(di Federico Dask)
Ci sono volte in cui mi rendo conto di pagare un certo gap generazionale quando si discute di alcune rivalità che – nell’effettivo – mi hanno solo sfiorato. Un esempio palese: i genoani. Chi, come me, era troppo piccolo per ricordare il gemellaggio, le celeberrime cariche in Axum e quel fatidico giorno di Gennaio del 1995, si è ritrovato essenzialmente dentro a una rivalità – che definire acre sarebbe riduttivo – senza neanche averli mai visti, ‘sti benedetti grifoni. Condannati per anni al purgatorio delle categorie inferiori, non si sarebbero fatti vivi nel calcio che conta per circa quindici anni. C’ero però la prima volta che ci hanno fatti andare là nel 2011. E d’improvviso quell’odio latente te lo sentivi tutto addosso e allora sì, comprendevi. E in un certo qual senso “apprezzavi” e ti nutrivi del valore di quei sentimenti così feroci. Dubito che ai giocatori di entrambe le squadre fregasse qualcosa di tutto ciò, ma tant’è.
Gli Hellas, intesi proprio come fenomeno antropologico, li avevo invece scoperti tramite il capolavoro di Nanni Ballestrini chiamato “I Furiosi”. Un libro che raccontava dalla viva voce di alcune figure chiave – con una scrittura volutamente acerba e in linea con quel tipo di dialettica – una piccola porzione di storia delle Brigate Rossonere a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Tra i vari racconti non poteva mancare quello sulla “Fatal Verona” nella sua seconda venuta, quella dell’anno di grazia 1990. Diciamo che di ciò che avvenne sul terreno di gioco in quel libro si parlava poco, ma di certo si poteva intuire che con “quelli là” erano storie grosse e non certo da quel giorno. E siccome così ce l’avevano trasmessa quelli più grandi, di conseguenza così ce la siamo sempre trascinata. Anche se pure loro non li abbiamo visti per oltre dieci anni dopo che hanno contribuito alla notte di Manchester – e alla loro stessa retrocessione – sancendo la genesi del Milan ancelottiano con quell’1-2 con gol di Pirlo sotto il settore ospiti al Bentegodi nel 2002. Fatal Verona, per loro però.
Tutto questo per dire che a volte le rivalità come questa servono più che altro a riempire i giornali di aria fritta e a mettere l’ansia ai poveri cristi come noi. Come se, del resto, ci servissero altri motivi per non riuscire a pensare ad altro da settimane a questa parte: giornate intere rimuginando su Sotomayor – che io pensavo fosse una parola inventata da Aldo, Giovanni e Giacomo – e sullo Scudetto del ’73 e a come non avremmo potuto far altro che accettare lo spettro inevitabile del destino che pian piano si addensava sopra di noi come la famigerata nuvoletta di Fantozzi. Poi però ragioni un attimo e dici: “Ma Leao e Barak cosa ne sanno della Fatal Verona?” e ti rendi conto che l’anno scorso, in un momento chiave della stagione, a quelli là gliene hai fatti due in casa loro con, tra l’altro, una punizza da antologia di Rade Krunic. Che gli hai dato tre gol in un tempo – con Castillejo condottiero a fare da aggravante generica – appena sei mesi fa. E che gli sei sopra di venticinque punti non certo per caso. E allora, cortesemente, mettiamo ‘sta benedetta palla al centro e vediamo un po’ chi sarà fatale per chi.
E infatti, un Milan dal carattere fenomenale ha rimesso al suo posto un Verona coraggioso che ha provato a fare la sua partita ma che, nell’effettivo, è riuscito solo a far perdere un po’ di tempo al vento. Quella stessa brezza che spira prepotente nel cuore rossonero di Sandro Tonali, il condottiero che esemplifica al meglio l’anima casciavit di questo popolo che sta infrangendo ogni ostacolo e costrutto mentale per risorgere dalle ceneri di una decade di mediocrità e stagioni finite in Inverno. La stessa voglia di Stefano Pioli, che riesce a incartare perfettamente la partita e che va poi ai microfoni a dire di quanto sia perdutamente innamorato di quei ragazzi che – in campo e fuori – stanno delineando qualcosa di grande a cui rimanere aggrappati con le unghie e con i denti.
Lo stesso fuoco che arde dentro al talento sconfinato di Rafael Leao, uno che se gli piacesse anche giocare a pallone forse non sarebbe da noi ma che quando accende le turbine ricorda un Concorde passato da quelle parti in anni non troppo lontani. Ma pure Florenzino che corre sotto il tripudio della Sud – non una novità per lui, ha solo cambiato latitudine – dopo aver sigillato il risultato. E quel settore ospiti, cosa diamine era anche ieri? E aggiungiamoci pure il gol del Cagliari al 99esimo che li obbliga a dar fastidio a quelli là – quella sì che è una rivalità – per rimanere attaccati alla massima categoria.
Ne mancano due e bastano quattro punti. Siamo ancora vivi, anche se a far ‘sta vita sembra di fumare una stecca di Nazionali senza filtro al minuto. Affilate bene il cuore e la voce, amici in rosso e nero. Domenica è un’altra battaglia. Palla al centro.