In campo c’era Cruijff, appena ventiduenne, ma già Cruijff. Attaccante solo per modo di dire, si stava portando a spasso Anquilletti fino a centrocampo. Saul Malatrasi si rivolse alla panchina: “Signor Rocco, cambi“. Il Paròn si voltò con sguardo interrogativo verso il dottor Giovanbattista Monti, detto Ginko, come l’ispettore di Diabolik, perché Rocco spesso lo incaricava di pedinare i giocatori nelle ore notturne. “Cossa xe che’l vol?“. “Dice di cambiare marcatura“. “Dighe che s’el cambiassi le mudande“.
Era più o meno questo il Milan pane e salame che la sera del 28 maggio 1969 rifilò quattro sonori schiaffoni all’Ajax futurista di Rinus Michels che, anche grazie a quella sconfitta, avrebbe successivamente cambiato la storia del calcio. Si giocava a Madrid, allo stadio Chamartin-Bernabeu, anche se Santiago – presidentissimo del Real – era ancora vivo e vegeto. Il Milan era largamente favorito e non smentì i pronostici: sul suo percorso verso la finale aveva del resto eliminato i campioni delle ultime due edizioni. Ai quarti, dopo uno 0-0 a San Siro, un guizzo di Pierino Prati aveva gelato a domicilio il Celtic Glasgow; in semifinale, il 2-0 contro i detentori del Manchester United era stato difeso dalla più grande partita della carriera di Fabio Cudicini, “ragno nero” in un torrido Old Trafford.
L’Ajax aveva beneficiato di un sorteggio più morbido, che gli aveva accoppiato in semifinale il modesto Spartak Trnava, contro cui non era comunque mancata la sofferenza. Era la prima volta che una squadra olandese arrivava in una finale di coppa europea; quanto alla Nazionale oranje, i Mondiali li avrebbe visti col binocolo fino al fatidico 1974.
Già da qualche mese Amsterdam era diventata sinonimo di tolleranza, la città dei Provos, i contestatori vestiti sempre di bianco che aprirono la mente e la morale degli olandesi. Appena due mesi prima della finale, John Lennon e Yoko Ono avevano scelto Amsterdam per il loro matrimonio e la luna di miele all’Hilton, con tanto di celeberrimo bed-in contro la guerra in Vietnam. In campo, gli ancora sconosciuti lancieri si schieravano con un 4-2-4 ancora primordiale che, contro le squadre più solide, aveva come inevitabile conseguenza una drammatica inferiorità numerica a centrocampo. Il germe della rivoluzione era lo jugoslavo Velibor Vasovic, libero solo sulla carta, in realtà regista a tutto campo che dettava i tempi della manovra, anticipando la modernissima concezione del ruolo portata avanti dai connazionali Arie Haan e Ruud Krol. Il resto era ancora profondamente ingenuo, a cominciare da una fase difensiva quasi dilettantistica che il Milan aggredì spietatamente dal primo minuto, con un palo di Prati a inaugurare la serata.
Nonostante la serata gelida, il Milan era caldissimo. Alla faccia del catenaccio, Rocco schierò una batteria di punte come Prati, Hamrin e Sormani, ispirati da un Rivera sontuoso, in quello che sarebbe rimasto l’unico scontro diretto contro Cruijff. Al minuto 7 Sormani scappò a sinistra e pennellò in mezzo per il felpato colpo di testa di Prati, con lenta parabola a scavalcare il mediocre portiere Bais. Rivera infiammò le lampadine del Bernabeu al 39′, con un colpo di tacco di spiccata poetica sudamericana: la palla, quasi radiocomandata dal tallone del Golden Boy, scorse lentissima e ipnotica sull’erba prima di incontrare la randellata di Prati, che scaricò all’incrocio il destro dai 20 metri.
Gli unici segnali di vita dell’Ajax si concentrarono nel primo quarto d’ora della ripresa, breve effetto dei due cambi di Michels all’intervallo. Al 61′ Lodetti falciò da dietro Kaizer in area di rigore e Vasovic accorciò le distanze dal dischetto. Gli urlacci di Rocco svegliarono la squadra dal torpore e la serata finì in gloria. Angelo Benedicto Sormani segnò il 3-1 dopo una bella azione personale, conclusa con un tracciante di sinistro. Poi, al 74′, Rivera portò lungamente a spasso i poppanti olandesi, saltando Bais in uscita, scherzando due difensori e depositando con la vellutatezza di un guanto un cross delizioso sulla testina di Prati. Pierino non si fece pregare e fece tripletta, rimanendo tuttora l’ultimo giocatore ad aver segnato tre gol in una finale di Coppa Campioni (insieme a Puskas e Di Stefano). In un calcio moderno in cui erano da poco consentite due sostituzioni a partita, il Paròn ribadì la propria appartenenza alla vecchia scuola rimanendo fino alla fine con lo stesso undici.
Andò così – senza l’epica in bianco e nero di Wembley 1963, senza le adunate oceaniche di Barcellona 1989, senza la tigna di Vienna 1990, senza le atmosfere kolossal di Atene 1994, senza le atroci sofferenze di Manchester 2003 né la dolce rivincita di Atene 2007 – la finale più “normale” della nostra storia. Il divino Johan, papero d’oro che di lì a pochi anni sarebbe diventato “il primo giocatore a collettivizzare l’arte del calcio”, avrebbe nuovamente modo di prenderne altri quattro, un’altra volta, da allenatore stra-favorito. Ne riparleremo magari tra tre settimane, ché ci sarà Milan-Barcellona.
Reti: 7′ e 39′ Prati, 61′ rig. Vasovic (A), 66′ Sormani, 74′ Prati
MILAN: Cudicini, Anquilletti, Schnellinger, Rosato I, Malatrasi, Trapattoni, Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati – All.: Rocco
AJAX: Bais, Suurbier (46′ Muller), Van Duivenbode, Hulshoff, Vasovic, Groot (46′ Nuninga), Pronk, Swart, Danielsson, Cruijff, Keizser – All.: Michels
Arbitro: Ortiz de Mendibil