(di Max Bondino)
Ogni religione che si rispetti ha la sua parola fighissima per raccontare la fine dei tempi o se siete gente un po’ più ottimista, il cosiddetto “evento trasformativo di portata universale”. Io, ovviamente, essendo cresciuto in Italia, con una formazione cattolica, sono ferratissimo su Titanomachia e Ragnarok, grazie a Kratos e vent’anni passati a finire tutti i “God of War” usciti.
Qualunque sia la vostra specializzazione in merito, una cosa ci accomuna: tenere d’occhio i segni. I segnali non mentono mai, dicono. Così, nella settimana in cui Zlatan, Fedez e Luciano Moggi ci spiegano il futuro del calcio, con la Kings League, le carte magiche per il goal doppio e i rigori presidenziali, scopro (mentre cerco di vedere Vero Volley–Conegliano) che Dazn trasmette una versione araba di QSVS di Telelombardia con due giornalisti british impegnati a raccontare la partita dell’Al Nassr, in uno studio che ha come ospite d’onore Luca Antonini.
“… That’s great, it starts with an earthquake
Birds and snakes, and aeroplanes
And Lenny Bruce is not afraid”
Ok, capisco che con Antonini siamo già a livello dei sette sigilli ma i segni, sono davvero ovunque, anche un po’ più subliminali, a volte. Sulla M5 per San Siro gli smartphone non cercano le ultime di formazione ma stanno tutti streammando Sinner, impegnato a riportarci in finale di Coppa Davis. Potete anche non credermi ma molta gente ha continuato a farlo anche sugli spalti durante uno dei più avvilenti ed irrispettosi Milan – Juve di cui io abbia memoria.
“Six o’clock. TV hour
Don’t get caught in foreign tower”
La collocazione alle sei del pomeriggio si dimostra l’unica nota positiva di quello che, un tempo, era il nostro personale, attesissimo, Armageddon. Oggi invece, rinchiusi qui, nella torre del castello a sospirare fra un “dai, a quest’ora non fa nemmeno così freddo” e “dove avete prenotato per cena?”. Nel racconto della partita finisce anche il giubbottino da cinquemila euro che il marketing ha messo addosso a Fonsie, strappandolo dalla paninoteca di Arnold per catapultarlo nella gang dei T-Birds di Grease.
Arrivati a questo punto, possiamo dircelo. Questo episodio di BPM avrebbe potuto stare in un tweet o in vocale di Whatsapp inferiore al minuto (come la legge prevede) ma alla fine, mi piace stare con voi. Anche quando non c’è una partita da raccontare, persino quando il momento più esaltante del primo tempo è stato una spallata in recupero difensivo di Leao. Forse, la più grande soddisfazione è stata sincerarsi di quanto provinciale sia questa Juventus, impegnata a perder tempo sulle rimesse laterali praticamente dal primo minuto, come una qualsiasi Udinese. Ma se loro sono poca roba, noi una vaga idea di ciò che vogliamo essere, proprio non ce l’abbiamo.
“With a fear of height, down, height
Wire in a fire, represent the seven games”
Terrorizzati dal crescere, la vertigine dopo ogni buon risultato, sempre affascinati dal caos. È davvero incredibile pensare che ciò che abbiamo visto sia stato davvero un Milan – Juventus, roba da rimpiangere quelli di metà anni ’80 dove eravamo scarsi sul serio ma in bundle ci trovavi del “Pulp” con Oscar Damiani a dare pugni sul naso a Cabrini, quantomeno. Oggi ci scopriamo orgogliosi di Fofana e un po’ preoccupati per Morata che avrà anche costruito una carriera sul mito del giocatore generoso, dedito al sacrificio ma l’abbiamo preso un po’ troppo sul serio, temo. Il fatto che sia diventato a tutti gli effetti il nostro miglior mediano di interdizione è un po’ inquietante.
Interdetti anche noi, nella ripresa, dove la mole del nulla raggiunge la massa critica. Nessuno tira. Sembra una di quelle rappresentazioni del calcio ridicolizzato dai Simpsons per raccontare quanto possa risultare noioso al pubblico americano. A proposito di Yankee, vediamo Pulisic entrare a venti minuti dalla fine, a scaldarci un po’ il cuore con qualche sgasata ma l’AC Milan è ormai un monolite di poliuretano, isolante ai massimi livelli. La notizia, sul finale, è l’ingresso di Davidino Calabria con sottobraccio il faldone della sua causa per mobbing.
I tre minuti di recupero risultano i più movimentati del match perché 75.502 persone stanno scendendo i gradini.
“It’s the end of the world as we know it and I feel fine (time I had some time alone)
I feel fine (I feel fine)”
È uno 0-0, sarà mica la fine del mondo, no? Godiamo di buona salute, fra disastro e disillusione mentre osserviamo tutto crollare. Perché, alla fine, forse il miglior modo per affrontare il tutto è far finta che non stia succedendo nulla. O, forse, è solo il modo che abbiamo trovato per sopravvivere.