(di Elena Zani)
𝘚𝘢𝘱𝘱𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘤𝘩𝘦 alcuni faranno smorfie, sbufferanno, alzeranno gli occhi, strabuzzeranno il naso – 𝘮𝘢 𝘵𝘳𝘢 𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘤𝘢𝘵𝘰𝘳𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘪 𝘩𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘪 𝘤’è 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘦𝘳𝘪𝘵𝘢 𝘶𝘯 𝘴𝘢𝘭𝘶𝘵𝘰 𝘶𝘯 𝘱𝘰’ 𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘴𝘣𝘳𝘪𝘨𝘢𝘵𝘪𝘷𝘰 𝘴𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘥𝘪 𝘴𝘤𝘩𝘦𝘳𝘯𝘰. Forse avete già letto queste parole ieri. Forse 𝘯𝘰𝘯 𝘭𝘢 𝘱𝘦𝘯𝘴𝘢𝘵𝘦 𝘤𝘰𝘴ì, 𝘱𝘢𝘻𝘪𝘦𝘯𝘻𝘢: 𝘯𝘰𝘪 𝘴ì.
𝘗𝘰𝘪, 𝘪𝘯 𝘥𝘶𝘦 𝘢𝘯𝘯𝘪 𝘦 𝘮𝘦𝘻𝘻𝘰 𝘴𝘶𝘤𝘤𝘦𝘥𝘰𝘯𝘰 𝘮𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘤𝘰𝘴𝘦, è 𝘰𝘷𝘷𝘪𝘰. 𝘔𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 è 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘱𝘦𝘯𝘴𝘢𝘷𝘢𝘮𝘰 𝘥𝘪 Davide Calabria, 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 è 𝘥𝘪𝘷𝘦𝘯𝘵𝘢𝘵𝘰 𝘊𝘢𝘮𝘱𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥’𝘐𝘵𝘢𝘭𝘪𝘢.
DAVIDE CALABRIA – Una promessa è una promessa
La mirabolante stagione che si è appena conclusa lascerà nelle nostre memorie un insieme di macro-ricordi (gol, miracoli all’ultimo secondo, gol annullati, rigori non concessi) e di piccoli dettagli. Davide Calabria ha scelto di far parte di entrambe le categorie. Fermato dal Covid e da un paio di infortuni muscolari, nel momento del bisogno Davidino si è stretto per bene la fascia da capitano al braccio, e ha detto “ci penso io”.
Ci pensa lui a Bergamo, in quello stadio che qualche mese prima aveva consacrato il nostro ritorno in Champions League: pronti-partenza-via, un tiro ribattuto dal portiere e al primo minuto la partita è già sbloccata. La vinceremo. Ci pensa lui a Bologna, con una fucilata da bordo area. Vinceremo pure quella.
Trova il modo di fare anche qualche assist, uno dei quali di discreta importanza: per il secondo gol di Giroud al derby di ritorno. Un mese dopo, a Napoli, fa partire uno dei suoi tiri da fuori pieni di foga, un rasoterra che è un po’ tiro un po’ assist – perché come nel derby sul tiro di Bennacer, Giroud non butta via niente, e trasforma quel pallone in gol.
I gol e gli assist sono macro-ricordi, ma tra i dettagli me ne porto dentro uno in particolare. Milan-Fiorentina, San Siro stipato all’inverosimile (posso garantire: ero presente, come sempre). Lì ti ho visto, Davide. Sei entrato con il gagliardetto in mano, con l’aria di chi non è per niente agitato all’idea di essere il capitano di quella squadra attesa da 75mila persone. Appena oltrepassate le scale ti sei voltato verso la curva a guardare noi tifosi che urlavamo il nostro sostegno incondizionato ancora prima del fischio d’inizio. Si vedeva dal tuo sorriso, quanto eri compiaciuto della nostra presenza. Siamo la tua gente, Davide. Tu che sei vestito di rossonero fin da bambino, lo sai che da questa malattia non si guarisce più. E con quel sorriso tu ci hai fatto una promessa: siamo passati per l’inferno insieme, adesso andiamo a prenderci il paradiso.
(di Elena “Ellyzanzi” Zani, dal libro “On Fire”, interno4 editore, 2022)