(di Max Bondino)
“La fabbrica del tempo”. Accompagnati da questa espressione, le migliori menti del mondo cercano di rivelare e spiegare i misteri dell’universo rincorrendo le sue leggi. I filosofi, invece, passano il fardello sulle spalle dell’umanità, nella consapevolezza di una mortalità che rende doveroso plasmare il poco tempo a disposizione, dandogli un senso. Martedì sera, ai milanisti è bastato rivedere Kakà nel prepartita per curvarlo, quel tempo. Mentre Ricky dava vita al “paradosso dei gemelli” di Einstein, con lui a viaggiare, lontano da noi, al 99.9 % della velocità della luce, lasciandoci qui ad invecchiare al
posto suo, negli ultimi vent’anni. La mano picchia sul petto e tutti torniamo per un attimo a ricordarci “perché siam venuti fin qua” (a spendere un centinaio di euro, nel più economico dei casi).
“If I could turn the page
In time then I’d rearrange just a day or two
Close my, close my, close my eyes
But I couldn’t find a way”
Quanta voglia di voltare pagina. Ma con la sinistra, a ritroso. Sistemare un paio di cose, chiudere gli occhi e regalarci un presente migliore. Ma niente da fare. Oddio, a dir il vero, l’immediato ritorno in questo spaziotempo non è stato malaccio. In campionato, in vantaggio dopo due minuti, in Champions ne sono serviti tre. Ed il goal è anche bellissimo. La sponda intelligente di Morata a liberare Pulisic sulla destra, l’ingresso in area, il diagonale perfetto.
“Tell me lies, tell me sweet little lies
Tell me, tell me lies
Oh no-no, you can’t disguise”
E adesso mentimi. Fallo spudoratamente, AC Milan. Dimmi che sei tornato, che la pagina l’abbiamo voltata, ma con la mano destra, affamati di nuove storie. A volte le bugie somigliano ai sogni. La realtà è un incubo già visto invece, con Mike Maignan che inizia ad infortunarsi respirando troppo forte già al minuto numero 6. Sarà un calvario lungo un tempo. Prima della terrificante traversa di Salah al diciassettesimo, sembrava potessimo partecipare alla serata, dopo l’ignorantissimo fallo di Calabria su Gakpo pochi minuti dopo, eccola lì la verità. Una punizione, un corner corto dalla sinistra regalato. Palla
in mezzo, l’uscita del malconcio Mike (che peraltro, ci salverà in diverse occasioni da un passivo più pesante) è davvero pessima, Konate pareggia facile di testa.
“Although I’m not making plans
I hope that you’ll understand there’s a reason why
Close your, close your, close your eyes”
La nostra immaginazione, termina in quel momento. La squadra ce lo fa capire. Non hanno più un piano loro, figuriamoci se possiamo sognare noi. Sarebbe meglio non guardare. Alla mezz’ora Mike blocca prima un tiro centrale di Salah e poco dopo, con stile, devia un diagonale di Gakpo, sulla respinta è ancora l’egiziano a prendere la sua seconda, assurda, traversa personale. Il primo tempo alterna i momenti in cui Maignan chiama i soccorsi a quelli in cui il Liverpool cerca senza sosta il vantaggio. Lo trova nel modo meno creativo, al 41esimo, con un angolo su cui Van Dijk salta in mezzo
a cinque dei nostri abbastanza atterriti.
Mike fa in tempo a salvarci ancora nel recupero su Gakpo e ad inizio ripresa con un’uscita bassa su Jota che gli costa anche uno spaventoso frontale con Tomori. Esce, lasciando il posto al “bro” Torriani, prima che la sorte estragga il suo nome anche per una eventuale lapidazione. Un Liverpool col freno a mano tirato, riparte quando e come vuole regalando l’impressione di poter segnare in qualunque momento mentre noi fatichiamo a metter assieme tre passaggi puliti di fila, o magari arrivare per primi su una seconda palla sporca almeno una volta, così, per spezzare la routine. Il terzo goal dei Reds
arriva proprio su una ripartenza con il Milan sbilanciatissimo senza alcun senso logico, Gakpo serve in mezzo un liberissimo Szoboszlai che la chiude. Da qui in poi, l’unico che vedremo davvero dannarsi l’anima di fronte alla sconfitta è Abraham, uno che fra nove mesi tornerà a Roma e poi, chissà dove.
“No more broken hearts
We’re better off apart, let’s give it a try
Tell me, tell me, tell me lies”
San Siro, a cui già mancavano circa ventimila persone a causa del vergognoso aumento dei prezzi (di cui si dovrebbe parlare di più), si svuota con largo anticipo. Forse, fanno più rumore i silenziosi cuori spezzati dei sonori insulti della curva, ormai nel recupero. Cercavamo una bugia stasera, una di quelle “bianche”, dolci, che fanno sognare, ci ritroviamo solo quelle manipolatorie e patologiche dei proclami nelle interviste al New York Times, quelle strategiche sulle storie di Instagram e le vanesie balle travestite da imitazioni di Chuck Norris davanti ai microfoni nei prepartita.
Solo una manciata di giorni fa, ci auguravamo che il Milan ritrovasse la voglia di essere sé stesso, mettendoci testa e cuore, davanti ai quali gli abbiamo storicamente perdonato di tutto.
Oggi no, “you can’t disguise”. Le maschere sono cadute. Domenica, guardatevi in faccia.