(di Max Bondino)
Gli individui, le organizzazioni, addirittura le nazioni tendono a rivivere cicli che rispecchiano le loro origini o esperienze fondanti. Non sappiamo se Carl Jung fosse appassionato di calcio (lui che ha avuto la fortuna di esser al mondo quando l’AC Milan nasceva) ma di certo, poche squadre incarnano quella sua idea di “mito eterno” quanto la nostra, quella compulsione verso la ripetizione, il ritorno ciclico, l’eterna rinascita, l’ossessivo riproporsi della propria storia nel tentativo di trovare senso e connessione tra passato, presente e futuro, come una danza continua tra ciò che siamo stati e ciò che vogliamo diventare.
“I’ve battled demons that won’t let me sleep
Called to the sea but she abandoned me”
L’ultima volta che ci siamo ritrovati assieme, questo podcast si chiudeva proprio con queste due parole: “danza fragile”. Per raccontare tutta l’incoscienza con cui il Milan si era regalato una finale che, senza vergogna, sapevamo ci avrebbe fatto dormire poco mettendoci di fronte ai nostri peggiori demoni. Poi è bastato ricordarsi come funzionano le gerarchie degli inferi. Per il Diavolo, qualunque demone sarà sempre un subordinato.
È servito un tempo intero, però. Durante il quale cresceva la consapevolezza di non trovarsi di fronte alla mattanza di cui ci volevano convincere. Ecco l’occasione di Tijjani al quarto d’ora, ormai specialista nel far sbocciare dal nulla giocate davanti alle quali restiamo come uomini antichi davanti alle stelle. Non capiamo però, che meraviglia. Ma non solo, nonostante l’Inter sappia come ripartire per farci male, troviamo quasi sempre la profondità grazie a Pulisic, Fofana e Jimenez maledicendo quella poca propensione a tirare quando davvero serve. Non so voi ma chiudere in parità, a me risultava quasi fastidioso ed ecco perché ciò che accade nel recupero trascende la mia capacità di accettazione. Una rimessa ingenua concessa a centrocampo, battuta veloce e seguita con poca attenzione ci lascia in inferiorità numerica, a Lautaro non sembra vero, finta, dribbling in area e vantaggio.
“Oh yeah, I’m haunted by the distant past
Called to the skies but she was overcast”
Come nelle peggiori maledizioni, rieccoci ad alzare gli occhi al cielo dove nessuno sembra intenzionato a rispondere. Ne abbiamo la certezza al rientro dagli spogliatoi, al 47esimo quando un lancio di De Vrji salta centrocampo e difesa, calamitato sul piede di Taremi, gran controllo dal limite, e tocco nell’angolino destro. Due a zero.
“And I won’t let you get me down
I’ll keep gettin’ up when I hit the ground”
Ma è esattamente qui che l’AC Milan decide, senza preavviso, in soli 45 minuti, di mettere in scena la “teoria ciclica della storia”, della nostra, quantomeno. Ogni singolo abisso toccato da questi colori non è mai stato “il fondo” di qualcosa ma semplicemente un terreno fertile, ogni sofferenza un seme destinato a germogliare in futuro.
Il primo viene piantato al limite della loro area, al 52esimo, dopo un fallo di Mkhitaryan su Rafa, finalmente dei nostri. Calcia Theo Hernandez, forte, rasoterra, sul primo palo. Anche a te, bentornato dai tuoi abissi. Dieci minuti dopo Leao fa sembrare Bisseck una “vedovella” di Parco Sempione volandogli a fianco per servire Tijjani che, in area, colpisce a colpo sicuro trovando in pieno la faccia di Bastoni. Non sarebbe neppure un’immagine bruttissima se non ci fosse una rimonta da completare. Altri tre minuti ed è Sommer a rimandarla con un intervento miracoloso sul colpo di testa ravvicinato di Morata. Al minuto 72 tocca a Carlos Augusto colpire di testa da zero metri ma il palo, la riga e il 25 % del pallone che all’Inter preferisce i guanti di Mike Maignan fanno il resto. La storia, invece la fanno i fuoriclasse. Uno di questi, veste il numero 11 dell’AC Milan di Milano.
“Oh, never give up, no, never give up”
Ottantesimo. Riecco tutto il repertorio della fascia sinistra, la combinazione fra Rafa e un Theo di nuovo incontenibile fino in fondo a crossare basso, in area. Christian Pulisic si getta verso il pallone o forse è la palla che corre ad abbracciare chi la sa amare. Ci arriva scoordinato, col piede debole la stoppa frenando la corsa, sembra quasi stia per cadere, il sinistro sembra l’unico alleato possibile e con quello trova l’equilibrio nel disordine, inventa l’armonia dinamica, ci regala l’instabilità creativa con un rasoterra letale, come la verità. La realtà racconta che il Diavolo li sta guardando di nuovo negli occhi, affamato ma solo per un attimo perché lo sguardo cerca altro, oltre.
“I’ll find my way, find my way home”
Il Milan sta cercando la via di casa, un posto dove le coppe luccicano. A due dal termine, Thiaw chiude su Frattesi e subito dopo Mike giganteggia sul tentativo di Dumfries. È l’ultimo ostacolo. Cinque minuti di recupero. Aspettiamo l’ultimo. Dalla destra, ancora Sua Maestà Christian Pulisic imbuca per Rafa che nell’inserimento sembra risucchiare dietro di sé campo ed avversari, l’ennesimo assist della sua carriera milanista è per Abraham che deve solo spingerla e cercare il suo posto sul podio.
Abbiamo una foto di gruppo da fare.
Nei prossimi giorni, quando andrete a fare jogging, scegliete quella tuta del Milan un po’ sgualcita. Una T-Shirt rossonera per la palestra, mentre levate le luci di Natale dal terrazzo, agganciate la bandiera che sventolava nel 2022. Almeno per una settimana, fatelo. Fidatevi, a parti invertite, si sarebbero comprati tutti gli spazi pubblicitari di Milano.
Non abbiamo ancora capito bene quale sarà il futuro prossimo (la proprietà resta quella) ma questo istante di presente che arriva da lontano, sappiamo di meritarcelo. Sergio Conceicao, accolto con un inevitabile, Ancelottiano, sopracciglio alzato ha tutta la nostra attenzione, ora. Non chiediamo di meglio che esser stupiti e rapiti, come questa notte.
125 anni di vita, appena festeggiati, ci sono passati davanti agli occhi in soli 45 minuti, andata e ritorno. In un mondo dove la logica del successo è spesso legata alla linearità, alla costanza, forse il Milan ci insegna che il vero potere sta nell’epicità del “comeback”.
E il “ritorno” non è mai una ripetizione, ma una nuova versione di sé, più forte, più consapevole ma sempre, comunque, Milan.