Il futuro

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Per tutti i milanisti con meno di 35 anni, Silvio Berlusconi è la versione pagana di Karol Wojtyla. Esiste da che abbiamo memoria, e in tutti questi anni ha proiettato sul Milan sempre la stessa immagine vincente, rassicurante, impermeabile allo scorrere del tempo e delle mode, usate come strumento per scandire la sua immutabile grandezza. Gli elicotteri, i cappelli a tesa larga, la ricerca costante del bagno di folla, le prime dichiarazioni ambigue a mischiare calcio e politica (“Faremo diventare l’Italia come il Milan?” e tutti in coro “Sìììììì!“), poi sempre più moleste, gli acquisti sincronizzati con le campagne elettorali e giù giù fino al blocco di ogni investimento “perché il Paese non capirebbe“. La gestione disastrosa degli ultimi anni, con rubinetti sempre meno gocciolanti, offusca solo fino a un certo punto una presidenza che ha cambiato il calcio mondiale. In meglio, secondo legioni di tifosi cresciuti (e cresciuti benissimo) a Gullit-Rijkaard-Van Basten. In peggio, secondo le opinioni rispettabili di chi identifica nel berlusconismo la fine del calcio di una volta: non ci sarà mai più un Verona che vince uno scudetto dal nulla, le belle favole potranno esistere solo se accompagnate da pacchi berlusconi87di soldi, il potere economico metropolitano (poi esportato in tutto il mondo: Londra, Madrid, ora Parigi…) dominerà incontrastato.

Berlusconi che si mette sulla soglia dello spogliatoio e ricorda ai ragazzi del 1987-88, prima di partire per Verona, che Arrigo Sacchi non si tocca. Berlusconi che chiede scusa all’Atalanta dopo il rigore di Baresi in coppa Italia, quando è troppo tardi. Berlusconi che si ritaglia sempre la parte del signore, rinunciando al ricorso UEFA dopo la farsaccia delle luci di Marsiglia, ma anche Berlusconi che compra Lentini con una manovra spregiudicata mai del tutto chiarita. Berlusconi che nel 2002 a Rimini, ospite del Meeting di CL, dice urbi et orbi che “Nesta non è possibile, nel calcio siamo arrivati a livelli che davvero non hanno più nulla di economico e di morale“, e due giorni dopo compra Nesta, il tassello mancante dell’ennesima squadra che vincerà tutto. Berlusconi che telefona, sempre più spesso, telefona alla Domenica Sportiva per battibeccare con Vittorio Zucconi sulle due punte. Ma poi Berlusconi che inizia a vendere, a cominciare da Shevchenko. Berlusconi che telefona a Biscardi per confermare Kakà, salvo vendere anche lui sei mesi dopo. Berlusconi che telefona allo zerbino Criscitiello (notare il progressivo rimpicciolirsi dei suoi interlocutori) per confermare Ibrahimovic e Thiago Silva, salvo poi (s)venderli due settimane dopo, in uno dei momenti più squallidi della sua presidenza e dell’intera informazione televisiva d’Italia.

Un’altra telefonata, quella fatale, è arrivata il Primo Maggio, in un brutto giorno di pioggia e fuoco nel centro di Milano, come se tutto si fosse di colpo pre-berlusconizzato e non ci fossero ancora Milano 2 né TeleMilano né la Polisportiva Mediolanum. L’inevitabile circostanza che in un anno possano esserci non più di 366 giorni, invece che infiniti, fa sì che il giorno della Resa coincida con un altro Primo Maggio glorioso, quello del 1988, quando al San Paolo tutto era iniziato. Proprio a Napoli si va domani, in uno di quei cerchi perfetti che il calcio sa regalare una volta ogni tot anni.

La morte di Giovanni Paolo II fece una certa impressione anche ai pagani, che mai si erano realmente posti il problema di avere a che fare con il suo successore. Così, per quanto oggettivamente inevitabile (l’uomo ha 78 anni, è discretamente bollito ed è soprattutto assediato da un esercito di figli e squali assortiti che lo stanno sfinendo da anni), l’uscita di scena di Berlusconi è ugualmente deflagrante. Impossibile che andasse diversamente. Da quando è entrato in scena per la prima volta, presentato a dicembre da Alessandro Alciato di Sky, il thailandese Bee Taechaubol (del quale avremo tanto tempo e modo per parlare) è stato prima ignorato, poi sbertucciato, poi ridimensionato, poi investito dal nostro pessimismo, “Vedrai che non vende neanche stavolta“, “E’ troppo innamorato“. Ma la fine è arrivata, perché la fine arriva sempre. Checché ne pensi Berlusconi, che raramente dev’essersi posto il problema in vita sua, e invece in pochi giorni vede le sue due creature più prestigiose (il Milan, la Fininvest) messe sfacciatamente sul mercato dal sangue del suo sangue.

E’ comprensibile che tentenni, che gli venga il groppo in gola. Merita la nostra umana simpatia, se non altro perché per la prima volta la fine lo sta guardando negli occhi. Per un impareggiabile piazzista come lui, vendere ciò che gli è più caro equivale alla più brutale delle metafore: Berlusconi non è mai stato così vicino alla morte. Il Berlusconi super-eroe e poi arci-cattivo, adorato da mezza Italia e visceralmente odiato dall’altra metà, torna uomo, si fa prendere dai ricordi e dai rimpianti, incassa la sconfitta insopportabile di uscire a testa bassa, nel momento peggiore della sua quasi trentennale presidenza. Sì, Berlusconi esce da perdente. E’ stato questo il principale freno a una trattativa tutto sommato rapida, se consideriamo la complessità delle berlusconi-telefonataforze in campo (un broker thailandese intermediario di una famiglia araba e di una banca di Hong Kong appoggiata dal governo cinese contro l’ultimo avamposto di un’ostinata milanesità ormai fuori tempo e fuori luogo). Una trattativa rapida perché inevitabile: le squadre di calcio sono da sempre una perdita senza speranza, il fiore all’occhiello del narcisismo ma la condanna del portafogli. Persino per Berlusconi, che dal calcio ha ricevuto anche più ciò che ha dato; ma ha dato 720 milioni di euro, oltre mille miliardi di lire, e potete facilmente capire l’enormità del tutto. Marina ha tirato la cinghia, Barbara ha fatto i capricci ma non era realmente in condizione di decidere alcunché, Galliani – i cui rapporti con Silvio da almeno un paio d’anni sono gelidi, e stiamo usando un eufemismo – si è garantito senza troppe insistenze un posticino anche nel Milan che verrà. Era solo il cuore di Silvio, che mai come stavolta era un cuore umano. E come in tutte le faccende multi-milionarie, il cuore ha finito rapidamente per soccombere.

La maggior parte di noi è fondamentalmente conservatrice. Odiamo i cambiamenti, ci commuoviamo a ogni trasloco, dedichiamo frasi intollerabilmente smielate alle macchine e agli iPhone che ci abbandonano per strada. Figuriamoci se non possiamo affezionarci a persone mai conosciute o addirittura mai esistite, siano esse Berlusconi, Wojtyla, Dylan Dog o Walter White. Ora abbiamo davanti un enorme, sconfinato, infinito futuro. E lo sappiamo: più si invecchia, più il futuro è visto come un fastidio, lo sciopero della metro non annunciato, il testimone di Geova che ti citofona alle 8 della domenica mattina. Nel 1992 il quasi sessantenne Leonard Cohen scrisse un pezzo di oltre sei minuti, intitolato appunto The Future, che era una tremenda giaculatoria su un avvenire apocalittico in cui nel lungo periodo saremo – come dire – tutti morti. C’era un unico verso che volgeva alla speranza: Love’s the only engine of survival, l’amore è l’unico motore della sopravvivenza. Forse una frase fatta e retorica per tutti, con un’unica eccezione: i tifosi di una squadra di calcio.

4 Risposte a “Il futuro”

  1. Per me Berlusconi non è sempre stato lì; è arrivato.
    Sì. Ho, ahimè, più di 35 anni.
    Anzi ti dirò di più: è arrivato permettendomi di vedere, per la prima volta in assoluto, il Milan vincere al Comunale di Torino contro la squadra del potere.
    E avevo più di 20 anni.
    Una gioia immensa. Proprio questa gioia immensa me lo rende, attualmente, ancor più odioso…. vabbé, al bando le considerazioni personali.
    Ho scritto perché questo di oggi è un bel pezzo.
    Non che gli altri scritti in precedenza non lo siano stati, ma questo lo è stato di più.
    E, riallacciandomi alla tua metafora finale, spero che per noi milanisti il futuro non sia simile a questa brutta versione italiana di De Gregori

    https://www.youtube.com/watch?v=gl_hxQMsN58

    (A Francè’ ma chi te l’ha fatto fare)

  2. unici…riuscite a mettere nero su bianco i miei pensieri e le mie emozioni (che come sempre viaggiano su rette parallele)…a volte mi sembra di essere io stesso a scrivere…non posso fare altro che associarmi a voi e complimentarmi ancora una volta

  3. Complimenti. Davvero complimenti per il pezzo.
    A proposito, sul thai ho ascoltato commenti piuttosto preoccupati rispetto alla possibilità che si tratti di un prestanome di un gruppo finanziario legato a procuratori di calciatori. Ormai più ricchi di parecchi club di calcio,e che da diversi anni provano a comprare stoppati dalle varie leghe nazionali. Sapete qualcosa di più preciso?

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