L’hashtag: #Milano

Viene il dubbio che c’entri la città.
Perché lo avrete notato anche voi: arrivano qui, e subito iniziano a girare storie – e foto – delle loro scorribande in corso Como o in via della Spiga, immancabilmente a bordo dei loro Suv o delle loro Lamborghini. Farebbero davvero ‘sta vita, a Manchester o in Baviera?

Forse la città c’entra sì, perché non solo la povertà del gioco o la confusione societaria si somigliano – e quello può capitare, ed è capitato, brevemente, in passato – ma il fatto nuovo è che è diventato difficilissimo distinguere persino un tamarro che gioca nel Milan da un tamarro che gioca nell’Inter (mentre con Gattuso e Materazzi, nessuno avrebbe avuto dubbi, già nella culla).
Mugugnare su tatuaggi, creste e SUV è un po’ patetico. Eppure, non c’è dubbio: dopo anni di serietà panettona al massimo stemperata dal rito dell’aperitivo e dagli umoristi misurati del Derby (nel senso del locale), di colpo, la città è sguaiata, e tamarrizza chi ci arriva. Molto più di quanto Roma coattizzi. E tamarrizza tutti allo stesso modo, su tutte e due le sponde. Questo, anche se non sembra, è un piccolo sintomo del fatto che le due squadre vivono la stessa deriva – verso l’Indonesia, verso la Cina, verso l’ignoto. Che strana cosa: chi lo avrebbe detto cinque anni fa (non dieci o quindici: cinque). Dopo vent’anni di pancia pienissima per entrambe (gli opinionisti non lo fanno ma ricordiamolo noi, magari anche agli stranieri che alzano il crestone: negli ultimi 10 anni due coppe di quelle grosse sono venute qui, trovatela un’altra città che possa dire qualcosa di simile. Avrete un bel cercare), all’improvviso, puff.
Inutile farsi illusioni: l’anno prossimo lo stadio Meazza sarà il solo rappresentante della città in Europa. Milan e Inter, il 19 aprile 2015, si ritroveranno otto squadre davanti. E con buona pace di Zorro Boban, è difficile dire che il Genoa o il Torino vantino rose più sontuose. Il fatto stesso che diversi giocatori defenestrati per esasperazione riescano a rendere il doppio non appena si trovano lontani dalla Madonnina significa che i due club, al di là delle responsabilità (o irresponsabilità) degli allenatori venuti dopo i monumenti Ancelotti e Mourinho, hanno perso autorevolezza soprattutto presso i propri giocatori. Lo sbando è a 360 gradi, per tutte e due – anche per chi dovesse vincere il derby più depresso degli ultimi quarant’anni.

E un aspetto visibile dello sbando è la disaffezione.

Che effettivamente, è un problema crescente della città, se la conoscete. Qui ultimamente sembra che si defilino tutti. Si defila il sindaco, si defilano Berlusconi e Moratti, e Tronchetti non ne parliamo. C’è chi si è defilato dopo aver oltrepassato i limiti della sopportabilità (Formigoni, Bossi. Ma in punta di piedi e senza pagare dazio, ci mancherebbe).
Con questo andazzo la gente vive tutto con distacco, a partire da una Expo subita come un dazio da pagare ai mazzettieri meglio protetti. Se ci pensate, uno dei simboli del clima di autodenigrazione diffusa è il crescente successo del mediocrissimo “Milanese imbruttito” (…per dire il livellone: l’articolo – serio – del sito in questione sulla recente sparatoria in tribunale si conclude con “Purtroppo in giro è pieno di fuori di testa, questo è un dato di fatto”) (5mila condivisioni) (che il Corriere della Sera, altro emblema affaticato, se le sogna).

Difficile dire come si è arrivati a questo – e sarebbe stucchevole chiamare in causa gli anni 80, poi Tangentopoli, e via clichéggiando. Sta di fatto che l’impressione è che i giocatori sentano questa cosa come i cavalli che non sentono il padrone, come i musicisti di Prova d’Orchestra di Fellini che non riconoscono una guida nel direttore e vanno ognuno per conto proprio. Sicché, come si diceva, vengono qui, e invece di sentirsi sotto i riflettori e cercare di dare il meglio, come succedeva una volta, cercano di defilarsi, di mungere la vacca il più possibile facendo il minimo sindacale. O anche meno.

(…ci fosse qualcuno che si ricorda che macchina guidava Van Basten, o che pubblicità faceva)

Una cosa però va detta: la disaffezione del pubblico è vera, ma è più lacerante di quanto nessuno dica. Perché lo stadio si svuota ma non – banalmente – perché non si vince; ma per sofferenza, per mancata identificazione. Ora sembra che le due società intendano chiedere che il calendario in futuro collochi sempre il derby in concomitanza con qualche evento di richiamo – possibilmente il Salone del Mobile e del Design, come quest’anno. Per avere un po’ di gente a San Siro, sapete. 

Non la vogliono proprio capire. D’altra parte, cosa vuoi pretendere da gente che ha preso il suo master in marketing, ma non ha mai tenuto a una squadra (e l’espressione “tenere a”, invece che “tifare”, non è casuale).
Non lo vogliono capire che qui la gente, se glielo chiedete, continua a stravedere per quei colori. Sta solo aspettando qualcuno in campo che faccia altrettanto.

2 Risposte a “L’hashtag: #Milano”

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