Non tacciateci di presunzione se ogni tanto scriviamo che grazie a noi il calcio italiano è cambiato ed è diventato più veloce, più moderno, più spettacolare. Vent’anni fa era un discorso ovvio e finanche banale, con legioni di allenatori senza fantasia che giocavano noiosissime partite a specchio che al confronto Milan-Medellin era un film di John Woo; ma oggi che sono di nuovo tornati i tempi bui di finte difese a tre che poi sono difese a cinque, non fa mai male ricordare e puntualizzare alcuni concetti che le nuove generazioni tendono a dare per scontati. Quindi facciamo un po’ i giornalisti: chi? Arrigo Sacchi, nato a Fusignano il 1° aprile 1946. Cosa? 4-4-2, difesa altissima, applicazione maniacale della trappola del fuorigioco, pressing feroce, corsa, tecnica e atletismo. Dove? A San Siro, ovviamente. Quando? Il 3 gennaio 1988, il giorno di Milan-Napoli 4-1.
Manca il perché, ma la risposta è ancora più ovvia: per vincere e dominare, in ossequio al Nuovo Verbo Presidenziale che – fino a quando si è limitato a campeggiare sulle pagine sportive – ci ha fatto godere non poco. L’Idea fatica a mettersi in moto: nel complicatissimo autunno 1987 usciamo malamente dalla coppa Uefa contro l’Espanyol quartultimo nella Liga e zoppichiamo a lungo anche in campionato, finché Arrigo non inizia a pericolare. Succede proprio all’indomani di Milan-Espanyol 0-2, disputata sul neutro di Lecce, che precede di qualche giorno la decisiva trasferta di Verona. A chi riferisce di un Sacchi già con le valigie pronte, inviso ai senatori dello spogliatoio per i suoi allenamenti massacranti, Berlusconi risponde presentandosi a Milanello e affrontando la truppa con il più chiaro dei suoi discorsetti: “Lui rimane, voi non so“. Vinciamo a Verona, Sacchi rimane, la squadra inizia a rigare dritto anche se non mancano gli incidenti di percorso (come i due petardi tirati addosso a Tancredi che trasformano un 1-0 sulla Roma in un pesantissimo 0-2 a tavolino). Il clima si rasserena ma certo, il titolo è già andato.
Il 3 gennaio 1988 fa dunque un gran freddo, non solo in senso atmosferico: quarti in classifica, a -5 dal super-Napoli capace di 21 punti su 24 a disposizione, è dura coltivare qualsiasi tipo di sogni. Ma, per dirla alla Lucio Dalla, “c’è una grossa novità”: l’anno vecchio è finito ormai e qualcosa inizia finalmente ad andare. Il saluto al 1987 è stato un derby non indimenticabile risolto dal classico autogol di Riccardino Ferri, l’uomo che detiene tuttora il record di categoria celebrato anche da Ligabue (e oggi pressoché imbattibile, vista la riforma degli autogol decisa dalla FIFA nel 1998). A rallegrare la truppa è arrivata da Parigi la notizia – in verità un po’ sorprendente – del Pallone d’Oro assegnato a Ruud Gullit, tra forti critiche da parte della stampa iberica per la mancata vittoria dei favoriti Futre o Butragueño. Perfino Sacchi è perplesso: “Io avrei premiato Baresi“, dichiara l’Arrigo.
Nonostante i suoi tradizionali impacci dopo le feste, il Napoli arriva a San Siro da favorito; gli esperti snobbano unanimemente questo Milan un po’ estemporaneo, che non si capisce dove voglia andare a parare. Per Brera è un Milan senza qualità, addirittura “truculento“, che fa dell’atletismo e del dinamismo le sue sole ragioni d’esistenza; è più facile che lo scudetto lo vinca il Napoli, “bloccato com’è su equidistanze sagge e su cadenze più moderate“. Sarà, e l’inizio dà ragione al vecchio Gioan: al 10′ Maradona pennella per Careca che, da splendido centravantone qual è, controlla e calcia tutto al volo uccellando Galli con un pallonetto. Grandissimo gol e situazione ideale per il Ciuccio, che in vantaggio può ora dedicarsi a sviluppare il suo gioco pragmatico di difesa e contropiede che esalti le qualità del trio Ma-Gi-Ca (Maradona-Giordano-Careca).
Poi succede qualcosa di strano. Immaginatevi una bacinella d’acqua completamente ferma, poggiata su un tavolo, con l’acqua che inizia improvvisamente a incresparsi, sempre più spesso e sempre più velocemente, tipo Jurassic Park quando sta arrivando il T-Rex. Ottavio Bianchi ordina di sbarrare le finestre e sistemare mobili e suppellettili davanti all’ingresso, mentre tutt’intorno monta la tempesta, con Gullit-Virdis-Donadoni-Evani impegnati a scambiarsi vorticosamente le posizioni e i terzini Tassotti e Maldini che spingono come ossessi sulle fasce. Al 19′, dopo una lunga serie di azioni da destra a sinistra, Il Tasso lancia Gullit che attacca lo spazio, arriva sul fondo e mette in mezzo per Colombo, che pur scivolando supera Garella: 1-1. Bravo Angelo, la Littorina della Brianza: anche il Milan dei lustrini e delle paillettes ha bisogno della sua classe operaia che va in paradiso.
Mentre Maradona – in grave ritardo di forma dopo le vacanze di Natale trascorse ai 30 gradi di Buenos Aires – chiude il suo pomeriggio con una punizione di poco fuori, il Milan anticipa di qualche anno la celebre massima di Piero Pelù: lo spettacolo deve ancora cominciare. Evani e Virdis colpiscono due traverse a colpo sicuro nel giro di tre secondi, poi il baldanzoso Pietro Paolo, come in una versione anni ’80 di Inception, si insinua nei sogni di Bagni e Renica, gli va via di rimpallo e trafigge ancora Garellik di interno sinistro. E’ la fiera dei sogni, con il non trascurabile pregio che è tutto vero. Tassotti dilaga a destra e tempesta di cross l’area piccola napoletana: su uno di questi il Tulipano Nero stacca altissimo e colpisce il palo. A naso, ci sembra un po’ meglio di Futre. A contribuire al Napolicidio delle idi di gennaio con svariate pugnalate è persino Filippo Galli, che in carriera mai come quel giorno si fa vedere così spesso nell’area opposta: prima manda alto, poi impegna severamente Garella di testa. Il primo tempo finisce 2-1 ed è un risultato di lampante menzogna, mentre al presidente napoletano Ferlaino capita che gli rubino la macchina a Milano: vedete voi fino a che punto il mondo si è rovesciato.
Il secondo atto è ugualmente distruttivo. Il Napoli si aggrappa ai legni come il naufrago alla zattera. Tra una gomitata a Maldini e un gestaccio alla curva che lo fischia per i suoi trascorsi interisti, Salvatore Bagni è lo specchio del marasma azzurro. Tocca finalmente a Ruud celebrare degnamente il suo Ballon d’Or: un tracciante di Ancelotti lo mette davanti a Garella, saltato d’imperio prima di appoggiare la palla in rete e abbandonarsi al boato di San Siro. Sì, siamo nel terzo millennio con dodici anni d’anticipo sulla concorrenza. L’ultimo acuto spetta a Donadoni, che suggella nel modo meno elegante la sua partita magistrale: un tiraccio dai 20 metri su cui il mai leggiadro Garella s’impapera tragicamente, buttandosela in porta da solo. Potrebbe finire 8 o 9 a uno, ma ce n’è abbastanza per riempire gli occhi e i cuori dei presenti, mentre la diffidenza dei neutrali rimane superiore all’ammirazione: sui giornali del giorno dopo l’exploit del Milan passerà in secondo piano e le ragioni di questo clamoroso 4-1 verranno individuate nella giornataccia del Napoli, che però è tanto più forte e quadrato e saprà sicuramente tirarsi su come più volte accaduto in passato. Il tempo è un gran dottore.
Intanto, dopo aver tributato l’ovazione a Gullit ed Evani, Sacchi imbocca la via degli spogliatoi e guarda in alto: per la prima volta c’è un popolo che lo applaude, folgorato sulla via di Fusignano. Il viaggio è iniziato. Buon 1988 a tutti.
MILAN: G. Galli, Tassotti, P. Maldini, An. Colombo, F. Galli, Baresi II, Donadoni, Ancelotti, Virdis, Gullit (82′ Massaro), Evani (85′ Bortolazzi) – All.: Sacchi
NAPOLI: Garella, Ferrara, Francini, Bagni, M. Ferrario (75′ Bigliardi), Renica, Careca, De Napoli, Giordano, Maradona, Filardi (75′ Sola) – All.: O. Bianchi
Reti: 10′ Careca (N), 19′ An. Colombo, 24′ Virdis, 73′ Gullit, 78′ Donadoni
Arbitro: Agnolin
Spettacolo questa partita…avevo 14 anni e l’abbonamento al 1° anello verde…eme la ricordo come fosse ieri…mio padre col gesso alla gamba che non volle mancare assolutamente…ahhh se quelli eran giorni!!! Forza Milan!!