Nove a zero. Nove gol ma senza televisione, e neanche l’Istituto Luce: la più grande vendemmia di gol e spettacolo della nostra storia poté essere raccontata solo sulle pagine dei giornali. Era il 18 febbraio 1951, il Milan era primo in classifica e il Palermo non era neanche una squadra scarsa, attestandosi su una rispettabilissima settima posizione. A fine stagione sarebbe arrivato il sospiratissimo scudetto numero 4, a interrompere il digiuno più lungo di sempre: 44 anni con in mezzo due guerre mondiali e cicli vincenti di tante squadre diverse tranne noi: l’Inter, la prima Juve agnelliana, il Grande Torino, persino il Bologna. Poi, finalmente, venne il momento del Gre-No-Li.
Gren, Nordahl, Liedholm. Con quasi mezzo secolo d’anticipo sui tre olandesi, il primo trio straniero della nostra storia aveva una sonorità argentina, quasi musicale. Gunnar Gren era il Professore, un distillato di sapienza calcistica e fantasia, il più grande giocatore del ventesimo secolo per gli svedesi: nonostante una pelata un po’ impiegatizia era un virtuoso del dribbling e della finta, dal tocco raffinatissimo. Se Gunnar I era la mente, Gunnar II era indiscutibilmente il braccio: Nordahl, il Pompierone, il terzo giocatore della storia della serie A per gol segnati (ma con molti rigori in meno di Totti). Nato oltre il Circolo Polare Artico, aveva un fisico da colosso per l’epoca: un metro e 80 per 95 chili, 105 centimetri di torace, soleva travolgere in progressione qualsiasi tipo di avversario con la delicatezza di un autotreno blindato. Infine c’era lo Stile: Nils Erik Liedholm, faccia alla Max von Sydow e umorismo tipicamente scandinavo, dodici anni al Milan senza mai un’ammonizione. Erano arrivati uno dopo l’altro a distanza di pochi mesi, nel 1949: il mondo li aveva scoperti alle Olimpiadi di Londra 1948 e loro erano stati ben lieti di affrancarsi dal dilettantismo (in patria era vietato ricevere stipendi per giocare a calcio) per diventare milionari a casa dei miglior offerenti: l’Italia, appunto.
Quel pomeriggio di caccia grossa contro il Palermo scesero in campo tutti e tre, assieme ad altri otto compagni i cui contorni stanno svanendo nelle nebbie della memoria. In porta, ancora giovane, Lorenzo Buffon, lontano parente di Gigi (cugino di secondo grado del nonno) che a fine decennio diventerà un personaggio da rotocalco per la sua liaison con la showgirl Edy Campagnoli, valletta di Lascia o Raddoppia. Col numero 2 Arturo Silvestri detto Sandokan, per la sua indole non propriamente affabile nei confronti degli avversari. Col numero 3 Andrea Bonomi, operaio alla Pirelli prima di sfondare nel calcio grazie alla sua debordante forza di volontà; col numero 4 Carletto Annovazzi, centromediano, formidabile portatore d’acqua. Col numero 5 il mitologico stopper Omero Tognon, tutta la carriera in rossonero; col numero 6 Benigno De Grandi, detto Fiordaliso per la sua eleganza fuori dal campo; col numero 7 l’ala destra Aurelio Santagostino detto Busecca, soprannome di origini ignote. Col numero 11, infine, il friulano Renzo Burini, ideale attaccante di complemento alle bocche da fuoco svedesi. In panchina lo “zio” Lajos Czeizler, volpe ungherese d’astuzia sopraffina, al timone di una macchina da gol quasi senza eguali: 107 gol in 38 partite, solo il Torino ebbe una media migliore.
L’avversario era il Palermo di Gipo Viani – che pochi anni dopo inizierà al Milan una decennale carriera da direttore tecnico condita nel finale da alcuni epocali scazzi con Nereo Rocco – e soprattutto del presidente dandy, il principe Raimondo Lanza di Trabia, personaggio romanzesco. Amico personale dello scià di Persia Reza Pahlavi, di Curzio Malaparte e di Gianni e Susanna Agnelli (con cui era stato anche fidanzato), la leggenda vuole che a lui si debba l’invenzione del calciomercato presso l’Hotel Gallia di Milano (insieme al volpone Viani) e, in un certo senso, anche una delle più belle canzoni della storia della musica italiana: Vecchio Frack di Domenico Modugno, che la scrisse colpito dalla notizia del suo suicidio dalla finestra di una camera d’albergo a Roma, nel 1954.
Ci dilunghiamo nell’aneddotica perché la partita in realtà non ebbe molto da dire: fu un festoso happening in cui le prime linee rossonero gozzovigliarono come faine nel pollaio, a spese del povero Luigi Pendibene, portiere del Palermo con un indecoroso -9 sul groppone. Nordahl si limitò a infilarne uno solo, imitato da Gren che però ispirò moltissime delle altre segnature. Nell’ultimo quarto d’ora, il Milan fallì la conquista della doppia cifra a causa di alcuni interventi di Pendibene, prima che Guido Agnolin da Bassano del Grappa (padre del più famoso Luigi) fischiasse la fine. Seppur travolto, il Palermo poté consolarsi dando uno sguardo al calendario. In quel memorabile campionato il GreNoLi orchestrò altre prove magistrali: un 6-2 all’Udinese, un 9-2 al Novara, un 4-7 a Bergamo, un 1-5 a Lucca, un 7-2 al Como…
MILAN: Buffon, Silvestri, Bonomi, Annovazzi, Tognon, De Grandi, A. Santagostino II, Gren, Nordahl III, Liedholm, Burini – All.: Czeizler
PALERMO: Pendibene, Giaroli, Boldi, Gimona, Santamaria, Moretti, Di Maso, Alfier, Bronée Helge, Sukru, Vicovaro – All.: Viani
Arbitro: Agnolin