Terapia di gruppo – GENOA

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ANTIPATICI (di Giuseppe Pastore)
Il Genoa mi è stato sommamente antipatico fino più o meno ai vent’anni d’età. Da bambino ero più filo-doriano che filo-grifone e me ne sbattevo u’ belino del tifo all’inglese, dello stadio d’atmosfera, della nobiltà del club più antico d’Italia: il Genoa per me era una squadretta mediocre che vivacchiava costantemente in zona pericolo ed era piena zeppa di brocchi epocali tipo Manicone, a eccezione del mitologico panzerone Skuhravy. Per cui fui sommamente contento quando finirono in B dopo un drammatico spareggio-salvezza col Padova di Sandreani, disputato se non sbaglio a Firenze, e conclusosi con un rigore calciato alle stelle da Fabio Galante. C’è voluto quel meraviglioso attaccante di Diego Milito per farmi abbassare il sopracciglio.

L’AMICO RIMOSSO (di Gabriele Battaglia)
Prima che andasse tutto in vacca, il Genoa era l’amico di provincia che se la mena: “Noi siamo stati i primi a nascere, noi abbiamo Marassi che, belin, ha l’erba migliore d’Italia!, noi… la gradinata Nord, noi abbiamo vinto nove scudetti”. Tu non capivi perché continuasse a ripetere ‘ste cose, visto che pascolava immancabilmente tra la B e le zone basse della A, ma quel tipo un po’ vittimista e un po’ mugugnoso alla fine era il tuo migliore amico e allora assicuravi: “Guarda, il Genoa è la mia seconda squadra”. E giù a insultare di comune accordo “quelle merde” (che potevano essere indifferentemente interisti o doriani). Poi, volenti o nolenti, siamo finiti a sgomitare nello stesso pascolo e allora è finito tutto. Perché come Confucio sapeva bene, le relazioni alla pari non esistono. E come in tutte le amicizie che finiscono male, si odia ancora di più per cancellare il ricordo e dimenticare il proprio dolore.

COLTELLATA (di Paolo Madeddu)
Il Genoa quand’ero piccolo non ce lo avevo molto chiaro, si capiva solo questa cosa che erano l’antica nobiltà del calcio, e che Gianni Brera millantava di tenere al Genoa anche se era attaccato come una cozza alla dirigenza interista, forse anche per farsi offrire cena e libagioni in cambio di articoli entusiasti – anzi, di peana e fescennini in laude bausciona. Il Genoa andava e veniva dalla serie A alla serie B senza un perché finché di colpo sono arrivati il professor Scoglio e poi Bagnoli, e Signorini e Torrente ed Eranio e soprattutto Pato Aguilera e soprasoprasoprattutto Tommasone Skuhravy, che non ho mai più visto uno così grosso fare quelle capriole, e forse è stato il primo a farle dopo i gol. Quel Genoa lì era capace di tutto, era meglio non giocarci, andò anche a battere il Liverpool a casa sua e a un certo punto sembrò che potesse vincere la Coppa Uefa in quegli anni in cui in effetti alle squadre italiane bastava iscriversi a una coppa che di lì a poco arrivava un pony a portargliela a casa. Poi un giorno fui mollato da una con cui mi ero appena messo a causa di una storia in cui io non c’entravo niente ma c’entravano Genoa e Milan, una faccenda di coltellate che io commentai dicendo davanti a lei e ad altri amici: “Guardate che quello che è successo può succedere tutte le domeniche. Potrebbe capitare anche a me” “Ma no, cosa dici, tu sei uno come noi, sei laureato e tutto” “Quindi se allo stadio uno mi provoca io gli devo parlare di Montesquieu? No, guardate che non funziona così”. Lei era di buona famiglia e non apprezzò il mio lato wildboy e fu l’inizio della fine. Era veramente carina. Che coltellata.

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