(di Max Bondino)
“Questa dichiarazione è falsa”. Se l’affermazione fosse vera, implicherebbe il suo esser menzogna. Al contrario, fosse realmente una bugia, significherebbe che è vera, sostenendo, appunto, di esser falsa.
Il grande classico dei paradossi, quello del mentitore a metter in discussione la natura stessa della verità e tutte le sue contraddizioni. Per secoli, linguisti e filosofi hanno faticato a venirne a capo e noi, li lasciamo lavorare. Ad ognuno il suo. Anche perché, abbiamo già i nostri, di paradossi, tipo andare allo stadio e sentir squillare i cellulari di gente seduta un anello sotto di noi.
Perché anche asserire che: “San Siro è uno stadio” potrebbe esser una menzogna, allo stato attuale delle cose.
“A thought that never changes
Remains a stupid lie
It’s never been quite the same
No hearing or breathing
No movement, no colors
Just silence”
Il primo tempo di Milan – Cagliari è tutto lì, nei versi dei New Order. Ci sono pensieri e convinzioni discutibili, prese di posizione, pochissime bandiere, poco movimento in campo e un clima senza nessun senso. La curva ripropone il “rumore del silenzio” e ci aggiunge “l’eco delle assenze” perché a differenza del match contro il Genoa, stavolta i seggiolini vuoti sono la maggioranza, nella Sud.
San Siro soffre di alopecia umana un po’ in tutti i settori purtroppo ma è la componente psicologica a destabilizzare di più, la soggezione maturata da un popolo intero a disagio nel tifare come chi tossisce al cinema.
In questi giorni si è evidenziato spesso come la “compostezza” di questa contestazione sia un valore, incensando il suo civile distacco ma sapete che, sinceramente, mi mancano i “vaffanculo”?
Perché nell’insulto c’è passione, un urlo rabbioso si trasforma facilmente in un abbraccio. L’apatia porta solo al disamore ma c’è un altro aspetto ancora ed è il più importante, per me, attualmente.
La situazione che si è creata non è altro che il prolungamento della festa nerobleah. Dopo il corteo e il pullman scoperto, siamo noi il loro entertainment. Vedere come ci hanno ridotto, quanti danni hanno fatto. Ecco, questo si sarebbe potuto gestire meglio.
Perché è vero che nel mirino c’è la proprietà, oggi (gli stessi che, ieri, hanno licenziato Paolo Maldini come fosse una centralista, accompagnati da un altro tipo di silenzio generale) ma il rischio di perdite collaterali è altissimo.
“Rise and fall of shame
A search that shall remain”
Così, un AC Milan in imbarazzo più psicologico che tecnico (fatta eccezione per Musah che sembra sempre meno portato per questo sport ad ogni apparizione) produce un bel tiro da fuori di Florenzi al decimo e soprattutto il primo goal stagionale di Bennacer (alla mezz’ora) che appoggia in rete l’ultimo rimpallo impazzito di un flipper innescato sul fondo da Pulisic e Chuckweze.
“The sign that leads the way
The path we can not take
You’ve caught me at a bad time
So, why don’t you piss off?”
Fatichiamo tutti a trovare una strada da seguire. La squadra invece sembra riuscirci nella ripresa, scrollandosi di dosso fastidi mentali ed ambientali, entrano Leao, Tomori ed Okafor e trovare modo di fare una personale dedica alla propria mamma diventa l’obiettivo comune. Dopo una clamorosa traversa di Rafa al minuto 48, produciamo quattro goal, oggettivamente, uno più bello dell’altro. Dieci minuti dopo, sempre Leao si porta dietro mezzo Cagliari puntando la porta, il taglio dentro di Pulisic è perfetto, il tocco con cui lo mette solo davanti alla porta, ancora di più. Mi alzo dal seggiolino e mi accorgo che sto già applaudendo quando Christian ha ancora la palla nei piedi, non può sbagliare.
Anche Sportiello dedica un paio di parate alla signora che porta scritta sulle spalle, prima del 2-1 del Cagliari con Nandez che, al 63esimo, su un cross dalla trequarti, sbuca in area alle spalle della sagoma di cartone amichevolmente chiamata Musah, ad imbucare il goal numero 44 – in fila per sei col resto di due – di questo fanciullesco campionato. Tanto orrore dietro ma moltissima bellezza davanti. È 3-1 dieci minuti dopo con una stecca violentissima da venti metri di Tijjani Reijnders che si incastona nell’angolino basso. Ne passano altri dieci per vedere Ismael Bennacer trovare Leao nello spazio con un passaggio immaginifico che non vedevamo da eoni. Rafa non lo sposti ma soprattutto, non lo prendi, punta la porta, supera Scuffet come noi lo zerbino di casa e appoggia a porta vuota. Rischia la doppietta un attimo dopo, servito da Pobega (bentornato, Tommy!) entrato benissimo in partita. La realizza invece Pulisic a cinque dalla fine, raccogliendo un traversone di Okafor, stop in area, diagonale potente che Mina respinge aldilà della linea.
Già sul 4-1, una join venture fra secondo e terzo anello rosso aveva rotto gli indugi intonando un disordinato ma potente “UNICO AMORE SEI”.
Al goal numero 5,“chi non salta nerazzurro è” sfugge di mano, incontrollabile. Ed è contemporaneamente così giusto e così sbagliato da esser bellissimo.
Come noi. Come il Milan.