“Tutti questi gradini?“. Ciucco di fatica, Cesare Maldini non era pronto a uno sforzo supplementare: avanzare con passo possibilmente marziale sui 39 leggendari steps della scalinata di Wembley, vera e propria stairway to heaven con qualche anno d’anticipo sulla storia della discografia. Ma affrontò volentieri quest’ennesima sfacchinata: il prezzo valeva la candela, diventare il primo capitano di una squadra italiana a sollevare al cielo la Coppa dei Campioni.
Guardate queste immagini, questi video: pullulano di segreti come i tiretti di una vecchia cassettiera impolverata ritrovata per caso in solaio. Ai due lati del capitano, guardate Rivera e Dino Sani, i due leggiadri e magnifici cervelli di quel Milan, l’antitesi dell’atletismo e della corsa. Per festeggiare si erano tolti la maglia ed erano rimasti a torso nudo sotto la pioggia; costretti a presentarsi in modo decoroso alla premiazione, avevano riparato con un abbigliamento di fortuna. Giannino indossava un bizzarro impermeabile, Sani aveva rimediato non si sa come un elegante trench da passeggio. Cesare, con la purezza e il candore della sua maglia bianca scudettata, alzò al cielo la coppa con un urlo sgangherato di felicità. E’ una fotografia commovente che porta su di sé tutto il peso dei suoi 50 anni e nasconde tanti dettagli di quei tempi andati.
La Coppa Campioni erano solo sette partite. Era molto più difficile qualificarsi, ma una volta dentro erano concessi anche i sogni più mostruosamente proibiti. Il sorteggio era integrale, indi per cui con un po’ di fortuna ci si poteva ritrovare dritti in finale. A quel Milan capitò al primo turno l’avversario più morbido di tutti, il materasso Union Luxembourg regolato con un totale di 0-14 tra andata e ritorno, di cui otto firmati Altafini. Agli ottavi una brutta bestia, l’Ipswich, una squadra inglese di quelle dai gomiti appuntiti: ma era bastato il 3-0 a San Siro all’andata per scatenacciare con classe al ritorno, uscendo sconfitti solo per 2-1. Ai quarti, altra avversaria ideale: l’oscuro Galatasaray, ché all’epoca del calcio turco si sapeva meno di niente e quel niente era sufficiente per suonargliele con un totale di 8-1 (altro poker di Altafini). Semifinale con gli scozzesi del Dundee, vale a dire vedi Ipswich: goleada a San Siro all’andata (5-1) e tranquilla scampagnata al ritorno augurandosi che il cronometro scorresse in fretta.
Anche allora si giocava a Wembley, proprio come sabato prossimo; ma era un altro Milan, un altro mondo, un’altra Milano. Milano a teatro, un olé da torero; Milano che quando piange, piange davvero. C’era la tv in bianco e nero con un solo canale e spesso e volentieri all’inviato RAI sul posto saltava l’audio o tutto quanto il collegamento satellitare (o quel che l’era). Così successe a Nicolò Carosio in diretta da Wembley, e fu così che un giovanissimo Beppe Viola – anni ventitré, milanista, assunto in RAI da meno di due anni con mansioni da redattore ordinario – dovette arrangiarsi a fare la cronaca “dal tubo”, cioè dagli studi RAI di Milano, con le stesse informazioni in possesso di uno spettatore qualsiasi. E’ sua la voce che potete sentire nel video qui sotto, mentre commenta lo 0-1 di Eusebio e soprattutto il 2-1 di Altafini, con equilibrio e sobrietà del tutto dispersi nel telecronismo di oggi.
Quel Milan, quel Benfica. Le Aquile erano campioni in carica, un anno prima avevano travolto 5-3 il grande Real di Puskas, Gento e Di Stefano in una finale rimasta leggendaria. Poi era successo che l’allenatore di allora, l’ungherese Bela Guttmann – che già aveva deciso di andare via a fine stagione – era andato a battere cassa dal presidente Vieira de Brito, un nababbo originario dell’Angola dove la sua famiglia possedeva la metà delle locali piantagioni di caffè. Anche per far fronte a un bilancio familiare non proprio florido, viste le ingenti spese della signora Guttmann al casinò di Estoril, il mister aveva chiesto una specie di premio partita che il presidente gli negò, mandandolo su tutte le furie: “Senza di me, il Benfica non vincerà mai più una finale“. E così fu e così è stato per tutte e sette le successive finali; e così è che la “maledizione di Bela Guttmann” continua a esistere, visto che solo la settimana scorsa il Chelsea l’ha perpetuata con un beffardo gol di Ivanovic all’ultimo minuto di recupero.
Ciò non toglie che quel Benfica fosse fortissimo, una squadra di semidei con il centravanti 21enne Eusebio da Silva Ferreira come punta di diamante e altri giocatori splendidi come Mario Coluna, o monstro sagrado (il mostro sacro), gran pensatore di centrocampo, oppure l’aletta sinistra Antonio Simoes, gnomo infernale alto appena un metro e 58. Il Milan vi si accostò con la prudenza e l’umiltà di cui era stracolmo Nereo Rocco, che ordinò un primo tempo di contenimento, picchiando il giusto, se necessario. Nereo che sapeva già di andare via, in qualunque modo fosse finita: in un momento di sconforto, qualche mese prima, aveva dato la sua parola al presidente del Torino Pianelli, e per il Paròn la parola data era sacra. Si odiava con il direttore tecnico Gipo Viani, vero mammasantissima del club e del calcio italiano, che ricambiava cordialmente. Ma dello spogliatoio Rocco era il sovrano indiscusso. Sentite Altafini: “La prima volta che gli feci il colpo dell’armadietto a momenti ci restava. Eravamo a Milanello, lui si era attardato a tavola e noi l’aspettavamo per l’allenamento. Si cambiava in mezzo a noi, il Paròn, gli armadietti erano grandi e a me venne in mente di infilarmi nudo dentro il suo. Quando lo aprì, saltai fuori urlando e a lui dallo spavento si bloccò la digestione. Divenne un classico, e ogni volta faceva un gran salto per poi ridere insieme a noi dicendomene di tutti i colori. Quando Rocco andò al Torino, per non perdere l’abitudine feci lo stesso scherzo a Liedholm. Saltai fuori nudo urlando e Liedholm alzando il sopracciglio disse: “Non è questo tuo armadietto“.
Al 18′ Eusebio andò in gol con un’azione inarrestabile e sembrò finita. Pivatelli azzoppò Coluna, costringendolo a passare il resto della partita confinato sulla fascia (ancora non esistevano le sostituzioni). I portoghesi miravano ad addormentare il gioco, il Milan assisteva passivamente. Lo spartito cambiò nella ripresa, quando il grande Benfica cadde vittima della sua protervia e si sbilanciò due volte, quelle fatali. Ci pensò Altafini, il Coniglio Altafini, così chiamato da quella volta che Viani l’aveva beccato in un night e lui s’era nascosto dietro un divanetto. Rivera lo ispirò due volte: la prima scaricò il destro in rete con una girata fulminante, la seconda ebbe tanto tempo per pensare a cosa fare mentre s’involava in solitaria verso Costa Pereira. Ovviamente ciabattò maldestramente addosso al portiere; ma la palla gli tornò indietro e il secondo tentativo fu quello buono. 2-1, e fummo campioni d’Europa: la prima di sette volte, tante quante le finali perse dalle Aquile. Milan e Benfica, Milano che fatica.
Reti: 18′ Eusebio (B), 58′ e 66′ Altafini
MILAN: Ghezzi, David, Trebbi, Benitez, C. Maldini, Trapattoni, Pivatelli, Sani, Altafini, Rivera, Mora – All.: Rocco – DT: Viani
BENFICA: Costa Pereira, Cavem, Cruz, Humberto, Raul, Coluna, José Augusto, Santana, Torres, Eusebio, Simoes – All.: Riera
Arbitro: Holland
Pellegatti disse che la RAI non trasmise la partita, tanto da dover uscire per strada e trovare un negozio che avesse in vetrina un televisore che trasmettesse la TSI. Ci vorrebbe un fact-check
http://bit.ly/190YbqX
Come si evince da quest’articolo della Stampa, la partita fu in effetti trasmessa in differita sul Primo Canale la sera stessa, dalle 21:05. Dubitiamo comunque che in molti conoscessero già il risultato finale.