(di Elena “Ellyzanzi” Zani)
Non so se avete familiarità con la musica classica, in particolare con le opere liriche.
A me piacciono moltissimo, merito di mia nonna e di mia madre, che hanno iniziato a portarmi all’Arena di Verona prima ancora che potessi effettivamente arrivare sveglia alla fine di un’opera intera.
La regola di base per capire la trama di un’opera è una soltanto: a meno che non si tratti di un’opera buffa, alla fine qualcuno finisce all’altro mondo. Preferibilmente in modo violento o di malattia. Capito quello, state a cavallo.
Nel secondo atto la protagonista, Tosca, offre se stessa al barone Scarpia, capo della polizia, per salvare Cavaradossi (il suo amante) dalle torture.
Ovviamente non lo fa a cuor leggero, anzi, mentre deve affrontare il barone si lancia in un rimprovero a Dio: “Nell’ora del dolore / perché, perché Signore / perché me ne rimuneri così?”
Signore mio che hai vegliato questa sera su San Siro, perchè ci hai punito così?
Perchè così pochi minuti dopo il nostro gol, tu permetti a Salah di sfruttare un rimpallo e di segnare?
Perchè Kessiè non si è opposto meglio a Chamberlain?
Perchè Signore, perchè?
Flash-forward al terzo atto. Tosca uccide Scarpia e corre a salvare Cavaradossi dalla fucilazione: da Scarpia era stata convinta che le armi sarebbero state caricate a salve, e che quindi sarebbero potuti fuggire. Ma Cavaradossi purtroppo viene giustiziato veramente, e Tosca in preda al dolore si suicida. Fine, sipario, applausi.
Ora, senza voler fare paragoni ignominiosi tra un finale così tragico e il nostro secondo tempo, diciamo che la mestizia dell’atmosfera generale un po’ ci si avvicina.
Quando tentiamo di ribaltarla in ogni modo, iniziando la seconda frazione di gioco attacchiamo a testa bassa, cercando di colpire il nemico con un coltello (metaforico ovviamente).
E nel momento in cui la situazione si sblocca sul campo delle nostre avversarie nel girone, non abbiamo nemmeno un minuto per sentire il destino tra le mani.
Scivola via come certi bei sogni, interrotti da una sveglia nel momento meno opportuno.
È così che è arrivato il colpo di testa di Origi.
Una fucilata di Manè deviata da Maignan che salva noi poveri Cavaradossi, per poi finire all’attaccante belga che invece di sparare a salve proprio non ne vuole sapere.
E così è finita.
Fuori dall’Europa che conta di più. Ma anche fuori da quella che conta di meno.
Quello che sembra prenderla peggio è il buon Tomori, accasciato a terra dopo il triplice fischio.
Va bene essere delusi o arrabbiati, soprattutto con se stessi. Fa parte del processo per diventare grandi.
Io però questa sera ti voglio dire comunque grazie, Oluwafikayomi. Perchè ci hai regalato 7 minuti di puro paradiso, 7 minuti di felicità estatica, 7 minuti in cui quel sogno meraviglioso lo stavamo cullando veramente. Il fischio finale è stata la nostra sveglia definitiva, quella che ti lascerà di malumore per un bel po’.
E così ci ritroviamo come Cavaradossi all’inizio del terzo atto, ormai rassegnato alla morte, che scrive una lettera di addio a Tosca. Ricordando le notti di passione con lei canta la celebre aria “E lucevan le stelle”: “Svanì per sempre il sogno mio d’amore… / l’ora è fuggita / e muoio disperato / e muoio disperato!”
Sì, stasera siamo morti abbastanza disperati, ve lo concedo.
Ma la romanza di Puccini si conclude con: “E non ho amato mai tanto la vita!”
Da stasera ameremo la vita come non mai, che sia un campionato di Serie A o altro, che venga quel che deve.
La ameremo con gli infortuni, con le sviste arbitrali e con le sconfitte.
Perchè assieme a quelli ci saranno i ritorni dei giocatori infortunati, i gol e le vittorie.
La vita è sempre bella, quando è a tinte rossonere.
Quindi dopotutto come si fa a non amarla?
Ma quando ritorno in me
Sulla mia via, a leggere e studiare
Ascoltando i grandi milanisti del presente
Mi basta una articolo di Ellyzanzi
Perché mi meravigli del creato