Ma l’America no

Dai quattro ai sedici anni sono stata costretta a sacrificare un mese d’estate per studiare inglese in Irlanda. Sembra fico. Solo, non è stata estate. 

Scuola a luglio in un paese freddo, dove piove, in media cinque volte in un giorno, dov’è normale dare come pranzo un sandwich di banane e cipolle. In Sardegna mio padre mi avrebbe svegliato con uno zabaione alla nutella montato ad hoc, crema con neanche un granulo di zucchero. Ancora non capisco se la gioia stesse nel mangiarlo o nel farlo colare all’infinito dal cucchiaino.

La nonna avrebbe detto ‘oggi restiamo al mare tutto il giorno’, portando la ruota di focaccia barese, le melanzane impanate, il chinotto ghiacciato, mai la cocacola, perché il chinotto è un agrume e non fa male, e la mozzarella vaccina, quella seria, che se metti l’olio, meriti la Lega Nord e la Simmenthal. Sgarrare le tre ore prima di buttarsi in acqua e la paura di annegare un po’ viene, ma chi se ne frega, sarei morta felice.

Tutti gli anni, visita al St James Gate. Ora la sede della Guinness è un’americanata, torre di vetro a pinta con bar panoramico in cima. Prima, era giusto il gate, con due sacchi di luppolo andato a male il cui odore ricorda il tanfo della carne frollata, qualche statua di cera e un inutile pub, perché più brutto di quello malfamato all’angolo, dove almeno un folkloristico vecchio mostrificato dal bere che canta Wild rover se gli paghi una cuppa, lo avresti trovato. Poi il token underage voleva dire: ‘per me solo Pepsi’.

Se non altro, quel St James Gate, era l’originale.

Scopo del rinnovo, beh! I finiani per cacciare i nobili bruciavano i castelli, non gli è rimasto molto da mostrare ai turisti.

Io mi fermavo a guardare i quartieri popolari vittoriani con oche, maiali, ogni tanto un cavallo, nel cortile di casa, i bambini che giocavano nudi in strada bagnandosi con la canna dell’acqua. Hanno più tombe celtiche che abitanti al kmq, un sacco di mucche, più pecore che in tutte le parabole della Bibbia, soprattutto quel verde, come altrove non c’è, se non sulle maglie della loro nazionale.

Casa Milan mi ricorda tutti i St James Gate americanizzati di questo mondo, anche se l’hanno imbottita di coppe dei campioni, cosa che amo (dopo viene la stout.) 

Milanello era nato dall’idea di far passare la saudade dei campi al povero calciatore campagnolo o montanaro il cui primo agente era il parroco di paese con il fazzoletto in testa. Casa Milan ha lo scopo di accentrare, e passi per la sede, il museo con lo scheletrino dell’elicottero, il ristorante, i turisti; non passi il logo e l’ideona che in caso (remoto, visti gli ultimi risultati) vincessimo uno straccio di coppa del nonno, ci dovremmo simpaticamente ritrovare tutti là a strombazzare. Aldo Rossi sta a Piazza Duomo come Vendemmiaio sta a Ottobre. Gli auguro la stessa fine.

Non c’è motivazione di branding che tenga, niente è più bello di prendersi la città, salire sul cavallo e lanciare una silenziosa approvazione a quelli che approfittano del baccanale per una sveltina sui gradini dell’Arengario, mentre gli altri sono intrappolati in macchina in coda funebre. Grazie a Dio ce ne sono a ogni vittoria, grazie a Dio non c’è mai il paternalismo societario, ci sono i Milanisti, Milano e la Madonnina, che gli danno punti storici non indifferenti. C’erano prima, resteranno dopo, anche quando la proprietà uscirà di scena.

Lo stadio, parliamone: farne un altro intitolato al Nano mi metterebbe nell’ipotetica difficoltà di vietare l’ingresso alla mia eventuale prole, e questa mi odierà a morte, e a ragione, così come io odiavo mia madre e l’inglese. Almeno radi San Siro al suolo e spargici sopra il sale. Se i nazi avessero forzato la resistenza di Leningrado, Stalin lo avrebbe fatto. Lasciarlo alle Merde, dai (!) non è dignitoso.

Spero che il progetto abbia la stessa sostanza degli studi del ‘come’. Come il Bayern, come il Borussia, come l’Atletì, come l’Ajax – e tolto l’Ajax, magari non fossero state altro che boutade per riempire le dichiarazioni stampa: come la bomba come in America: spettacolo come per il Superbowl.

Se non si sta allarmando nessuno, dovrebbe. Come in America vuole dire andare allo stadio e mangiare schifezze mentre attirano la tua attenzione con l’organo e fanno baciare due sconosciuti via kiss cam, tipo l’ultimo film che ti vergogni di aver visto. Come in America vuol dire la Fifa che getta il figlio di Ronaldo fra le braccia del padre appena dopo la consegna del pallone d’oro. Finisce che, come in America, si guardano le partite per le scommesse. Quando si vuole un po’ di sport vero, c’è il campionato universitario, oppure al campetto a vedere il cugino che gioca la Baby League. Se chiedete agli americani perché guardano i ragazzini disputarsi il torneo del quartiere perfino sull’on demand, rispondono ‘That’s real’. Con buona pace delle famiglie che vanno allo stadio, riempiono modulo comprando il biglietto, e si fanno salutare dallo speaker, registrando il momento come il picco della giornata, uscendo da lì senza una vaga idea di chi abbia vinto la partita e per cosa. Persino mia madre, che di calcio sa solo che gli ha deviato la figlia, ha detto di essersi sentita Petronio l’Arbitro durante Padres vs Giants.

Barbara: sarai anche lì per badare che nessuno svaligi la cassa, ma da che mondo e mondo, le Grandi Opere sono il modo meno originale per dare una spinta all’economia. Questa è una squadra che faceva il pienone in B, se la gente sta a casa è perché del Milan dei tifosi non stanno lasciando più niente.

 

5 Risposte a “Ma l’America no”

  1. Ma figuriamoci…diamo a cesare quel che è di cesare ci mancherebbe che non diamo ad Ilaria ciò che è di Ilaria…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.