra 7 che nel corridoio…vabbè, dai). Nel recupero, altra traversa di Leao e combo di salvataggi e parate sulla linea. Welcome to Terrordome!
Possiamo ripartire dal 59esimo, a questo punto. Sapete le regole base dei viaggi nel tempo, no? A grandi linee: Potete andare, tornare e far quel che vi pare ma non interferite con la storia e le altre versioni di voi stessi, altrimenti sono cazzi. Il tiro a giro di Daniel Maldini, a San Siro, a pareggiare il conto, genera evidentemente un paradosso con lo Spezia – Milan dello scorso anno e da questo momento in poi, salta il banco, il nonsense regna. Cinque minuti dopo, Tonali riceve da Origi e dai 25 metri, al volo, segna il goal più bello della sua carriera con una freccia all’incrocio. Mentre raccolgo i cocci di me stesso dopo l’esultanza, i maxi screen hanno di nuovo qualcosa da dirmi. Al Var scoprono che Tomori, nel 2010, alle medie, ha fatto sega a scuola per andare a Soho a comprarsi dei Levi’s contraffatti. Le leggi della FIGC sul copyright sono rigide e quindi niente, goal annullato. Si crea un bel clima. Il Signor Fabbri mostra lo stesso carisma di una libreria Billy dell’Ikea e volano spinte, provocazioni e gialli a pioggia per far vedere ai parenti a casa che assieme al fischietto, gli hanno dato anche quelli, è un ometto, ormai. Visto il clima far entrare Rebic sembra doveroso, assieme a De Ketelaere ed Olivier Giroud al 71esimo. Sembra avverarsi la mia profezia all’87esimo che vedeva CDK svoltare con un goal sotto la Sud. Tutto rimandato perché la ribattuta nell’area piccola viene deviata in angolo.
Due minuti dopo, Kalulu recupera un bel pallone su una loro uscita e serve Tonali che dopo il capolavoro annullato decide di dipingerne un altro in versione assist, avanza e lascia andare una carezza sotto forma di cross verso Olivier Giroud (la sentite, Temptation dei New Order?).
“Up, down, turn around
Please don’t let me hit the ground
Tonight I think I’ll walk alone
I’ll find my soul as I go home”
Olivier vola, si gira. Quando impatta la palla col sinistro in acrobazia sembra non debba mai più toccare terra. E’ lì sospeso, nell’aria e nel tempo, l’uomo che avrebbe dovuto iniziare ad indossare quella maglia numero 9 senza padrone almeno un decennio fa. È il 2-1 e avrò bisogno di una passeggiata, in solitudine, per riprendermi, sperando che la mia anima sia davvero sulla strada di casa perché devo averla sputata lontano mentre per tutti i 5 minuti di recupero ho continuato ad urlare “LEVAMI ANCHE QUESTO (insert appellativi here)!”
L’esimio Fabbri riesce ad inventarsi un calcio d’angolo inesistente all’ultimo secondo che quasi ci costa il pari, mandando ai pazzi Tomori mentre Rebic organizza piccole sessioni di mani-in-faccia a centrocampo per conto suo, nella più totale anarchia.
“I used to think that the day would never come”. Avremmo potuto rimanere per sempre dentro questo nuovo incubo delle partite contro lo Spezia ma “I’d see delight in the shade of the morning sun”.
Tre punti e un’altra alba insieme, AC Milan, quanta fede.