Andrea Pirlo, l’autobiografia. Ovvero, la storia della pupù

“Una penna. Bella, eh, ma pur sempre una penna. Di Cartier, luccicante, più pesante di una Bic, con lo stemma del Milan. Eppure una penna. Con un ripieno di inchiostro blu, banalmente blu”.
Inizia così, e forse già l’avete letto da qualche parte, l’autobiografia di Andrea Pirlo messa su pagina da Alessandro Alciato, uomo Sky specializzato in ex milanisti: ha scritto tre libri, uno con Stefano Borgonovo, uno con Carlo Ancelotti. Anche le confidenze di quest’ultimo, Preferisco la coppa, cominciavano nel momento in cui dava l’addio al Milan. Come a sottintendere che quello è il momento in cui iniziano veramente le vite. Ma ovviamente, tra i due libri ci sono belle differenze. A partire dalla copertina (sorridente quella con Ancelotti, tenebrosa quella di Pirlo), e dal titolo: un ironico “Preferisco la coppa” per il tortellone di Reggiolo, contro… No, non “Preferisco la gobba”. Dai, su.

“Penso quindi gioco” è il modesto titolo del libro del luminare bresciano. Il cui inizio, con la faccenda della penna, ritorna come un leit-motiv in tutto il libro, come in una suite prog-rock. Nell’incipit Pirlo chiarisce fin da subito che non ha perdonato Galliani per non avergli fatto, due anni fa, un nuovo contratto triennale. E’ meno esplicito il suo rancore per Allegri, che voleva spostarlo da davanti alla difesa, il luogo dove il Gesù bresciano perde palloni pericolosissimi (hanno iniziato ad accorgersene anche gli juventini) per spostarlo sulla fascia.

Saremo sospettosi, ma forse Allegri ha molto meno spazio perché è un bersaglio meno ghiotto per i nuovi innamorati del genio campione topplayer pallonedoro, quelli che di colpo hanno iniziato a magnificarlo a ogni piè sospinto. Non nascondiamoci dietro a un dito: la sensazione di ogni milanista è che il resto del Paese abbia scoperto Andrea Pirlo nell’autunno 2011. Prima, boh. Giocava a calcio, prima del momento in cui Galliani gli regalò quella penna Cartier, facendogli un orribile affronto? “Scaricato. Buttato via. Rottamato. Oppure cancellato, disinnescato. Forse archiviato, abbandonato, seppellito. Gettato. Se il progetto di qualcuno al Milan era davvero quello di farmi fare una fine del genere, è naufragato. (…) Mi hanno trattato come uno dei tanti, facendomi tirare il fiato, ottenendo però l’effetto contrario, alimentando la convinzione esterna che io fossi qualcosa di più”.

Volendo, uno potrebbe persino dire: ringrazialo, invece di irriderlo lungo tutto il libro col nome di “Signor Bic”. Dopo tutto, venivi da due anni passati a infortunarti e passeggiare in campo. Persino la Gazzetta (!) ti dava voti poco entusiasti (chiamo a testimoni coloro che come me hanno sempre avuto Pirlo al Fantacalcio). Ma in generale, pur apprezzandoti molto, con il Milan non sei mai stato il giocatore che ogni due per tre faceva rantolare a Fabio Caressa: “Occhio alla maledéttaaaahhh!!!” “Una magia di Pihrhlo!!”. NO. Tanto per dire, nella finale del 2007 col Liverpool, senza la deviazione di Inzaghi – il tuo pallone sarebbe finito tra le braccia del portiere, che aveva letto comodamente la traiettoria.

Oplà, eccolo, l’altro bersaglio ghiotto per i tuoi nuovi squisiti amici. Il traditore Inzaghi, passato dalla Juve al Milan e passato in un’estate da gobbo infame a cuore rossonero. Insomma, the opposite of Pirlo. In tutto il libro, ci sono tre personaggi apertamente sbertucciati dallo juventino Pirlo, e sono Adriano Galliani, Rino Gattuso e Pippo Inzaghi.

A proposito di Gattuso. Bisogna far caso a una piccola astuzia. Nel libro, non si parla di Shevchenko o di Kakà. Due che hanno vinto il Pallone d’Oro, sciocca baracconata che Topplayer non ha vinto. E ci sono poche righe per Nesta. Quasi nulla poi, sui compagni di reparto di un decennio di abbondanza, quegli incapaci di Seedorf e Rui Costa, Serginho, Cafu. Capite il sottinteso? Nessuno può fare ombra a Pirlo, centro dell’universo.
“Mai mi è capitato di riconoscermi in qualche altro calciatore, del passato o del presente, anche se per questo c’è ancora tempo. Non sono alla ricerca di cloni, non mi interessa, d’altronde Dolly non potrà mai essere uguale alle altre pecore. E poi non sento la pressione, la schivo, me ne sbatto. Il pomeriggio del 9 luglio 2006 a Berlino ho dormito, poi ho giocato alla PlayStation. La sera ho vinto il Mondiale”.
Non “abbiamo”.
“Ho”.

Ma esiste, sì, esiste un altro centrocampista in Pirlandia, ed è ovviamente uno che non è paragonabile a lui: per l’appunto quel terrone faticatore di Gattuso, il suo Sancho Panza.
Quando Ringhio diventa protagonista, abbiamo le pagine oggettivamente più divertenti del libro.
“Prendevo il telefonino di Gattuso e mandavo un sacco di sms a Braida, il nostro direttore sportivo. Un giorno, nel periodo in cui anche Rino de Janeiro aspettava che il contratto gli venisse rinnovato, ho condotto la trattativa al suo posto. Con un solo messaggio: “Caro Ariedo, se mi dai quello che voglio ti dò mia sorella”. Lui mi ha riempito di botte e ha chiamato Braida: “E’ uno di quegli stupidi scherzi di Pirlo”. Mi è sempre rimasto il dubbio che si sia sentito rispondere: “Peccato”.
Oppure. “De Rossi prima delle partite dell’Italia lo aspettava in camera, anche mezz’ora, nascosto sotto il letto. Gattuso arrivava, si lavava i denti, indossava il pigiama leopardato, si coricava, prendeva un libro e guardava le figure. Quando stava per addormentarsi, Daniele allungava le braccia da sotto il letto e gliele metteva sui fianchi. Io invece uscivo all’improvviso dall’armadio, come il peggiore degli amanti, facendo versi terrificanti. Rino la prendeva benissimo, dopo aver rischiato un collasso cardiocircolatorio: le dava prima a lui e poi a me, per par condicio. Come quella volta che l’abbiamo innaffiato con un estintore. Pareggiando in Irlanda ci eravamo qualificati per il Mondiale 2010 in Sudafrica, quindi l’ultima fatica del girone contro Cipro, a Parma, era diventata una specie di amichevole. Rientrammo tardi dopo cena, abbastanza ubriachi. De Rossi disse: “Andiamo a rompere i coglioni a Rino”. Che stava già dormendo, con la papalina in testa. De Rossi prese un estintore: “Vado a spegnere Gattuso”. Abbiamo bussato, lui ha aperto, con gli occhi stropicciati, Daniele gli ha scaricato addosso tutto quello che c’era là dentro poi è scappato a nascondersi nella sua camera, che poi era anche la mia. Ho tentato di scappare, ma ero spacciato in partenza. Quando alle tue spalle c’è Gattuso che ti vuol fare del male, puoi correre finché vuoi, ma alla fine in qualche modo riuscirà a prenderti. Che tu sia gazzella o leone. De Rossi con la serratura ben chiusa faceva lo spiritoso: “Cosa sono questi rumori? Li ho già sentiti nei filim di Bud Spencer e Terence Hill”. Era Rino che mi stava facendo vedere la sua collezione di schiaffi. Poi ha salutato ed è tornato a dormire, perché è fatto così, o gioca o resta in ritiro, non si dà alla pazza gioia, non vuole cali di concentrazione, non sopporta la sensazione di aver lasciato qualcosa di intentato per provare a vincere una partita”.

Vi immagino in piedi in standing ovation per Gattuso, il cafone con pigiama leopardato, papalina, tuta puzzolente, ma deciso a dare tutto per vincere. Visto che ci siamo, passiamo a un’altra bandiera. Paolo Maldini. No, non si parla di lui sul campo. Indovinate per cosa si parla di lui.
“Non è un segreto che non ci fosse un buon feeling tra lui e Galliani. Il signor Bic gli proponeva un accordo di un solo anno e Paolo non lo sopportava, si sentiva sminuito, maltrattato. Non offrendogli un ruolo all’altezza, una scrivania che non necessariamente doveva essere dorata, gli hanno strappato a morsi una parte della sua vita. Come Tyson contro Holyfield, e infatti alla fine è sempre l’uomo senza capelli che vince. Sia che addenti, sia che venga addentato”.

Okay, non stiamo troppo a mugugnare. Ci sta che uno si tolga i sassoloni dalle scarpe, giusto? Dopo tutto, Topplayer non è avaro di maledettehh nemmeno con la squadra di cui si dice tifoso da sempre. “Dissi al mio procuratore: dappertutto, ma via dall’Inter, qui non voglio giocare mai più. L’Inter mi girò al Brescia, in prestito per sei mesi, poi sono andato al Milan, per 12 miliardi di lire più Guglielminpietro. Indovinate chi ha fatto l’affare?”.

En passant, segnatevi quest’altra frecciatina nei confronti di uno più scarso di lui, perché è una signorilità che il ragazzo, che come si sa è nato benestante, adotta spesso nelle pagine del libro. Ma torniamo a noi.

Cosa può fare un povero Topplayer scaricato da un uomo senza capelli? Andare in un’altra squadra. Questo è comprensibile.

Però un momento, amico.

Tu nel Milan, lo dici tu stesso, sei rimasto controvoglia per parecchi anni. Non fare l’innamorato tradito.
Perché nel 2006 volevi andare al Real Madrid. Poi negli anni successivi ti eri accordato col Chelsea. E pure con Guardiola.

Cominciamo dal 2006. Capello, allenatore del Real, gli spiega: “Dovrai giocare a centrocampo vicino a Emerson che abbiamo appena preso dalla Juventus”. Non è che abbia impiegato troppo tempo per convincermi. Meno di un minuto, credo. Anche perché avevo già visto il contratto. L’aveva studiato per bene il mio agente. “Andrea ci siamo”. “Sono emozionato, Tullio”. Mi immaginavo con la maglia bianca, immacolata a allo stesso tempo aggressiva, cattiva nel suo candore atipico. Pensavo spesso al Santiago Bernabeu, il Tempio, uno stadio in grado di terrorizzare gli avversari, servitori maltrattati alla cena dei re”.
Uh, che sogno. E che nobile immagine, quella del re che maltratta i servitori. Complimenti.

“Ma mancava l’assenso di Galliani. L’uomo delle penne”.
L’assenso non venne. “Peccato sia finita così, al Real ci sarei andato di corsa. Ha più fascino del Milan, più futuro, più appeal, più tutto, incute timore negli avversari a prescindere”. Il nobile bresciano dovette “recitare uno scialbo copione studiato da uffici stampa privi di guizzo e di talento: “Non è vero, sto bene al Milan”. Ma vaffanculo”.
Oh. Poverino, quanto hai dovuto soffrire.
“Al termine di quella stagione mi sono consolato vincendo la Champions League. Poteva andare molto peggio”.

(…anche quella, vinta da solo, come sempre)

Poi, qualche tempo dopo, un’altra chance con una squadra con più fascino, più futuro, più appeal, blablabla. Sempre spagnola, ma diametralmente opposta. “Come al Real Madrid, più che al Real Madrid, anche al Barcellona ci sarei andato camminando a quattro zampe. In quel momento era la squadra più forte del mondo, devo aggiungere altro? E’ riuscito a esprimere un gioco mai visto negli ultimi anni, fatto di passaggi di prima e possesso palla forsennato”.
Ma che disdetta: “Alla fine il Milan non ha ceduto, ed era scontato che che l’epilogo fosse quello. in quel periodo mi consideravano ancora in grado di intendere e di volere, per cui mi hanno tenuto”.
Arriviamo al 2009: “Avevo trovato un accordo con il Chelsea. E con un buon motivo: vedete, il Milan aveva preso Huntelaar. “Un ottimo giocatore, sa fare tanti gol, in quel momento arrivava dal Real Madrid, però non è uno di quelli che possono vincere il Pallone d’Oro”. L’acquisto del futuro capocannoniere della Bundesliga è particolarmente mortificante per Topplayer, che decide che il Milan non è più adatto a lui. E’ il presidente a trattenerlo, personalmente. “Berlusconi ci incontrava nello stanzino vicino agli spogliatoi. Amava i colloqui individuali, di solito si intratteneva un po’ di più con Inzaghi, che qualche volta chiamava anche al telefono. Avevano molti argomenti di cui discutere. Io invece di telefonate da Berlusconi non ne ho mai ricevute. In passato l’ho votato, anche se non ci ha mai chiesto direttamente una preferenza. Berlusconi ci aggiornava ogni tanto sui dati e le statistiche. Ben diversi da quelle di Huntelaar. L’abbiamo sentito parlare anche della creazione di un milione di posti di lavoro. Meno uno, il mio”.

Sempre lui, il maledetto Inzaghi. Chissà cosa si dicevano lui e Berlusconi in quelle telefonate! (occhiolino, occhiolino!)
Quell’infame, che quando Lippi accusò la squadra di passare informazioni ai giornalisti, “qualcuno controllò la reazione di Inzaghi”. 
Può bastare? No? Cos’altro si può dire? Beh, Keith Richards, per gettare guano su Mick Jagger che gli ha sempre fatto ombra, ha scritto nella sua autobiografia Life che il cantante non ha un gran pistulino – cosa che deve aver sorpreso retroattivamente le migliaia di femmine andateci a letto. Ma visto che nel libro di Pirlo l’argomento figa è del tutto assente, Topplayer fa suo proprio l’argomento guano.
E decide di informare il mondo che Inzaghi “Cagava. Cagava tantissimo, e questo di per sé è un bene. Il fatto però che lo facesse allo stadio, nel nostro spogliatoio, poco prima di giocare, ci rendeva alquanto nervosi. Specie se lo spogliatoio era piccolo, perché tanta puzza in poco spazio tende a comprimersi. Andava in bagno anche 3-4 volte nel giro di 10 minuti. “Ragazzi, mi porta bene”. A pestarla mi avevano raccontato, non a produrla o annusarla. “Pippo, a noi no. Ma cos’hai mangiato, un cadavere?” “I bambini, comunista!” avrebbe urlato Berlusconi. Mentre Inzaghi si limitava ad ammettere: “I Plasmon. Li mangiava per davvero, tutti i giorni, a tutte le ore, e noi lo sapevamo. Un neonato di quasi 40 anni”. Abbiamo tentato di rubarglieli in tutti i modi, senza successo. Li custodiva gelosamente, egoista nel passare la palla e nel condividere la merenda: “Lo faccio per il vostro bene, i miei gol vi servono”.

Non si parla di molti altri giocatori, nel libro. Nemmeno juventini. Qualcosa su Matri, Barzagli. E si parla pochissimo anche di tifosi. E di partite. E tornei. Non si parla dei mondiali ed europei persi ingloriosamente (a causa degli altri, che ve lo dico a fare) ma nemmeno del decoroso Europeo 2012. Di partite, di vittorie col Milan si parla pochino. Ci sono diverse pagine però sulla finale persa ad Istanbul nel 2005, altra musica soave per il lettore bianconero. Però senza accuse, retroscena. Magari. E’ narrata più come una delusione inflittagli dall’ingiusto mondo del calcio. “Un bel giorno ho pensato di smettere con il pallone, ma non per colpa di Huntelaar. Mi era venuta la nausea. Ma non per colpa di Ibrahimovic e Onyewu, l’unico svedese cattivo e l’unico americano che preferisce il calcio agli sport americani. Li ho visti picchiarsi come neanche due bulli della peggior periferia, durante un allenamento, farsi del male, rompersi le costole, tentare di uccidersi, nonostante i trombettieri del re smentissero o restassero in silenzio. “E’ stato solo un confronto un po’ acceso”, dicevano. Mi hanno fatto paura eppure non sono stati loro ad assassinare la mia voglia di futuro (erano troppo concentrati ad annientarsi a vicenda). Ho pensato di smettere perché, vista Istanbul, nulla aveva più senso”.

(…e TU cosa dicevi, mentre gli altri ipocriti stavano in silenzio?) (ma va beh, perché chiedere: si è capito, come e quando il barbiso bresciano diventa un eroe)

Tuttavia, Andrea Pirlo non smise di giocare. Dopo quella partita, ritrovò un senso nel calcio, e firmò altri contratti col Milan – evidentemente, con una pistola alla tempia. E quando nel 2011 l’odiato Milan gli fece il favore di lasciarlo libero, si rifece subito viva l’Inter. Con Leonardo (tu guarda). Al quale disse eroicamente no. Perché? “Non potevo fare questo ai tifosi del Milan”.
(pausa)
“E poi, avevo già firmato un triennale con la Juve”.

Così, la storia è a lietissimo fine. “Tra i fortunati, io lo sono particolarmente: ho conosciuto Antonio Conte”.

Che fortuna! Che sogno! La Juve di Andrea Agnelli, che Pirlo immagina un po’ come lui, nell’atto (sentite qui) di “intonare Vaffanculo di Marco Masini, dedicato a tutti quelli che non ci credevano. Andrea Agnelli che negli spogliatoi bianconeri dice alla squadra: “Ah, adesso l’Italia non mi basta più”. Nella testa ho sentito la musichetta della Champions. Lui mi ha fatto l’occhiolino. Andrea Agnelli. Cento per cento Agnelli”.
…e con questo, badate bene, il lecchino cagone è Inzaghi. Una magia di Pirlo, davvero.

Ah, per concludere, è giusto che vediate anche una foto dal pregevole libro. E’ fatta un po’ frettolosamente, perdonerete lo scatto fatto obtorto collo. Immag1491Eccola qui. La didascalia dice: 21+10=31 sul campo.

Beh, noi saremo certamente rosiconi, caro Andrea – specie della Champions che – da solo – hai fatto vincere ad Andrea Agnelli (come? Non l’hai vinta? Ma dai). Ma chissà se quell’odore che sentivi nello spogliatoio, veniva davvero da Pippo Inzaghi.

5 Risposte a “Andrea Pirlo, l’autobiografia. Ovvero, la storia della pupù”

  1. io mi chiedo soltanto perche ? perche uno come lui che sembrava uno in gamba, spiritoso con ironia, non parlava mai a sproposito, se ne esca con un libro cosi ?!

  2. Però, diamo ad Alciato ciò che è di Alciato: “Preferisco la coppa” è pieno di roba da sganasciarsi. E non solo per milanisti.

  3. Volevo coprirlo di insulti nel commento ma poi mi sono ricordato di essere Milanista: che dire??? Grande giocatore ma omino piccolo piccolo piccolo piccoletto piccolissimo….

  4. Uno che preferisce la Juventus al Milan nn si può ritenere pensante.Vincere è l’unica cosa che conta( motto juventino alquanto discutibile)pur smerdando colleghi con i quali hai condiviso gioie immense è da classico sfigato che mette gli altri in ridicolo per innalzarsi.fuoriclasse puro certo ma un omino che finito il calcio del nulla rimane.

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