(di Max Bondino)
Dovete perdonarmi l’autoreferenzialità. Ma da qui, devo partire. Questo podcast arriva il giorno dopo le partite dell’AC Milan, se ne sta lì, all’ombra non solo dei match già giocati ma anche di tutti gli altri milioni di parole già dette in tempo reale, degli insulti più creativi, dei meme più spassosi che invecchiano fra le chat whatsapp e i direct di Instagram nello spazio di dieci minuti. E per questo motivo ci era venuta l’idea, tempo fa, di usare un linguaggio diverso, parlando a quella parte di ognuno di noi che non amiamo vomitare sui social ma che ci piace custodire usando, magari, anche la musica, non perché debba addolcire realtà amare ma semplicemente perché in grado di colpire più forte, di amplificare il messaggio.
“You were the shadow to my light
Did you feel us?
Another Start
You fade away
Afraid our aim is out of sight”
Ci aspettavamo una luce. Anche piccola, per fare il nostro lavoro di ombra, un mestiere importante, perché sono le ombre a dare un posto nel mondo a qualsiasi cosa. È uno scambio, sono complementari ma da sabato sera non siamo più granchè allineati, tutti. Qualcosa è profondamente cambiato. E per una volta, cambia anche questo podcast. La narrazione pindarica della partita viene meno. Facciamo così. Lazio–Milan è finita 2-2 (lo avete assimilato da un po’) ma per ciò con cui alimento il mio milanismo, credetemi, conta poco. Certo, mi sono riempito i polmoni di quei 10 minuti in cui Pavlovic salva un goal fatto e poi ci porta in vantaggio di testa entrando in una trance agonistica che gli ha fatto mietere tutto e tutti nel primo tempo. Ho anche assaporato l’intervallo, chiudere in vantaggio a Roma, pur con qualche rischio ma andando vicini al raddoppio era ciò che si voleva vedere, specie dopo il festival dei sopraccigli alzati di fronte all’esclusione punitiva (diamo il loro nome alle cose) di Leao e Theo Hernandez.
“Where are you now?
Was it all in my fantasy?
Where are you now?
Were you only imaginary?”
Sembrava poter funzionare. Aveva effettivamente funzionato fino al 62esimo, perché oggi, seguire il Milan è un po’ come avere un amico immaginario da bambini, non appena un adulto urla il tuo nome dall’altra stanza, la fantasia finisce di botto. Urla Castellanos (con l’ennesimo goal in fotocopia) e fa partire un timer di tre minuti in cui la squadra prima butta via la partita, colpita dal terrore di esistere, spalancando la difesa per il 2-1 di Dia al minuto 65, poi getta le basi per scaraventare via la stagione intera nel modo più creativo di tutti, pareggiando immediatamente con un’altra delle mosse che ben conosciamo: l’all-in compulsivo. Tutti dentro, Theo Hernandez, Leao e persino Tammy Abraham fresco delle sue 24 ore da testimonial del Frecciarossa Milano-Roma. È una combinazione perfetta, quella fra Theo e Rafa, con il nuovo arrivato a giocare intelligentemente da boa, non è uno schema, è la perfetta tela di un ragno sottoforma di azione, è il pareggio, al primo tentativo. E da qui, che ci crediate o meno, ladies & gentlemen, va tutto a puttane.
“The monster’s running wild inside of me
I’m faded
I’m faded
So lost”
Ho già raccontato di come ultimamente debba convivere con questo demone che mi impedisce di godere pienamente i momenti di gioia di un goal, perché schiacciati da tutto il peggio che, senza sosta, sembra affastellarsi su questa squadra. E ci risiamo. Dopo il pareggio di Rafa, di fronte a tutta quella bellezza improvvisa, mi sono ritrovato ad incazzarmi, chiedendomi se fosse possibile che due professionisti milionari debbano venire puniti dalla maestra per tirare fuori la prima azione decorosa della stagione. Mi hanno risposto un attimo dopo, facendo le “bitches” offese durante il cooling break, quando tutto il resto della squadra, armata di Google Translate provava almeno a capire quell’uomo in panchina la cui principale colpa (oltre a quelle tecniche) è l’aver accettato un lavoro senza vedere la trappola che la dirigenza gli stava tendendo. Theo e Rafa hanno 26 e 25 anni, conoscono le dinamiche di questo nuovo mondo della comunicazione meglio di tutti noi che abbiamo dovuto impararle. È stato un gesto pensato per portare a delle reazioni che, sul lungo termine, porteranno vantaggi a loro. Ma non al Milan.
“These shallow waters never met what I needed
I’m letting go
A deeper dive”
Abituati a volare alto, ci dicevano. Ma anche a tuffarci in profondità, non a sguazzare nelle pozzanghere. Non siamo questa roba qui. C’è qualcuno meglio di noi? Certo. Ma si poteva agilmente avere 9 punti, oggi, anziché 2. Il problema è un altro e fa molta paura.
Il Milan non è una squadra scarsa, va così male perché a nessuno di chi ne fa parte frega davvero un
cazzo dell’AC Milan, oggi.
Non a questa dirigenza, per cui siamo un piccolo fascicolo nascosto lì, sul fondo del faldone della loro
speculazione edilizia e da oggi, ci pare di capire anche ad alcuni dei nostri giocatori più rappresentativi che antepongono il loro ego alla pioggia di fango che tutti aspettavano di poterci far cadere addosso.
Del resto, perché stupirsi. In un contesto dove i milanisti, oggi, passano più tempo ad insultarsi fra loro che a sfottere gli avversari, tutto torna. Mai come adesso dovremmo riempirci di quella retorica che ricorda quanto “noi siamo il Milan” perché davvero, giusto noi, siamo rimasti a custodire qualcosa.
D’altronde la bistrattata retorica alla fine è molto spesso solo una verità conclamata che non si vuole
accettare.
“Where are you now?
Under the bright but faded lights”
Mi dilungo ancora un paragrafo. Tanto poi c’è la sosta e mi smaltite gettando cuori azzurri oltre l’ostacolo. Dove siete finiti? Non sbiadite pure voi. Faccio presente che provo un profondo imbarazzo per l’ultima moda nella faida fratricida del tifo rossonero. Insultare chi va allo stadio. Credetemi, non vi fa sembrare più intelligenti ma solo molto piccoli.
Ve la spiego. A Milano, chi vive qui, riempie San Siro, fatevene una ragione. Attenzione, lo riempiamo tutti, pure quelli là, coi colori sbagliati. È come per un cristiano andare in chiesa la domenica o per un figlio, passare a trovare papà, finchè puoi. Io, attualmente, non potendo più, lo ritrovo proprio lì. Curiosamente, tutti quelli che ho conosciuto che ripetono questa shortcut, vivono a centinaia di km, purtroppo per loro a San Siro ci sono stati due volte e quando ci vengono corrono prima a farsi i selfie lì dove abita la Ferragni. A questo punto smettete di portare la vostra fidanzata rompicoglioni all’IKEA e di andare al saggio hip hop di vostra figlia (che lo sapete, che non sa tenere il tempo) altrimenti: SIETE COMPLICI!
Si stagliano all’orizzonte due settimane interessanti, dove un po’ tutti, noi compresi, saremo chiamati a una scelta. Tirare lo sciacquone ad agosto, con otto mesi di stagione davanti, è davvero l’idea migliore?
Bella storia, anzi, belle stories.