(di Max Bondino)
E adesso, spieghiamoci. Un ragazzone sulla trentina al quale manca solo una corona di plastica calata un po’ storta sulla testa per sembrare Notorius B.I.G. sulla cover di “Rap Pages”, è seduto nel mio posto. Ultimamente, andare a San Siro è un po’ come avere la brillante idea di un giro in Duomo la domenica pomeriggio. Mi mostra il suo biglietto da “experience” per turisti e ci mettiamo poco a trovargli una nuova sistemazione. Si scusa più volte, è gentilissimo. Non lo fosse stato, probabilmente non avrei avuto la chance di scrivere queste parole. Posso sedermi, dopo aver scalato il gigante ancora una volta, di corsa, qui, in cima alla collina.
“It doesn’t hurt me
Do you wanna feel how it feels?
Do you wanna know, know that it doesn’t hurt me?
Do you wanna hear about the deal that I’m making?”
Sapevi che sarei tornato, AC Milan. Non mi hai fatto così male. Anche con questo orario un po’ scemo per una serata di Champions, anche dopo l’ultima (emotivamente devastante) partita di campionato, anche se a volte sembra tu non abbia ancora capito bene cosa vogliamo fare davvero quest’anno. Però te lo confesso, i primi dieci minuti di Milan–Bruges qualche ferita l’hanno riaperta mentre cercavo di abituare i miei occhi a tifare per la squadra in grigio-menta. Due minuti e proprio il nostro nuovo idolo Fofana ci tradisce con una giocata (e seguente copertura) disastrosa in mezzo al campo, si apre una voragine, Tzolis arriva al tiro, Maignan, di piede, mostra per la prima volta ai belgi la sua tessera degli Avengers. La tiene in tasca un minuto dopo perché il tiro dell’impronunciabile Jutglà finisce alto ma rieccola lì, scintillante, al settimo quando vola a deviare un tiro a giro ancora di Tzolis. Nell’azione seguente, dopo momenti di delirio collettivo in area, Mike probabilmente la devia quanto basta con un imprecisato superpotere nello sguardo perché resta immobile mentre Ordonez, da fuori, prende una traversa clamorosa.
“You
It’s you and me
And if I only could
I’d make a deal with God
And I’d get Him to swap our places”
Parliamoci chiaro, AC Milan. Siamo io e te. Prova a stare al posto mio, cerca di capirmi se inizio a urlarti contro. Certo, lo so. Fossi io nei tuoi panni, non migliorerei affatto la situazione. Ci riesce, fortunatamente, Rafa Leao, un tentativo dopo l’altro anche se con qualche skillata di troppo. Mi spiego: avete presente il cortese sosia di Notorius BIG incontrato ad inizio avventura? Ecco, lui, quando Rafa, anziché stoppare e involarsi come nessuno sa fare, riceve e fa i palleggini sul posto, esclama: WOW! Mentre i pochi italiani rimasti sugli spalti smadonnano perché ha perso due tempi di gioco. Nonostante questo inizia ad andar via con facilità, sino alla mezz’ora quando devasta l’intera difesa del Bruges con una serpentina, scambia dal limite con Morata, continua ad affondare in area, per poi favorire il tiro di Pulisic respinto da Mignolet. Giusto il tempo di assistere ad un altro clamoroso salvataggio di piede di Mike “Marvel” Maignan (su un diagonale di Jutglà) e si va in vantaggio.
“Be runnin’ up that road
Be runnin’ up that hill
Be runnin’ up that building”
L’uomo abituato a strade gigantesche e panorami infiniti scala da solo un grattacielo andando alla bandierina del corner. Credo lo scriverò in ogni occasione, ormai. Christian Pulisic aka “il giocatore più forte della Serie A”, nel centenario della definizione di “Goal Olimpico” ne regala uno alla gente del Milan e ci porta lì, in cima con lui. I belgi non la prendono bene, soprattutto Onyedika che, un paio di minuti dopo spende un’entrata assassina su Reijnders in mezzo al campo. L’arbitro riesce inizialmente ad invertire il fallo, il VAR ci regala, invece, la superiorità numerica nella ripresa. Una manciata di minuti, giusto il tempo di far notare all’amico al mio fianco che si potrebbe pensare a buttarne dentro qualcuno in più del solito, in omaggio alla differenza reti della nuova virtuosa Champions League, che il Bruges, pareggia. E lo fa, palleggiandoci allegramente in faccia da sinistra a destra per raggiungere il neo entrato Sabbe, diagonale che prende in controtempo Mike.
“Oh, there is thunder in our hearts
Is there so much hate for the ones we love?”
Un tuono improvviso ci rimbomba nel cuore ma in mezzo a quel frastuono accadono eventi piccolissimi, marginali che però ci spiegano come parlare di calcio sia puro esercizio stilistico, non esistono verità, forse neppure un senso a ciò che ci accade davanti. Com’è possibile provare emozioni così radicali e negative per qualcuno che amiamo alla follia come Rafa Leao? L’uomo che due anni fa ci portò allo scudetto da MVP prende un’ammonizione stupidissima spostando la palla di un innocuo calcio di punizione per il Bruges a 60 metri dalla nostra porta. Forse, proprio lì, Fonseca decide di toglierlo.
La prende malissimo, più del solito e in virtù dello “Swap up places” che guida queste parole, lo capiamo. Ci mettiamo nei suoi panni. Ma è facendo così che ci accorgiamo quanto Rafa sembri in una faida inutile col primo portoghese educato seduto su una panchina di San Siro, ce l’ha con chi sembra non capire il suo calcio spensierato, si incazza con Paolo Di Canio su “X” come per i tweet di “Antonello di Novara” in attesa di pubblicare su Instagram una foto con didascalia biblica che ci metterà tutti al nostro posto. Nel frattempo, Okafor, che ha preso il suo, impiega otto secondi per replicare (seconda volta in tre giorni) un suo trademark, andare sul fondo senza fronzoli, metterla in mezzo per il piattone di Reijnders che ci riporta in vantaggio. Ancora una volta, al primo tentativo, sotto i suoi occhi. O è terribilmente sfortunato o è l’occasione di capire che l’AC Milan viene sempre prima.
È il minuto 61 e da qui inizia una mezz’ora di bel gioco, divertito e divertente con soluzioni diverse, anche grazie all’ingresso, a memoria, della miglior versione di Chuckwueze al posto di un Loftus Cheek che non è apparso in condizione di affrontare neppure una domenica mattina all’IKEA, figuriamoci una serata di Champions. È proprio Samu al 72esimo ad andare via sulla destra in grande stile e servire di nuovo a centro area regalando la doppietta di piattone a Tijjani.
“Oh, come on, baby
Oh, come on, darlin’
Let me steal this moment from you now”
Nell’ultimo quarto d’ora, sul 3-1, la notte è giovane. Esordisce Francesco Camarda. Lo osserviamo muoversi, come si fa coi prodigi della natura, nei documentari, per una decina di minuti fino a quando Reijnders, dalla sinistra, gli mette sulla testa un pallone che diventa antimateria. San Siro torna ad uno stato embrionale per poi esplodere come non ci si ricordava più. È un goal bellissimo. Una gioia collettiva così potente, dal campo agli spalti che nessuno ci porterà mai via. Neppure il VAR che ce la ruba per un fuorigioco ma solo sul tabellino. È stato uno squarcio su un tempo che verrà, sul futuro venuto a sbirciare l’attimo dove tutto è cominciato, qui dove è sempre più bello esser del Milan.