Quella notte inventarono l’albero di Natale

Il 2003-2004 è stata l’annata in cui si è visto il miglior Milan degli ultimi vent’anni, almeno. Una squadra in più parti toccata dalla grazia, con Nesta, Pirlo e Gattuso giovani e forti, Shevchenko e Seedorf all’apice del loro splendore, stagioni pazzesche di campioni enormi come Cafu e Paolo Maldini e un ragazzo dal nome buffo, venuto dal Brasile sul filo della sirena del calciomercato, che nella migliore delle ipotesi avrebbe dovuto essere spedito in prestito a gennaio a qualche squadretta tipo il Brescia o il Chievo. Arrivò uno scudetto di chiarore cristallino e sarebbe probabilmente arrivata anche la seconda Champions di fila, senza la serata di impazzimento generale a La Coruna (e oggi, chissà, nessuno parlerebbe di Mourinho). La sera della svolta arrivò subito dopo le vacanze di Natale, e non fu una sera qualsiasi: lo scontro diretto con la Roma prima in classifica, ancora imbattuta, staccata già di sei punti anche perché avevamo una partita in meno. Uno scontro per cui è meglio mettere da parte l’epica e risfoderare una prosa più sostanziosa, perché – forse in omaggio al pingue Mister Carletto – quella sera il Milan imbandisce la tavola col più luculliano dei cenoni.

Una volta tanto, è stato dicembre il più crudele dei mesi. C’è stata la bruciante sconfitta in Coppa Intercontinentale contro il Boca Juniors, con l’indimenticabile istante in cui Costacurta vanga il prato dello Yokohama Stadium negli stessi minuti in cui il Governo degli Stati Uniti annuncia di aver catturato Saddam Hussein (da cui la famosa battuta che imperversa via SMS nei giorni successivi: “Hanno trovato Saddam. Era nella buca di Costacurta“). Quindi, tornati a casa con la coda tra le gambe, abbiamo perfino incassato la prima sconfitta in campionato, in casa contro la rampante Udinese di Spalletti, e siamo precipitati a -6 dalla Roma trascinata dal miglior Totti di sempre, che irretisce portieri e difensori a suon di cucchiai (o è meglio scrivere cucchiaj? Qual è il plurale di cucchiajo? Amici romanisti, aiutateci). Dovremo calarci nella tana della Lupa senza Nesta, Kaladze, Ambrosini e sia Inzaghi che Tomasson, entrambi infortunati.

Serve un giro di vite, un colpo di genio che Ancelotti cova silenziosamente durante le vacanze, aspettando la Befana. Serve un’Idea diversa. Le decorazioni natalizie sono pronte per essere sbaraccate e riposte negli scatoloni, ma al 6 gennaio si è ancora in tempo per un signor Albero di Natale che ha contemporaneamente la perizia artigianale di un presepe di gran pregio: Shevchenko fa da puntale, vertice alto del triangolo composto da San Giuseppe (Rui Costa) e il Bambinello (Kakà). I Re Magi alle loro spalle sono Gattuso, Pirlo e Seedorf, che ci ha anche il phisique du role. (Niente bue, asinello e madunina, è un presepe moderno.) Essendo infine rimasti intrappolati nella retorica natalizia e dovendo forzatamente attribuire una parte in commedia a Dida, Cafu, Costacurta, Maldini e Pancaro, daremo loro il ruolo dei pastorelli, non dovendo recitare neanche una battuta, ché la Roma farà fatica a superare il centrocampo.
Il 4-3-2-1 confonde di brutto la muscolare Roma di Capello, che si può permettere le due punte più Totti grazie a un centrocampo di randellatori come Lima e Dacourt, portatori d’acqua al servizio del formidabile regista Emerson; la vera rivelazione è la guizzante ala destra Mancini, che in giallorosso vivrà belle e fugaci stagioni di gloria. Il neo-acquisto Chivu, tra i più positivi della prima parte di stagione, fa la figura del merlo al cospetto di uno Shevchenko deluxe, che al minuto 24 lo ubriaca con uno dei pezzi più belli della sua collezione: lancio millimetrico di Seedorf, stop di petto in corsa e delizioso esterno sinistro con cui anticipa il rumeno e scavalca l’impreparato Pelizzoli con un beffardo pallonetto. Se fin lì la partita era stata equilibrata, ora possiamo dilagare: Seedorf e Sheva si mangiano di un soffio il 2-0, mentre dall’altra parte, come spesso gli succede nelle partite importanti, Totti non struscia ‘na palla. Il primo tempo sembra già in ghiaccio quando la Roma conquista un calcio d’angolo, Totti lo batte di corsa e crossa sul secondo palo, dove Mancini fa sponda per il comodo appoggio di Cassano a porta vuota. Il cronometro era sette secondi oltre i tre minuti di recupero decisi da Paparesta, ma non abbiamo scuse: l’1-1 è tutta farina del nostro sacco.

Recitano i Testi Sacri che non è il massimo della vita rientrare negli spogliatoi con episodi del genere sul groppone, ma è da questi particolari che si giudica un giocatore, o forse anche undici. Il Milan del secondo tempo è straordinario. Capello è corso ai ripari sostituendo subito i pessimi Lima e Carew con i vecchi arnesi Candela e Delvecchio, ma in questo momento non ci ammazzerebbero neanche Cerezo e Falcao. L’ordine è uno solo, come da direttive di quel Barone caro a entrambe le squadre: teniamo la palla noi, per evitare che la tengano loro. Il culmine di una ripresa da scuola-calcio in cui la Roma non vede mai la boccia è la galoppata solitaria di 50 metri che Rui Costa conduce fino al limite dell’area, contro avversari visibilmente frastornati dal giro-palla rossonero. Shevchenko è appostato sì come avvoltoio, riceve palla da Rui e fulmina Pelizzoli sul secondo palo: anche l’Olimpico giallorosso avrà dunque modo di ricordarsi di lui, come era successo qualche anno prima ai cuginastri biancocelesti.
Roma al tappeto e profondamente scossa, tanto che Capello non riesce neanche a giocarsi il terzo cambio. Al contrario, Ancelotti non ritiene di toccar nulla fino a dieci minuti dalla fine, quando manda dentro in rapida successione Simic, Redondo e Brocchi, soprattutto per perdere tempo. L’unico brivido lo concede Dida, che anche in versione pre-petardo ogni tanto dispensava qualche perla: fortunatamente Costacurta è uscito rinvigorito dall’esperienza post-atomica e spazza quasi sulla linea il pallonetto di Cassano.

Il pareggio sarebbe un risultato sommamente bugiardo e per fortuna non arriva; l’impressione è enorme e fiacca soprattutto il morale della Roma, che di lì in avanti incapperà in parecchi passi falsi ravvicinati (il più umiliante, lo squallido 0-0 contro l’Ancona di Jardel) che le faranno perdere parecchio terreno; l’ultima Juve di Lippi, qui ancora terza, crollerà invece strada facendo e non avremo più avversari nella corsa-scudetto. Quanto a noi, l’infrazione del patto dei due attaccanti tanto cari a Berlusconi durerà fino a febbraio, fino all’intervallo di un derby da leggenda in cui andiamo al riposo sotto 0-2 per vincere 3-2 a fine partita con Tomasson al posto di Rui Costa. Naturalmente il Presidente si arrogherà il merito della svolta tattica, cancellando con un colpo di spugna questa scintillante esibizione da 4-3-2-1 (“Chi allena il Milan deve sempre schierare due punte“). Carletto abbozzerà per quieto vivere, ma naturalmente non dimenticherà. E neanche noi, come avete visto.

ROMA: Pelizzoli, Panucci, Samuel, Chivu, Mancini, Emerson, Dacourt, Lima (46′ Candela), Totti, Carew (46′ Delvecchio), Cassano. All. : Capello

MILAN: Dida, Cafu (81′ Simic), Costacurta, P. Maldini, Pancaro, Gattuso, Pirlo, Seedorf (87′ Redondo), Rui Costa (90′ Brocchi), Kakà, Shevchenko – All.: Ancelotti

Arbitro
: Paparesta

Reti: 24′ Shevchenko, 45′ Cassano (R), 63′ Shevchenko

 

Pubblicato da Giuseppe Pastore

Pugliese, classe 1985, milanista di ferro. Prima partita di cui ho memoria: Milan-Barcellona 4-0. Ammetterete che poteva andarmi peggio. Qui sotto i miei contatti.

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