Oggi è l’anniversario della mia laurea, oltre che il compleanno del Milan, e qualcosa, studiando letteratura, l’ho imparato. Non esiste una definizione di letteratura ma non è azzardato dire che tutti i testi marchiati D.O.C. in sintesi parlano di un girone di Champions all’insegna della beffa. L’uomo va in finale fuori-casa contro la Natura e ha già perso prima del calcio d’inizio. Per dirne una, invecchia. Per dirne due, il tempo passa e cancella. Per dirne tre, tocca ferro, ma c’è il triplice fischio. Durante il gioco ti è concesso di rassegnarti a perdere, a lasciar perdere.
Questo farebbe di leggere e scrivere un’attività per coglioni e forse lo è, ma il pigiare play, stop, rallenty, recording, impersonating, storytelling etc resta divertente, economico e a basso rischio per la salute.
E’ molto più rischioso infilare la calzamaglia sotto il jeans, il berretto di lana sotto il casco, i sottoguanti sotto i guanti, agganciare il TucanoUrbano al collo che ti fa sembrare un maniscalco ferracavalli, per andare a San Siro la domenica a metà dicembre. Non tanto per il Napoli che da anni ci fa la cortesia di venire a Milano con le brache calate, quanto per la pioggerella gelida che t’infila aghi di freddo bastardo pure con lo scafandro addosso, e provoca un effetto planning da capacità frenata cinquanta metri, tipo che se uno davanti ha un ripensamento, o vai a due all’ora o ciao.
Il 12 dicembre è la data non ufficiale della nascita del Milan. Il dieci ho scoperto che diventerò zia fra qualche mese. L’11, che non porterò mai mio nipote a San Siro, almeno, non nella casa del Diavolo.
Anni a immaginarmi mentore, la zia che ti passa a prendere, ti porta al sushi, t’imbocca dottrina casciavit nel gargarozzo, ti para amorevolmente la testa con la mano, che i bambini allo stadio, essendo nani fra giganti, sono destinati a beccare gran mazzate involontarie. La zia ti ascolta mentre cinguetti l’unico nome che ti è rimasto in testa della formazione e pazienza se è il peggio scarpone che abbia mai vestito la nostra maglia o un infame impronunciabile. Invece thanks to Emirates e DNA palazzinaro, io e te, pesciolino asessuato, non faremo mai la rotonda di piazzale Lotto in Vespa per poi infilarci sul vialone e parcheggiare in Nord.
Mi sono ricordata che mio padre non mi ci ha mai portato a San Siro. Niente derby contro Misura o Fiorucci, niente Milan-Napoli Mars. Allo stadio andai con uno zio, che zio non era, per un Milan-Piacenza. Era inverno, era mezzo vuoto, dietro avevamo due vecchi ambosesso, identici, distinti solo da dettagli. Lui aveva i baffi e il basco, lei la permanente e il rossetto. Lui stava zitto, lei ha passato il tempo a insultare ‘Quei due lì che non si capiscono!’, e visto che uno dei due lo chiamava Pinguino, credo fossero Albertini e Desailly, ma non ci giurerei. Quando anni dopo, in fase adoscemenziale, ero in macchina con mio padre in Via Padova e lui, tentando rompere il silenzio, mi disse: ‘Qua c’era il Trotter, qua giocava il primo Milan!’ risposi ‘Uh? Ah.’ alzando il volume di Fritzdacat sul Minidisc.
Finirà così. Lo vedi quello, nipote? E’ San Siro, la zia ci ha visto giocare grandi campioni e il primo derby in curva fu un mitico 0 a 6. Lui twitterà viva la fica. Lei posterà le tette da mestruo facendo a gara con le amiche a chi stuzzica più prostate a un passo dal fatidico esame rettale. Troppo gliene fregherà.
Il 14 dicembre, undici anni fa, lavoravo alla Ricordi, reparto musica classica, come temporanea, per il periodo di piena, da fine novembre a inizio gennaio. Fu una botta di culo totale. Pagavano benissimo. L’ATM faceva scioperi a gatto selvaggio, l’afflusso dei clienti era al minimo anche nei giorni festivi, eravamo costretti ad andare a lavoro a piedi o in bici, non esisteva il ritardo perché quando arrivavi, andava benone. Soprattutto faceva un caldo incredibile per essere inverno a Milano. Chiesi e ottenni il permesso di assentarmi un paio d’ore, per vedere la finale dell’Intercontinentale contro il Boca. Perdemmo 3 a 1 ai rigori dopo il nulla assoluto, dei nostri segnò giusto Rui Costa. Maradona dopo avrebbe detto che Billy non aveva preso la zolla ma si era cagato sotto. Passati due giorni, legata come al solito la bici in via Berchet, alzai lo sguardo e vidi la bandiera rossonera su uno dei balconi.
All’epoca pensavo che il giorno della mia laurea avrei goduto come Micheal Thomas contro il Liverpool nell’88, invece sembravo Ciccio Graziani contro il Liverpool. Avrei voluto poter morire sola, sotto un piumone e invece ho dovuto tirare avanti causa appuntamento combinato da un amico, concluso in Piazza Sant’Alessandro. Ho sempre adorato Piazza Sant’Alessandro. Mia sorella la chiama la mia ‘Tana dello Squalo’. Ci sono le panchine, c’è la testa mozzata di un cervo che ti guarda dalla finestra, è romantica; ma il libro giusto, si legge sempre nel momento sbagliato.
Ho letto la biografia di Rocco un paio di giorni dopo scoprendo che convocava la squadra proprio lì. Adesso ci vado da sola quando ho troppi pensieri. Un po’ per soggezione, un po’ perché mi sembra di sentire una voce in testa che mi dice ‘Ma va’ a dormire, ma lascia perdere, quel mona’ e anche se non so bene chi e cosa mi turba, il Paron ha sempre ragione.
Mettila così, se consideriamo che tuo nipote nascerà tra qualche mese e che il capolavoro di architettura moderna interrato 15 metri e firmato Fabio Novembre non vedrà la luce prima del 2020 (se va bene), io dico che con un po’ di fiducia e un pizzico di fortuna riuscirai a portare tuo nipote a San Siro.
Te lo dice uno che ci si è ritrovato per la prima volta a 4 anni e 11 mesi trascinato dal padre a vedere un Milan-URSS di cui ho ricordi nulli, mia madre però sostiene che ogni volta che toccava palla Gerets io dicevo “papà”, avevano la barba tutti e due.
Ce la puoi fare.
Ah dimenticavo, quando sentiremo la mancanza della rotonda di piazzale Lotto potremmo comunque farla, basterà poi tornare indietro. In fondo “quartiere Milan” non sarà poi così lontano…
il primo fu RobertoRosato in un goffo rinvio a campanile. Era un Milan Bologna 0a0 e non erano ancora gli anni 70. Entrai di straforo a pochi minuti dalla fine,parterre strapieno ,non vidi null’altro che quel rinvio nel mio battesimo a SanSiro. Ho sofferto freddo,pioggia,i gradoni gelidi in cemento,le attese snervanti che duravano dalle prime ore della mattina. Non mi sono mosso di un centimetro il giorno della stella,nemmeno se mi ha implorato Rivera in persona col microfono. Il terzo anello l’ho vissuto con impeto tutto futurista, come se noi tifosi iperpolari ci mertassimo di stare piú vicini alle stelle dopo aver patito una serie infinita di scalini. Da li ho visto in nostro Frankie fare lo sciampo a Voeller e ancora ci godo.
Insomma io ne ho viste di cose che nemmeno 2 serie B alle porte di Tannhauser mi toccherebbero piü di tanto.
Forse è meglio andarsene se il destino del mio stadio è quello di diventare un circo dove si mangia, si fa la sauna,si va al cinema,si balla e si canta e a volte si giuoca a pallone.
Forse dal parterre del 2020,a meno 15 dal livello stradale, al centro geometrico dei decibel sparati in digitale da schermi olografici, mi sentiró piú vicino al centro della terra dove dicono che tutti,prima o poi, ci debba ritornare.
Vi ringrazio sinceramente, mi avete rincuorato e commosso con i vostri commenti. Purtroppo me lo scodellano a Bologna, vedrò di rapirlo in qualche modo. Visto che sembrate cacciavite di annata ditemi: Pinguino era Desailly, giusto?
Sai che fatti due rapidi conti, poteva essere un Milan Piacenza giocato a febbraio 98 risolto al 90 da Maniero, che non era lo stesso mostro del Brenta, o forse si. Giocava Desailly, ma non Albertini. Però c’era Maini che mi ricordo traccheggiare a centrocampo sul fare del Giampiero Marini, dell’altra sponda, detto pinna d’oro per i suoi piedi piatti e ignoranti.
Insomma il pinguino poteva essere il Maini, che mi pare non abbia lasciato tracce neppure sulla neve. ….Ma non ci giurerei.
Auguri di cuore al pargolo ed alla zia.
Io invece mi gioco che la partita era Milan-Piacenza 3-0, la ricordo bene perché la mattina mi ero rotto il naso colpendo la nuca di un avversario invece del pallone, ma questa è un’altra storia…
E ti dirò che forse secondo me il pinguino era proprio il buon Marcel che diciamocelo, proprio elegantissimo nelle movenze non era. Certo… averne di pinguini così ora…
Quindi un giorno ti toccherà venire a Bologna… Sappi che per la Calamandrei ci sarà sempre una birra ( o una bottiglia di vino a seconda dei gusti ) pagata dal sottoscritto . che ti aspetterà. Per gratitudine.