Ho tardato a presentare il mio omaggio a Cesarone Maldini perché ero indecisa se tirare o no una tangente personale. Di cui avevo bisogno io, per una ragione che non riuscirei che a spiegare se non con un concetto che ho imparato all’Università. La differenza fra il discorso di ri-uso e il discorso di consumo. Il primo è quello che si svolge nelle cerimonie, nelle funzioni liturgiche o in occasioni solenni, e che vale tenere a mente e ricordare, tipo Kurtz che in Cuore di Tenebra – Apocalipse Now dice ‘L’orrore, l’orrore’ o l’Ulisse dantesco che esorta i suoi a morire da uomini e non da parameci, e il secondo sarebbe quello che esaurisce la sua funzione nel momento stesso in cui termina. Tipo Berlusconi che fa campagna elettorale. Tipo Salvini. Ci pensavo perché i discorsi di riuso di solito alimentano l’idea che ci sia stato un tempo in cui era il tempo, e un tempo, di solito quello in cui si vive, nel quale non è più il tempo.
E non credo tanto sia così, altrimenti Kurtz non sarebbe diventato pazzo e Ulisse sarebbe morto ad Itaca, nel suo lettino, che secondo la leggenda era intagliato in un tronco intero e lo sapevano solo lui e Penelope e la serva. Poi ci pensavo perché domenica mattina, appena saputo della sua scomparsa, non sono andata ad abbeverarmi alle fonti di blog e quotidiani, ma ho ordinato i miei ricordi di Cesare Maldini, come fosse stato un compagno di avventure e non uno che per motivi anagrafici, neanche ho mai visto giocare.
Il primo, quando ho scoperto che Maldini era figlio di un Maldini padre. Andai di corsa dal mio di padre e gli chiesi se Cesare era forte quanto Maldini. Non so se ho mai avuto l’occasione di raccontarvi del mio papà informatico, che pensa a fogli di calcolo e traduce come può, con interfacce espressive. Non disse mezza parola, ma io che son sua figlia lessi: ‘Non proprio, e non giocavano esattamente nello stesso ruolo, ma parliamone un’altra volta’.
Poi i mondiali del ’98, l’imitazione di Teocoli con tanto di ricrescita alla tinta. Io mi sarei incazzata da morire, chiunque si sarebbe incazzato da morire, sulle prime, per poi ridere, perché era troppo fatta bene. Ricordo il linciaggio pubblico per Baggio, anzi, ricordo Biscardi dirgli ‘Cesare, io ti voglio bene, voglio bene a tuo figlio, ma oggi ti chiedo, l’Italia ti chiede, PERCHE’ NON HAI FATTO GIOCARE BAGGIO!’. Non ricordo la risposta. Due anni dopo Cesarone raccolse il testimone dopo che Berlusconi cacciò a pedate Zaccheroni, il sarto. Quello di Zac fu uno scudetto fortunoso, occhei. Del Piero si fa male, Batistuta si fa male, e noi ci mettiamo a rincorrere la Lazio con una media di cinque minuti di recupero a partita storta. Va bene. Quello fu anche l’anno in cui iniziammo a collegare La Coruna e Istanbul all’antipatia, neanche ci stessimo preparando alle due più grandi delusioni degli anni a venire. Ma io se penso a Zac penso a quando mandava Zieghe dallo psicologo, gli voglio bene, come voglio bene alla testa di Bierhoff e a Laurssen che perde le lenti a contatto.
Insomma, credo fosse Marzo del 2001, un paio di mesi prima dello 0 a 6 sull’Inter. Il mio primo derby allo stadio e in curva. In quello di andata beccammo gol con una punizione a sorpresa di Di Biagio, una di quelle cose che il giovane Christian Abbiati smaltiva a fatica, e pure io. Cioè, Di Biagio. Al pensiero mi metto a mordere il tavolo dalla rabbia. Non solo mi becca una traversa ai mondiali, che vabbè, fummo l’unica squadra a costringere la Francia campione del Mondo in casa ai rigori, e mi becchi una traversa, ma poi ci fai pure un gol da merdone come quello. I primi due gol di Dj Comandini non li ho mica visti, mi hanno buttato giù di una decina di posti e non me lo aspettavo. Billy Costacurta afferra un tifoso per fargli brutto, Cesarone Maldini e Tassotti in panchina, squadra ordinata più Serginho incursore, all’epoca non potevo saperlo, mi esaltai per il risultato e basta, oggi dico che non avrei mai potuto vedere più Milan di quello là. E sì che arrivammo sesti, Coppa Uefa come obiettivo stagionale e ci eliminarono pure in semifinale di Coppa Italia.
I ricordi più preziosi di Cesarone sono indiretti, interventi a trasmissioni sportive. Il primo, quando finimmo in finale degli europei, ancora contro la Francia, e in panchina c’era un altro che Berlusconi ordinò di far fuori. Appena finita Italia-Olanda gli dissero ‘Hai visto che Paolo ha sbagliato il rigore’ e lui rispose qualcosa tipo ‘Sì ha tirato lento’ ma non gliene fregava niente, i suoi ragazzi, quelli dell’Europeo under 21, erano arrivati in finale, non importa se con lui o qualcun altro. La seconda è quando gliela menavano tutti per la staffetta padre- figlio in Inghilterra nel 2003. E lui, una volta vinta, sbottò: ‘Ma basta con sti quarant’anni dopo, mi sento vecchio.’
Non so, magari mi commuovo facilmente, ma anche allora queste piccole cose spiccavano e potevo raccoglierle. Sarà perché in netto contrasto al gretto sentimentalismo utilitaristico finalizzato alla botta finale che c’era anche allora, quando in campo ci scendevano persone che ricordiamo con grande affetto. Anche per questo, grazie Cesare
Conservo la Gazzetta del 6-0 come una reliquia.