Non segniamo neanche a spingere? Constant è sinistramente somigliante a Vampeta? Antonini vi dà sempre l’idea di essere quello scarso rimediato all’ultimo minuto per il calcetto? Fortunatamente, facciamo pur sempre il tifo per una squadra con un passato che consente viaggi dall’effetto più balsamico dell’LSD. E allora via, solo andata, senza scalo alcuno: Udine, 18 aprile 1999, uno dei pomeriggi più gloriosi dei nostri anni ’90.
E’ una bella domenica di primavera – per quanto possano essere belle le domeniche nel Friuli Venezia Giulia – e da meno di 24 ore il Milan è tornato a sentire l’odore del sangue. La super-Lazio di Eriksson, che due mesi prima aveva stabilito il nuovo record di vittorie consecutive nella storia della serie A (nove) e sembrava super-avviata verso il secondo scudetto della sua vita, si è improvvisamente afflosciata. Una sconfitta bruciante nel derby la domenica prima, con il Milan che ribaltando il Parma era risalito a -4; un’altra sconfitta pesantissima il giorno prima, in casa contro la Juve di Ancelotti e Henry (eggià), anche a causa di Saponetta Marchegiani. Insomma, vinciamo, andiamo a -1 e poi mancheranno ancora cinque giornate alla fine.
Si va dunque a Udine, che non è una trasferta qualsiasi. Qui Zaccheroni è diventato grande e si è guadagnato la chiamata di via Turati l’estate prima; da qui è andato via con Helveg e soprattutto con Oliviero Bierhoff. Per i più piccini, ne riassumeremo così le doti: una specie di Pazzini più alto e più biondo, solo che gli arrivavano un sacco di cross. Cogliamo quindi l’occasione per riabilitare l’allora conducator Alberto Zaccheroni da Meldola (Forlì), nato lo stesso giorno e mese di Sacchi, ingiustamente vilipeso e deriso da quasi tutte le altre tifoserie d’Italia, dalla Juve alla Lazio passando per l’Inter che pure era riuscito a traghettare al quarto posto prima di essere scaricato da Moratti, nel frattempo incapricciatosi di Mancini. La verità è che, prima di rinascere a nuova vita nel Sol Levante, Zac non ha più avuto dopo di noi l’occasione di guidare una squadra da inizio stagione per insegnarle quel dannato 3-4-3; si è rassegnato a una carriera da supplente-traghettatore, ruolo per cui lui, mite e metodico, non era assolutamente tagliato. Non noi, ma i numeri dicono che è quasi interamente merito suo la striscia di 55 partite consecutive di campionato a San Siro segnando almeno un gol, interrottasi nella gestione Terim. Il che può sembrare un dato ozioso, ma siamo pur sempre in un momento in cui il Milan ha segnato zero gol nei suoi primi 270 minuti ufficiali a San Siro.
Le piccole leggende attorno a quella partita vogliono che sia stato Berlusconi in persona a ordinare al suo dipendente di cambiare modulo e schierare Boban trequartista, passando dall’eretico 3-4-3 al più accettabile 3-4-1-2. Zac, persona seria e perciò spesso a disagio con il principale, dal canto suo ha sempre rintuzzato: “E’ vero, il presidente lo voleva in campo, ma come esterno sinistro in un 4-4-2, come con Capello. Quella scelta fu soltanto mia“. Com’è come non è, è un pomeriggio di grande Milan e di Udinese piuttosto accondiscendente, come testimonia il folle fallo di mano di Bertotto dopo un quarto d’ora: rigore. Boban è impeccabile, dopo di che è tutta discesa: Weah slalomeggia tra Navas e Bertotto, mette in mezzo e delizioso colpo da pigro giocatore di biliardo di Zorro, con palla che bacia il palo e ballonzola dentro per lo 0-2. Giocatore meraviglioso Boban, di un’eleganza commovente, squisitamente balcanico nella sua indolenza e nella sua cazzimma quando ci si metteva (al contrario per esempio di Savicevic, che non a caso era montenegrino e non un tignoso croato).
E’ un pomeriggio glorioso in cui tutto va per il meglio: punizione di Albertini e Bierhoff fa 0-3 sotto la sua ex curva, con difesa friulana in barca. La ripresa è un lungo periodo di garbage time: arriva un grandissimo gol di Marcio Amoroso, che quell’anno diventerà capocannoniere (ve lo ricordate? è uno dei 18 mila brasiliani arrivati a metà anni 2000); quindi ancora un gol confezionato dalla coppia Albertini-Bierhoff, che inzucca e insacca. E infine una bella azione corale, con tutto il tridente impegnato nel do di petto: da Boban a Bierhoff a Giorgione che segna di testa a porta vuota alla sua 100° presenza in A. Il Milan non segnava cinque gol in trasferta da quattro anni e il punteggio di 1-5, così tondo, così imponente, fa tornare alla mente il memorabile sacco di Napoli dell’8 novembre 1992: quattro gol di Van Basten e, a margine, settimo compleanno del sottoscritto (ma di questo magari parleremo un’altra volta).
Qualche chiacchiera si addenserà sul capo dell’Udinese (che, è bene ricordarlo, due settimane dopo concederà lo stesso trattamento di favore alla Lazio). Nel primo anno in cui ad andare in Champions sono addirittura in 4, qualcuno accuserà Pozzo di non aver voluto rischiare di fare il passo più lungo della gamba; pietra dello scandalo sarà un Udinese-Perugia 1-2 alla penultima giornata, che puzza di bruciacchiato ancora oggi. Ma insomma è meno uno e di lì a poco, grazie a circostanze piuttosto favorevoli (di cui abbiamo già parlato qualche settimana fa, prima di Milan-Samp), sarà addirittura sorpasso e scudetto. Troppa grazia: dopo due anni balordi, dopo un campionato così e dopo una rimonta così, ci saremmo accontentati di tornare al primo posto anche solo per un paio di giornate appena, per risentire l’effetto che fa. Fortunatamente, caso volle che quelle due giornate furono proprio l’ultima e la penultima.
UDINESE: Turci, Bertotto, Calori, Pierini, Navas, Giannichedda, Walem, Jorgensen, Amoroso, Locatelli, Sosa – All.: Guidolin
MILAN: Abbiati, L. Sala, Ayala, P. Maldini, Helveg, Albertini (67′ Giunti), Ambrosini, Guglielminpietro, Boban (85′ Leonardo), Bierhoff, Weah (68′ Ganz) – All.: Zaccheroni
Arbitro: Boggi
Reti: 15′ rig. e 37′ Boban, 45′ Bierhoff, 58′ Amoroso, 60′ Bierhoff, 63′ Weah
Ohibeh! Starsene in Brianza e fare ironia sul Friuli, che probabilmente è una delle quattro più belle regioni d’Italia, ci vuole anche un bel coraggio… Ricuperi parlando di Marcio Amoroso… Occhi lucidi!
Lo ammetto, non sono mai stato in Friuli per più di 30 minuti consecutivi. Lo considero un po’ il Molise del Settentrione, ma mi rendo conto che è un problema mio.
Beh, io il Molise l’ho attraversato in macchina ed in effetti non si vede nulla a destra e a sinistra per un arco di 20km. Ti garantisco che il Friuli merita alla grandissima. Ricordo uno sketch di Gioele Dix, abbastanza debole, che aveva perfino un passaggio del tipo ‘in Italia si mangia bene ovunque – tranne che in Friuli magari’. Ecco questa è una sparata probabilmente ancora più grossa, per non parlare del bere. Il Friuli è un paradiso (e non sono mai stato a Trieste, che non necessita di presentazioni). L’unico problema sono i friulani, che sono tutti pazzi. Che poi non è neanche un vero problema…
Anche se fossi stato a Trieste, non avrebbe contato, non è Friuli.