Le regole della casa del Milan. Intervista a Costacurta

Meglio chiarire: questa intervista sull’intelligenza dei calciatori è molto vecchia: è stata fatta poco prima che Alessandro “Billy” Costacurta smettesse di giocare, per il mensile Urban. Però giudicate voi se non è interessante, specie oggi. Al di là del fatto che in questo periodo ci piace farci del male, non è solo questione di nostalgia: è chiaro a tutti che un tempo se entravi al Milan che eri un giovane un po’ sprovveduto, interessato ai soldi, in poco tempo qualcosa e qualcuno ti facevano diventare un giocatore vero. I tanti capitani che abbiamo avuto in questi ultimi anni non hanno saputo – o potuto, forse – conservare quel qualcosa che creava uno spogliatoio, un gruppo, un’identità da trasmettere ai successori. Si poteva diventare uomini, in quel Milan. Oggi, si può diventare Niang. 

Billy, perché le interviste ai calciatori sono così noiose?
Cioè?

“Di Coso ho rispetto ma non ho paura” “Contro i Cosi sarà dura ma ce la metteremo tutta” “Noi seguiremo le indicazioni del mister, siamo un gruppo unito…” Perché non dite quello che pensate veramente? 
E perché dovremmo, visto che puoi rimanere fregato se qualcuno rivolta quanto dici per attirare l’attenzione sulla sua intervista? Dieci anni fa leggevo che facevo una vita sregolata – e a me la discoteca, il fumo, il casino non piacciono, vado in certi posti solo se sono invitato. Se gioco ancora alla mia età è perché evidentemente sono riuscito a curare il mio fisico da professionista. Il che la dice lunga sull’attendibilità di quegli articoli. A chi li ha scritti frega qualcosa di aver provato a danneggiarmi?

Quindi, l’unica è guadagnarsi rispetto sul campo. In effetti, forse è giusto.
Guarda che non sempre basta. Io casini grossi non ne ho mai avuti, ma ai più giovani consiglio sempre di parlare il meno possibile. Poi, quando ti senti più sicuro, puoi iniziare a dire la tua. Perché ho visto colleghi nei guai veri per semplici ingenuità durante una chiacchierata, e i giornalisti che li avevano intervistati che scaricavano la colpa sui titolisti. Così per dieci anni sono stato diplomatico, scontato e stupido. 

Ma ci saranno avversari il cui apparire in campo ti fa dire “Che palle, ancora questo tra i piedi”.
Certo. Nedved, per dire, non mi è mai piaciuto. Non è che non lo stimi, anzi, mi dicono che è un ragazzo adorabile. Non lo conosco di persona. Ma non ho mai amato i suoi atteggiamenti in campo. Vederlo buttarsi, fare sceneggiate appena sfiorato; in compenso ha sempre menato, facendo sceneggiate al primo fischio. Allora meglio Pasquale Bruno, con lui era apertamente una faida. Però mi riferisco solo al campo, tutto è sempre finito lì: del resto anche giocando tra amici, chi è che non piagnucola, e chi è che non dà e non prende scarpate? Io le do un po’ a tutti. E quando mi rendo conto di aver fatto male, chiedo scusa.

Anche a Nedved?
No, lui mi fa molto incazzare quindi non gliele porgo.

Posso scriverlo? Poi do la colpa al titolista. Ci sono invece avversari con cui chiacchieri volentieri in campo?
Quasi tutti. Coi compagni di nazionale è facile: ci sei andato in giro per il mondo, hai condiviso certe cose. Con Vieri, a palla lontana, ci siamo sempre fatti due chiacchiere come al bar – poi arrivava la palla, e via a sgomitarsi. Anche Del Piero è un amico, però lui si rilassa solo a fine gara.

E gli arbitri? Qualche tempo fa hai destato scandalo ammettendo di aver “mandato a cagare” l’arbitro Braschi durante la partita. Pochi calciatori possono permettersi di farlo. E di ammetterlo, anche.
Ma poi ho capito di aver esagerato e mi sono scusato. Comunque sì, dopo vent’anni di serie A forse mi sono guadagnato il diritto di sbottonarmi. Che tanto, poi, il casino nasce sempre quando meno te lo aspetti, tipo quando mi misero contro Davids.

Cos’era successo? 
Un giorno nel salone di Milanello un dirigente ci dice che la società vuole mantenere un certo profilo e che “le mele marce non sono bene accette”. Usciamo e un cronista mi chiede: “Novità?” Io rispondo: “Ma niente di che, ci ricordano che non vogliono mele marce”. Quella sera però il Milan annuncia la cessione di Davids alla Juve. E io leggo il titolo “Milan: via Davids”, e il sottotitolo “Costacurta: al Milan niente mele marce”. Così risulta che io ho fatto cacciare un ragazzo che si allenava bene, non rompeva le palle e che nemmeno conoscevo a fondo, era arrivato da poco ed era stato infortunato un sacco di tempo. 

Quindi, acqua in bocca. Ma così nessuno si accorgerà se ci sono calciatori più intelligenti di quello che sembrano. Oltre che più intelligenti di tanti opinionisti.
Siamo sicuramente migliorati. In effetti è abbastanza strano, i giornali sportivi hanno iniziato a somigliare a Novella 2000 proprio quando i calciatori hanno cominciato a crescere culturalmente. Tanto per fare un esempio, da qualche tempo a Milanello il giornale più letto è il Corriere della Sera – sembra una scemenza, ma quando ho esordito era considerato troppo serio. Si dice che siamo ragazzoni viziati, e un po’ è vero. Ma un po’ di spessore c’è. Pur essendo ragazzi di 25-30 anni che guadagnano cifre molto alte. Credo che se un giornalista si potesse permettere una Porsche a 25 anni andrebbe fuori di testa.

Ma anche a 40 e 50.
E aggiungi poi, che per giocare devi lasciare gli studi, le letture. Che poi dai, se un calciatore dice di aver letto un libro, si fa la nomea di quello che si crede un intellettuale. E al primo passaggio sbagliato, arrivano le ironie.

Tu avresti potuto smettere da un po’, data l’età e le soddisfazioni ottenute. Ti diverti ancora?
Non ho mai realmente considerato il calcio un divertimento.

In che senso? 
Nel 1988 mi stavo iscrivendo a Giurisprudenza, avevo fatto un campionato a Monza in serie C, e non pensavo che il calcio potesse garantirmi un futuro. Ma quell’anno il Milan mi aveva ripreso e per la prima volta incluso nella rosa della prima squadra, con Arrigo Sacchi. Giocai pochissimo, c’era Filippo Galli. Però quando a fine anno arrivò lo scudetto, sono arrivati tanti soldi, e pragmaticamente mi sono detto: vediamo un po’ che succede. Iniziai a prestare molta attenzione al gioco, ai movimenti, a capire quali fossero i miei limiti e a cercare di intuire sempre prima quello che potevano fare gli avversari. Devo ringraziare anche tantissimo i miei compagni di difesa, che mi hanno insegnato come potevo essere importante. Sapevo che ero più sotto osservazione, anche perché Filippo era un giocatore storico del Milan e il pubblico gli voleva bene.

Quando hai smesso di sentirti precario?
Quando nel febbraio 90 Vicini mi ha chiamato in Nazionale. A quel punto è stato definitivo, stavo davvero facendo questo mestiere. Che per me non è mai stato un gioco. Forse proprio questo mi ha permesso di capire meglio certi meccanismi, e adeguare certi comportamenti. Per esempio, ho sempre considerato il mio corpo una parte fondamentale del mio lavoro.

La poesia del calcio e tutte quelle faccende, niente?
Aspetta: è un lavoro splendido. Ci sono emozioni che sono un privilegio, come entrare a San Siro dal tunnel con 80mila persone che ti aspettano… Non è una frase fatta: letteralmente, non la puoi descrivere a parole, solo condividerla con chi l’ha provata. Poi nel calcio mi trovo bene, e ci rimarrò anche dopo il ritiro.

Ma come, in questo calcio stressato? A proposito, chi è più stressato? Giocatori, allenatori, presidenti o giornalisti?
I giocatori, poco o niente. I tifosi, forse. Vogliono saperne di più, si aggrappano a tutto. E così trovano opinionisti che ogni sera gli parlano del nulla per tre ore, inventano le voci di mercato, i dissidi tra i giocatori e gli allenatori. E un sacco di gente pende dalle loro labbra. Credo che molta violenza dipenda dal fatto che i giornalisti sovraccaricano l’ambiente, accrescono tensione e aspettative. Così la squadra che manca lo scudetto da due anni è contestata, e l’attaccante che non segna da tre domeniche è messo in croce.

Sarà, ma qualche veleno di spogliatoio affiora. Baggio, che passava per uno tranquillo, ha informato il mondo intero del suo odio per Lippi.
Amo Roby, siamo stati compagni nel Milan e in Nazionale, e non ho capito proprio il suo comportamento. Io non avrei mai attaccato persone che comunque mi hanno dato qualcosa. 

Dimmi che differenza passa tra questo tipo di saggezza e l’ipocrisia – o l’omertà.
Fai caso a questo: delle cose positive dette da Baggio sul suo periodo all’Inter, si è mai letto qualcosa sui giornali? No, solo le cose negative. Che poi, ci sono per tutti: certo che in vent’anni ho avuto qualche attrito con giocatori e allenatori, e allora? A chi sul posto di lavoro o persino in famiglia non capita mai? Ma esce sui giornali? A me è capitato di essere escluso dai titolari: è ovvio che non ho festeggiato. Ma che sarà mai??? E’ così interessante? Mi girano le palle, è ovvio – ma se mi scappa detto, bang: “Costacurta spara sul tecnico”. Così me ne sto nel mio limbo.

Nel tuo limbo. Di calciatore belloccio, ricco e sposato con Martina Colombari.
Ma devo chiedere scusa per questo? 

Ovvio che no, però è un limbo con una visibilità paurosa. Non mi dirai che nemmeno questo ti stressa.
Non più di tanto. Quando la mia vita sentimentale è finita sui giornali di gossip, ho pensato: “Ok, altre precauzioni da prendere”. Quindi occhio a quel che diciamo, a dove andiamo la sera, a non offendere colleghi, allenatore e tifosi. Si sta attenti. L’alternativa è creare casini e complicarsi la vita. Se uno lo fa, sa a cosa va incontro. Sono le regole fuori dal campo. Se le conosci, è meglio.

Se non ti piacciono le regole?
Nessun problema. Ma sai, ci sono tanti altri mestieri. Se questo ti va stretto, forse dovresti prenderli in considerazione.

Rendono un po’ meno.
A maggior ragione: se davvero vuoi fare questo, anche se sei fortissimo è meglio che tu non sia un cretino.

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