(di Max Bondino)
Vulnerabili. Siamo cresciuti nel mito di chi non lo è. Ma prima o dopo, ci tocca. Le fragilità con le quali la gente del Milan si è trascinata di fronte a questa partita erano terrificanti ma, a nostra insaputa, forse, anche l’unica, vera arma a disposizione. I tempi del “machismo” sono abbondantemente finiti e le nuove generazioni ci insegnano che accettare le proprie debolezze è anche segno di coraggio, mostrandosi per ciò che si è, crescendo. Dopo il Liverpool, le ultime parole che ho scritto e pronunciato in questo podcast sono state: “Le maschere sono cadute, guardatevi in faccia”.
L’AC Milan lo ha fatto davvero e lì sotto, c’era il Diavolo.
You keep your distance via the system of touch
I’m lost in admiration, could I need you this much?
Oh, you’re wasting my time
You’re just, just, just wasting time
Siamo tutti lì, dentro quella maglia. Aggrappati a quei colori ma parecchio tormentati. Se fosse solo un’altra perdita di tempo, una nuova delusione? All’inizio c’è solo una certezza, è veramente un 4-2-4 quello con cui Fonseca decide di fare all-in. Tutto il nostro potenziale offensivo è lì, in blocco ed è Morata a farci capire il senso di quello che pareva un delirio. Nei primi minuti lo vediamo tornare a fare il mediano e un attimo dopo in piena area a concludere un bello scambio nello stretto fra Reijnders e Pulisic che Sommer alza in angolo. Forse funziona davvero. Forse ci siamo.
Minuto numero 9. Mkhitaryan, sulla trequarti, cerca di addomesticare, di petto, un pallone spiovente. Lo fa ma quando quella palla toccherà terra, sarà nei piedi di Christian Pulisic, apparso alle sue spalle dal nulla, come un glitch, un errore di sistema destinato ad alterare in maniera irreversibile il gioco. Inizia la più classica delle “speedrun” videoludiche. Se negli ultimi 40 metri si prevede di costruire un’azione, Christian decide di spaccare le “texture” ed andare fino in fondo. Lo rincorrono in due, in tre, quando entra in area ne ha attorno cinque. Sono tutti enormi ma è lui, col suo metro e settantotto, l’unico gigante. Una frazione prima di averli tutti addosso, il tocco che ruba il tempo all’intera difesa dell’Inter e a noi, il cuore.
“Something happens and I’m head over heels
I never find out until I’m head over heels”
In vantaggio, all’improvviso e ci scopriamo innamorati persi, ancora. A proposito, menzione d’onore per Alvaro Morata che, nella seguente fase isterica dei nerazzurri, mette in riga una manciata di pirla di cui non è necessario fare i nomi. Ha capito noi, loro, ha già capito tutto. Il ritmo è alto ma l’unico brivido è una girata in piena area di Lautaro che finisce fra le mani della Curva Sud al 14esimo. Alla mezz’ora, invece, sono sfortunatamente parecchio più precisi. Lo è il cambio gioco del turco, altrettanto la palla in mezzo di Di Marco, come il controllo di Lautaro che gliela restituisce per un diagonale su cui c’era veramente poco da fare.
Torniamo vulnerabili ma non più fragili. Soffriamo per qualche minuto, cerchiamo di farci del male da soli con un’iniziativa suicida di Fofana fino a quando in chiusura di tempo Mike Maignan chiude la porta ad una girata rasoterra di Thuram, in piena area, con un tuffo irreale. Come prevede il totale nonsense che governa il gioco del calcio, in apertura di ripresa, Leao (unico largamente insufficiente nei primi 45 minuti) quasi ci porta in vantaggio col suo colpo più improbabile, quello di testa. Il cross è teso, forte, dalla destra, dai piedi di un finalmente presentabile Emerson Royal, lo stacco di Rafa è perfetto, la respinta d’istinto di Sommer, altrettanto. Il primo quarto d’ora scivola via nervoso ma è dal 61esimo che la vita inizia a darci qualche indizio sulla notte insonne che verrà.
“Ah, don’t take my heart, don’t break my heart
Don’t, don’t, don’t throw it away”
Quando Bastoni, Barella, il social media manager e Di Marco combinano di prima sulla sinistra fa malissimo ma prima che l’ossigenato la scaraventi in rete nell’area piccola, Matteo Gabbia from Busto Arsizio, in scivolata maldinesca, ci spiega di avere altri piani, per la serata. Emerge sempre di più Reijnders (a mani basse il calciatore del Milan che, dal suo arrivo, non ha mai smesso di crescere e migliorarsi). Al 63esimo è sua una botta da fuori che Sommer respinge a fatica. Al minuto 71, ancora Mike a chiudere la porta di fronte a una gran girata di sinistro di Lautaro. Poco dopo, invece, è Gabbia, dal limite a rimbalzarlo come nemmeno il door selector dello Studio 54 perché se uno scoglio non può arginare il mare, Matteo forse, stasera, sì. Da qui, iniziamo a sprecare di tutto. Rafa chiude sparando su Sommer un contropiede orchestrato da Abraham che due minuti dopo si fa trovare con un gran taglio dentro la loro area su un passaggio geniale di Tijjani ma il diagonale è a lato di un soffio (a proposito di Tammy, scusaci per aver dubitato di te e iniziamo oggi a metter via le monetine per tenerti).
“I made a fire, and watching it burn
Thought of your future
With one foot in the past, now just how long will it last?
Now, now, now, have you no ambitions?”
Al minuto 87, l’AC Milan è accampato davanti alla loro area. Sulla destra Tijjani Reijnders è pronto a calciare una palla col fuoco dentro. La traiettoria che segue non è solo una poesia ma una storia lunga quarant’anni. Mark Hateley, il 28 Ottobre 1984 restituiva ad un popolo il suo orgoglio, regalando a me, bambino, un significato più alto di “milanismo”. Dev’essere rimasto qualcosa di “sospeso” lì, nell’aria, sopra quell’erba, come l’energia che da una stella esplosa ci ha portati ad esistere. Matteo Gabbia deve solo seguirla. La trova, saltando sopra tutto e tutti, incastonando, di testa, un diamante in porta con tutta la forza che ha.
Nel momento di più grande crisi di valori ed identità della storia recente, nella partita che ne incarna di più l’essenza non credo sia un caso che proprio il più milanista di tutti ci regali un nuovo inizio. Perché di questo si tratta e bisogna esser bravi a capirlo, costruendo una stagione attorno a questo derby che, nel finale, rischia di finire in goleada. Ma poco importa, tenete tutto di questa notte, anche gli errori. Create una nuova cartella e trascinateci tutto dentro.
Ora cliccate col destro e rinominatela: INDIMENTICABILE.