“Zeman who wasn’t there”

Zeman, una specie di Zeno sveviano – ma lui non ci pensa neanche a smettere di fumare.

Eccoci: è Zemania. Dal Manifesto al Wall Street Journal, da Il Foglio a Tuttosport, fior di testate che fanno fior d’opinione hanno tracciato i loro bravi ritratti, meglio se iperbolici. Il direttore de Il Fatto Quotidiano, Padellaro, dice che Zeman “E’ la speranza di questo calcio, soprattutto per come lavora con i giovani in un paese che li tratta malissimo”. Sull’impagabile Libero (non pagatelo mai. Piuttosto rubatelo) Giuseppe Pollicelli lo ha accusato di applicare il comunismo al calcio – e non è nemmeno la cosa più immonda di cui lo ha accusato. Sul Foglio, Maurizio Crippa evoca Vaclav Havel, Bohumil Hrabal, e un cortometraggio cecoslovacco (coi sottotitoli in…?) di Ivan Passer intitolato “Un pomeriggio noioso”. Havel anche per Stefano Mannucci su Il Tempo, ma quando c’è da volare ancora più alto Zeman “è un epigono dello Zeno sveviano, con le sue struggenti amarezze private, ma anche uno dei misteriosi figuranti che affollano i romanzi di Kundera”. Non c’è cekoboemo celebre che non venga tirato in ballo – Milos Forman è chiamato in causa da Elio Pirari su Leggo, a Kafka pensa Oliviero Beha (ma anche Massimo Castellani su Avvenire). Oh, manca solo la Navratilova.

Italia divisa, però non come ai tempi di Mourinho, uno con cui Zeman si prende malissimo (cosa che a qualcuno, nella curva dei Prescritti, forse è sfuggita – ma quel famoso striscione era molto probabilmente una frecciata antiJuve). E’ un po’ diverso: con l’umile portoghese, non si parlava mai di calcio, ma di tutto il contorno. L’italiano medio non ha mai avuto una vaga idea di quali schemi adottasse Mourinho, ma lo trovava originalissimo: “Chi vince ha sempre ragione, ce l’hanno tutti con noi, ci vogliono derubare, sono tutti invidiosi” – concetti altissimi, che il nostro calcio non aveva mai espresso in 100 anni prima che lui li affermasse con coraggio e intelligenza inediti. Con Zeman no, c’è tanta retorica e sdilinquimento, ma quando se ne parla fa capolino anche un’idea di calcio giocato. In ogni caso, se Mourinho divideva l’Italia in due, Zeman sembra dividerla in due e mezzo.

Si sa chi lo odia: soprattutto gli juventini. Si sa chi lo ama: i romanisti incondizionatamente, ma con loro altri milioni di italiani, di solito con inclinazione spettacolar-utopistica. Poi c’è un bel po’ di gente che lo ama per antijuventinità (…che, sia chiaro, a noi qui sembra comunque un motivo legittimo). Qualcuno che lo ama per paraculismo (cfr. Gianluca Vialli): il solito lezzoso Moratti, che ha dichiarato “L’ho cercato” (e allora perché non l’hai PRESO, tu che di allenatori ne prendi uno a bimestre, o gran signore del mio pistolino. Paga Vieri, e taci) ma anche Petrucci, presidente del Coni.

E poi ci siamo noi. Che con Zeman abbiamo avuto rapporti semplici, limitati al campo, e a partite da far girare la testa (i tifosi di Foggia e Lazio, soprattutto, se le ricordano). Fuori dal campo, apparentemente, niente: né faide né innamoramenti.

Anche se Arrigo Sacchi, che è più o meno della sua stessa pasta, si è sempre speso per lui, tanto da caldeggiarlo a Silvio Berlusconi (forse i più giovani non si ricordano di lui – è il figlio di Luigi, quello del trofeo) come suo sostituto nel 1991.

Anche se anni fa Zeman, quando Milan e Juve si stavano contendendo uno scudetto – ignorando che era di cartone – non si nascose: “Il Milan durante tutto l’arco del campionato ha sempre provato a giocare meglio e in effetti ha sempre giocato il calcio migliore. Può recuperare sulla Juve, spero che succeda, che emergano i valori”. Più di così, c’è solo il bandierone.

Invece Berlusconi di parole per Zeman non ne ha mai avute tante. Ma davanti ai consigli di Sacchi, fece un gesto che valeva mille parole: chiamò Capello.

Eppure quest’anno la follia sarebbe stata più che sensata. Mai come quest’anno, con un proprietario visibilmente annoiato dal gioco (mi scuso con la parola gioco) di Allegri ma anche intenzionato a tagliare i costi della squadra, sarebbe stato sensato prendere un allenatore che ha fatto brillare Seno e Codispoti. La curiosità avrebbe riportato i sempre più miseri abbonamenti a livelli da anni 90. Invece niente.

Ora, io vorrei commentare la cosa con un’osservazione tranchant e sagace, perché non mi sento particolarmente perspicace – anzi, mi sento un po’ banale e anche un po’ scemo nel dire che Berlusconi non potrebbe tollerare Zeman perché è uno che pensa con la sua testa. Perché non è il tipo da accettare, seppur sogghignando come Ancelotti, che il padrone dica di aver fatto lui la formazione.

Purtroppo da anni, con Berlusconi, la risposta più scema e banale è anche la più vera.

3 Risposte a ““Zeman who wasn’t there””

  1. Questo ci insegna soprattutto una cosa: incredibile quanto possano essere pallosi gli intellettuali di destra quando ci si mettono.

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