Ci sono partite, anche al di fuori di derby e Giufe, che hanno almeno soggettivamente un sapore particolare. Per me fra queste c’è Milan-Toro, perchè Milan-Toro fu la mia prima partita a San Siro, la mia iniziazione al rito collettivo, e poco importa che sia stata consumata nell’anno di (dis)grazia 1981-82; dai diamanti, si sa, non nasce niente. Mica male poi, coi tempi che corrono per gli infanti contemporanei, esordire col Toro. Per la storia e la gloria del club innanzitutto, ma anche per una tifoseria che in qualche modo ho sempre sentito affine alla nostra sotto diversi aspetti. Anche se poi i granata, fra la saga dei Mazzolas e la comprensibile inclinazione all’autocommiserazione, hanno finito per ritrovarsi più vicini all’ala severgnina delle bausce. Peggio per loro.
Stagione 1981-82, si diceva; con quella ineguagliabile maglia in lanetta griffata Pooh Jeans indosso ad una squadra senza capo né coda, scoprii dentro di me il fuoco del milanismo feroce, fino a quel momento rimasto a mezz’aria nelle chiacchiere della domenica mattina fra papà, zio e Bobo*, un amico di famiglia cui devo l’iniziazione. Il Bobo era una specie di Vallanzasca de’ noantri, baffone ostentato e occhi di ghiaccio, ma soprattutto un malato terminale di Milan. Uno che, tanto per dire, persino per le scappatelle extraconiugali puntava dritto su San Siro, portandosi nel romanticissimo parterre la sgallettata di turno pur di non allontanarsi dalle vicende del Milan più disgraziato del dopoguerra. Quelle maledette vicende volevo respirarle anch’io al più presto, e capii velocemente che il Bobo era la chiave giusta per accedere al tempio. Lo lavorai ai fianchi con l’innocenza e la determinazione dei miei otto anni otto, e lui vide evidentemente la luce giusta nei miei occhi. Convinse papà, che non bazzicava lo stadio dalla Stella ed era sempre più insofferente alle grandi adunate. Si va a San Siro per Milan-Torino, penultima di campionato, col Popolo in apprensione per la serie B dietro l’angolo.
Fino a quel momento, pur obnubilato dai prodromi di un amore che non contempla delusioni, avevo iniziato a seguire con crescente trepidazione la progressiva caduta verso il gorgo della serie cadetta. Anche perché quando hai quella quarantina di gobbi brianzoli in classe, il lunedì mattina due cose le capisci anche a otto anni. Solo poche settimane prima avevo trascorso un’intera assolata domenica di inizio primavera parcheggiato dalla zia materna, passeggiando nervosamente da solo in cortile senza neanche un prete per chiacchierar, ma con la radiolina Grundig attaccata all’orecchio ad annunciarmi l’agghiacciante vittoria del Catanzaro a San Siro, gol di Edy Bivi. Il peperone era stretto. Molto stretto.
E Milan-Toro fu, ça va sans dire, la classica partitaccia. Ma l’iniziazione non è né bella né brutta, è l’iniziazione e basta. E nell’iniziazione c’è sempre l’attimo della folgorazione vera e propria, nel mio caso il momento esatto in cui il Bobo, con la squadra in difficoltà, sbotta da autentico casciavìt qual’è, si alza dal suo posto nei distinti (l’attuale primo anello blu), scende i gradoni a due a due verso il parterre agitando il pugno e urla quel “Milan! Milan! Milan!” che ancora oggi è lo zenit dell’unione fra il Diavolo e la sua gente nella Scala del calcio. Tempo cinque secondi, forse otto, e tutti gli ottanta e rotti mila presenti urlavano il Milan! Milan! Milan! partito dal Bobo a due metri da me. Fu uno shock, capii in quel preciso istante che la domenica avrei potuto fare poco altro.
La partita, dunque: Milan sterile e inevitabilmente contratto, il risultato non si sblocca, il fantasma della B aleggia che è un piacere. Nel secondo tempo entra persino un giovane Roberto Mandressi – mio compaesano e oggi anche buon amico, ma che non posso certo pretendere sia rimasto nel cuore dei milanisti – e si prova un timido assedio alla porta granata. Timido assedio il cui apice è un promettente diagonale di Roberto “Dustin” Antonelli che sembra indirizzato proprio nell’angolino basso. Il Popolo schizza in piedi e urla all’unisono, io ovviamente non vedo più un cazzo di niente e cerco disperatamente la verità negli occhi di papà. “E’ gol?” – “Paaaalo!” – mi urla quello, con la faccia stravolta e gli occhi fuori dalle orbite. Ebbi paura, della B e del volto di mio padre. Succede (o ricordo?) poco altro, finisce 0-0, loro targati Barbero (manco Sweda, Barbero) si salvano in carrozza, noi la domenica dopo vinciamo chissà come 3-2 a Cesena ma a Napoli si consuma la brutta Faccenda, e scendiamo mestamente fra i cadetti (che poi è sempre stato il modo elegante della Rai dei bei tempi per indorarti la pillola).
Siamo in B, ma ormai il dado è tratto e a papà tocca fare la tessera per gli Hitachi boys. Lui che pensava di aver chiuso con Rivera e invece, grazie a me, vedrà prima le stalle e poi le stelle. Si riparte a settembre con Milan-Sambenedettese, che mi regala il mio primo gol rossonero a firma Aldo Serena. Ma io non me lo ricordo affatto, anche se l’ho visto. Mi ricordo invece il palo di Antonelli, che non ho visto. Che, concorderete, altro che il palo di Niang.
* Il Bobo è uscito diversi anni fa dal radar di famiglia. Mi è capitato di risentirlo una sola volta, dopo che il figlio più piccolo era stato lasciato a casa dagli Allievi dell’Inter. “E’ una liberazione – mi disse dopo un lungo sospiro – tu non puoi immaginare cosa voglia dire avere un figlio che tutte le sere ti torna a casa con la borsa delle merde a tracolla. Che tanto poi non avrebbe mai sfondato, t’èl disi mì. Ora sono in pace. Sto bene con mia moglie“.
MILAN: Piotti, Al. Minoia, Maldera III, Icardi, Collovati (32′ Incocciati, 62′ Mandressi), Baresi II, Novellino I, Battistini, Antonelli, Evani, Romano – All.: Galbiati
TORINO: Copparoni, Cuttone, Danova, Van De Korput, Zaccarelli, Beruatto, Bonesso (88′ Zennaro), Bertoneri, Dossena, Ferri I, Mariani (76′ Ermini) – All.: Giacomini
Arbitro: Redini
la stagione 81-82 ha forgiato nella sofferenza una generazione di milansiti … siamo partiti sognando Zico e ritrovandoci Adelio Moro …; io 9enne ero allao stadio a vedere Catanzaro ( Cook-o-matic)-Milan , che sofferenza …
ma stranamente quel Milan mi è rimasto nel cuore .
Quela maglia con il diavoletto e’ unica !
E’ vero, quella stagione e quel diavolo (dis)graziato restano addosso in modo indelebile. Di recente ho letto un bellissimo libro in puro stile Casciavit: Quando il Milan era un piccolo diavolo di Sergio Taccone. Si parla delle stagioni 80/81, 81/82, 82/83. Il cursus honorum in cui si sono forgiati i veri tifosi rossoneri. E per me, Joe Jordan è un idolo. Complimenti per il post.