(di Giuseppe Toscano aka Dolce Stil Milan)
Eppure non si sa bene chi fosse il bersaglio degli striscioni (Proprietà? Dirigenza? Allenatore? Altri tifosi?), probabilmente tutti, ognuno può scegliere il suo “preferito” perché ciascuno dei potenziali destinatari ha qualcosa da farsi perdonare o da spiegare.
Inizio da questi due momenti, quelli probabilmente di maggiore distacco tra il Milan di Pioli e i suoi tifosi, per provare a spiegare l’opera – per me straordinaria – compiuta dall’allenatore parmigiano sulla panchina rossonera.
Inutile ricordare numeri e classifiche dell’ultimo quinquennio e confrontarli con quelli degli anni precedenti: lo stanno facendo altri più bravi e penso che i tifosi milanisti, siano stati PioliIN o PioliOUT, li conoscano perfettamente, salvo poi interpretarli in modo diverso a seconda della tesi da sostenere “per principio”. D’altronde, i numeri dicono molto, ma servono soprattutto per far funzionare gli algoritmi, risultando invece inadeguati a spiegare la passione e dialogare con i sentimenti. Allora, per raccontarvi il “mio” Stefano Pioli preferisco concentrarmi su altro.
Sappiamo bene che il Milan che lui ha ereditato non solo non era (neanche lontanamente) vincente, ma ci aveva tolto perfino la possibilità di “parlare” di vittorie, se non coniugando i verbi al passato. Il nostro presente era invece, nel migliore dei casi, un perenne “accontentarsi”, consolati dalla sola speranza, ultima dea, di un futuro migliore.
E a proposito di dea, ricordo ancora quando il sesto posto era considetato (e vissuto come) un risultato straordinario, quasi utopistico, che personalmente ho festeggiato il 13 maggio del 2018 dopo (uno dei tanti) Atalanta-Milan, quando un gol di Kessie (poi pareggiato da Masiello) ci garantiva l’aritmetica qualificazione in Europa League, quattro giorni dopo il 4a0 subito in finale di Coppa Italia dalla Giuvenda.
All’epoca bastava poco per essere felici: un gol di Cutrone nel derby, evitare goleade infamanti (e non sempre accadeva), vedere la Juve perdere le finali (questo accadeva puntualmente) e arrivare in Europa League, alla quale, guardandola bene, erano pure spuntate le orecchie.
Perciò, se devo ringraziare Pioli per qualcosa, non lo faccio per lo scudetto del 2022 o per averci regalato momenti di calcio pregiato anche nel biennio precedente, lo faccio perché negli ultimi due anni mi ha fatto molto ARRABBIARE, facendomi iscrivere al partito dei Pioliouters già dal 2a5 casalingo col Sassuolo nel gennaio 2023, intollerabile come e quanto i derby persi senza giocarli, i 49 gol subiti nell’ultimo campionato e un quarto di finale di Europa League vissuto da circenses chiamati a rallegrare il popolo romano.
Se posso ARRABBIARMI COSÌ è perché Pioli ci ha restituito il palato fine delle cene di gala del martedì e mercoledì sera, il gusto dello scudetto più bello di sempre e il dominio in certe serate su squadre come Juve, Psg, Tottenham, Dortmund, Manchester United, Atletico Madrid e finanche sulle bestienere Sassuolo e Atalanta.
In breve, Pioli ha trasformato l’utopia in distopia, ricordandoci che “non esiste stagione positiva senza vittorie” (era questa la premessa sullo striscione di cui sopra) e facendoci protestare per un secondo posto che, se sei milanista, è un risultato “cattivo”, nel senso etimologico del termine (dal latino “captivus”, cioè “prigioniero”, perché in fondo eravamo questo, prigionieri di un Milan che non era più se stesso).
Ora che il vero Milan è stato “liberato”, la separazione dall’allenatore è la cosa migliore per tutti: per il buon Stefano, che ha già dato tutto quello che aveva alla causa rossonera, ma anche per noi tifosi, che avendo riscoperto il milanismo più autentico abbiamo adesso il dovere di ARRABBIARCI (nelle forme più corrette) e NON ACCONTENTARCI.
Lo sa bene anche Pioli, glielo abbiamo cantato ogni domenica: “People just want more and more”.
Grazie Stefano, sei tu ad aver riacceso il fuoco in noi.