BPM (Beats Per Matches): Juventus-Milan ovvero SHIP TO WRECK

(di Max Bondino)

L’autosabotaggio è un aspetto universale della condizione umana. Un tema che ha ispirato poeti e fatto nascere canzoni. C’è chi distrugge storie d’amore bellissime di proposito per anticipare un dolore che prima o poi è destinato a rivelarsi. C’è chi crede di non meritare la felicità, chi abbandona in anticipo per paura di fallire, chi addirittura teme il successo trovando, nella mediocrità, una comfort zone.

E poi c’è il Milan.

Beh, questo Milan. Una nave battente bandiera americana in costante ricerca del prossimo iceberg contro cui schiantarsi trionfalmente, delle prossime acque infestate nelle quali tuffarsi a bomba.

“Don’t touch the sleeping pills, they mess with my head
Dredging of great white sharks, swimming in the bed
And here comes a killer whale, to sing me to sleep
Thrashing the covers off, has me by its teeth”

Ci sarebbe piaciuto crogiolarci almeno un po’ sotto i nostri piumoni con una Supercoppa che oggi sembra lontana quanto quella alzata da Alessio Romagnoli. Tutto grazie a dieci giorni netti trascorsi a farci azzannare dentro e fuori dal campo, pure nell’unica vittoria ottenuta a Como. Non chiedevamo molto, dopo una gustosa soddisfazione in bacheca, ritrovare una dignità, era l’obiettivo. Ma niente, anche un trofeo vinto in un derby esaltante non vale più di una manciata di Tik Tok nei cuori dei nostri eroi, giusto il tempo di refresh delle stories and here we go again.

Il primo tempo, nello stadio in miniatura di Torino, ci aveva quantomeno restituito la capacità di star dentro ad una partita e diciamocelo, dopo l’aberrante match d’andata contro questi qui, anche veder palleggiare le mascotte sarebbe stato da considerare un miglioramento. La Juve cerca il tiro da fuori nei primi dieci minuti con Mbangula e Koopmeiners, noi rispondiamo al 18esimo con una conclusione in piena area di Reijnders che non trova varchi o deviazioni gradite nella grande mischia davanti alla loro porta ma soprattutto al minuto 26, Theo porta su palla dalla sinistra, serve Leao che calcia bene ma centrale, una serie di respinte restituiscono proprio a Theo Hernandez due chances per concludere ancora. Altri rimpalli random favoriscono il loro contropiede con Nico Gonzales, recuperato di pura corsa da Tomori. Aggiungiamo una bella respinta, dieci minuti dopo, di Mike, su un diagonale di Yldiz e possiamo iniziare a parlare di cose serie.

“Did I drink too much? Am I losing touch?
Did I build a ship to wreck?”

Mi accorgo solo ora, durante la scrittura, che non è la prima volta in cui associo i deliri dell’alcolismo all’AC Milan. Quindi, lo sapete anche voi, è già successo. Certo, è sempre sconvolgente ma non è una novità vedere questa squadra rientrare in campo inerme, inebetita, rassegnata al naufragio. Una resa incondizionata di cui la Juve approfitta immediatamente mettendoci all’angolo. Se al 52esimo ci salva due volte Mike sui tiri di Weah e Koopmeiners, nulla può sul tentativo a giro di Mbangula su cui Emerson interviene goffamente mettendolo fuori causa. Il raddoppio di Weah, 5 minuti dopo, nasce dall’ennesima palla persa a centrocampo con sufficienza, Thuram la recupera, serve il figlio di George che davanti a Mike non può sbagliare. È una partita finita a cui il Milan ha scelto di non partecipare più.

“Good God, under starless skies
We are lost, and into the breach, we got tossed
And the water is coming in fast”

Senza stelle a guidarci, smarriti, fradici, ad osservare la nave che affonda. Ancora una volta, siamo rimasti solo noi. Noi a cui davvero importa, perché è ormai chiaro, da tempo, che quella maglia lì a strisce rossonere non è più il core business di chi ci governa né purtroppo nel cuore di molti, troppi, che la indossano. Non è la mancata qualificazione alla Champions League a far paura e nemmeno l’idea di quanto tempo debba passare per giocarci nuovamente lo scudetto ma accorgersi che non esistono soluzioni, a breve termine. Questa squadra si butta via, ad intervalli regolari, da due anni abbondanti, con tre allenatori diversi. Già Stefano Pioli arrivò qui sottolineando che per molti, “vincere, perdere o pareggiare, è uguale”. Fonseca ha dovuto farsi umiliare dai suoi giocatori per poi restituire tutto loro con gli interessi e salutare. Oggi Conceicao fa di meglio, evidenziando senza mezzi termini che i suoi giocatori non hanno né fame, né voglia di vincere le partite (a questo punto, che si aprano un OnlyFans, ci hanno detto che si guadagna quasi uguale e gli allenamenti sono molto più divertenti). Questo tipo di situazione si snoda nel contesto societario di chi spende 15 milioni per Emerson Royal (regalando Kalulu alla Juve) per poi cercare il suo sostituto quattro mesi dopo mentre offre in due tranche la coppia di centrali dell’ultimo scudetto al peggior rivale di sempre, attualmente diretto concorrente al quarto posto.

“Did I build a ship to wreck?
To wreck, to wreck, to wreck”

Una squadra già costruita male che oggi sembra destinata a venir smantellata peggio. Un processo iniziato dopo il 19esimo scudetto che ha coinvolto giocatori e soprattutto dirigenti. Dove servivano ritocchi, si è scientemente demolito. Anche una ipotetica (quanto inutile) rifondazione non può ovviamente avvenire per mano di una proprietà farsesca e inadeguata come questa e allo stesso tempo, non vedo chi, al momento, possa esser così folle da allungare un miliardo di euro a questa simpatica gang per vederli finalmente fuggire in lontananza col bottino (unico vero motivo ad averli portati a casa nostra).

L’unica speranza è che quando la nave affonderà davvero, loro non sappiano nuotare bene quanto noi.

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