(di Max Bondino)
Nella prima estate del nuovo millennio, un trentacinquenne che ancora si riconosceva più in Richard Melville che nello pseudonimo di Moby, scriveva di amori impossibili, fragili come porcellane destinate ad infrangersi. È proprio la fragilità, il tema. E se quella dei muscoli dei nostri eroi è ormai conclamata, speravamo che almeno quella psicologica non entrasse a gamba tesa sulle nostre debolezze. Perché, va detto, se sull’imballaggio di questa squadra la scritta “handle with care” è riportata a caratteri cubitali, i suoi tifosi (specie sui social) non se la passano meglio, vivendo ormai con isteria quella che, un tempo, veniva chiamata “passione”.
“In my dreams I’m dying all the time
As I wake its kaleidoscopic mind”
Sogni catastrofici e risvegli confusi. Ci resta questo, di Milan – Borussia. E tanta, troppa fragilità. Quella che non immaginavamo di scoprire in Olivier Giroud al quale un errore dal dischetto (seppur pesante) è ampiamente concesso (visto ciò che ci ha regalato in questi anni) non lo è invece cadere in depressione al quinto del primo tempo e restarci sino al fischio finale. Era cominciata benissimo, si è messa subito molto male, ci abbiamo creduto per poi rinunciarci. L’aspetto più inquietante è forse proprio come la squadra viva i momenti chiave delle partite con lo stesso atteggiamento umorale di chi li segue dal divano. Certo, la combo “rigore sbagliato – rigore subito” è stata pesante ma quel lampo di Chukwueze (con la giocata che lo ha reso famoso in Spagna) ci aveva regalato un’intera ripresa di possibilità.
È durata, invece, cinque minuti. Anche belli intensi, credibili, ma cinque. Non a caso sino a quando il numero di infortuni muscolari dell’AC Milan ha pareggiato quello delle particelle elementari presenti nell’universo, dopo uno scatto di Thiaw.
“I never meant to hurt you
I never meant to lie
So this is goodbye
This is goodbye”
Nella musica, spesso, sono solo i sentimenti a ferirsi, mica i bicipiti femorali ma le sensazioni di addio ed abbandono si somigliano parecchio. Aldilà dell’ovvio aspetto tattico (vedere Krunic entrare a far il centrale non era nelle fantasie erotiche di nessuno, credo), la reazione emotiva della squadra è stata devastante e tutto ciò che poteva accorciare il gap fra noi e il Dortmund è imploso ed è visibile nella natura dei due goal del Borussia, nell’irrisoria facilità con cui si sviluppa l’azione che porta Gittens alla conclusione al 58esimo e dieci minuti dopo in quel tiro centrale di Adeyemi che addirittura Maignan, il più carismatico della nostra rosa, trasforma in goal con un intervento abbastanza incomprensibile. Ci viene negata anche la sempre consolatoria invocazione alla sfiga quando Jovic a dieci minuti dalla fine, con una girata di testa, prende un clamoroso palo, visto che due minuti dopo Fulkrug colpisce una traversa ancora più eclatante.
“Tell the truth you never wanted me
Tell me”
Vien da pensare che questa Champions non ci volesse davvero fino in fondo (e quando vediamo entrare Chaka Traorè, difficile darle torto) eppure il “girone della morte” è sembrato diventare quello del “ciapa no”, con tutte le partecipanti (fatta eccezione per i tedeschi) col minimo dei punti sindacali ma ancora in corsa fino all’ultimo. I due pareggi per 0-0, nelle prime due giornate, urlano davvero vendetta, oggi. Un po’ come il rigore di Mbappé al 98esimo sull’altro campo che disegna un unico scenario possibile: vincere col Newcastle e sperare che il PSG perda in Germania. Realtà complicata ma non impossibile se non fossimo ammantati da un pessimismo così radicale da contagiare persino un cuore puro come Adlì che nel post partita ipotizza un 2% di chances.
Alegher!
“In my dreams I’m jealous all the time
As I wake I’m going out of my mind
Going out of my mind”
Al momento ci restano i sogni e sentimenti un po’ infami. Il problema è capire se al risveglio potremo tornare a impazzire di gioia o dare di matto, ancora una volta.