Cronache del dopobomba 17: Milan-Catania 4-2

28 Aprile 2013

Mi mancava solo questa nella mia ultradecennale esperienza di abbonato: la trasformazione del calcio giocato in pura Playstation. E’ successo nel primo tempo, quando ad un certo punto è sembrato che chiunque a turno dei nostri stesse tirando in porta, senza che la maledetta palla ne sapesse di entrare. Destro – ribattuto! Piattone – miracolo del portiere! Tap in – muro del difensore! Nuca! Tibia! Tutto in 30 secondi. Niente, niente da fare. L’ombra sinistra della sfiga incombeva plumbea su S.Siro accompagnando una pioggia che sembrava presa di pesa dagli effetti speciali di Blade Runner. La Santa Fiorentina, squadra bravabellasimpaticaamicaditutti, fiatava su collo, levandoci la prospettiva e il piacere di essere presi a calci in culo da qualcuno (statisticamente il Barcellona) l’anno prossimo agli ottavi di Scempions.

Che poi, tutto si può dire, ma dopo una partita inguardabile a casa dei gobbi maledetti, finalmente giocavamo bene.

Il Catania delle meraviglie, lodato nemmeno fosse il River Plate dei tempi di Di Stefano, preso ad esempio come squadra che fa del gioco corale e delle ripartenze assassine il suo forte, sfoggiava un catenaccione come non se ne vedevano dai tempi del Bari di Bunker Fascetti, quando in mezzo alla difesa c’aveva Neqrouz, detto anche l’arabo palpeggiatore. Tutti dietro a tappare le falle come sull’Arca di Noè. Monto in mezzo al campo la piazzava, Flamini bastonava, De Sciglio e Abate scendevano, (ovviamente quest’ultimo senza praticamente fornire un cross decente che sia uno). Persino Boateng sembrava tornato ai tempi d’oro, soprattutto quando con un controbalzo ha sparato sulla traversa una palla che penso stia ancora vagando fra Plutone e Urano.
Tranquillo, è matura, mi rassicurava il mio vicino di posto, il Dra, che per altro è anche il mio commercialista. Spero che i conti li sappia fare meglio che i pronostici, perché appena due minuti dopo il Revendendo Legrottaglie aveva un’apparizione mariana e ci piazzava nel sette il centoventesimo gol su calcio piazzato subito nella stagione.

Ora, lo so, è come sparare sulla Croce Rossa. Ma Bonera.

Non che il gol nello specifico sia colpa sua. Oltretutto come compagno di reparto si ritrova Mexes, uno che sembra uscito da un format di RealTime sui calciatori tatuati psicopatici con grossi problemi di linea (ehi, questa sì che è un’idea!). Ma già vedere Bonera capitano ti si stringe il cuore. Mi sono sempre vantato di una cosa da milanista: Liedholm, Cesare Maldini, Gianni Rivera, Franco Baresi, Paolo Maldini. Sessant’anni di Milan con praticamente solo cinque capitani (sì, lo so, ci sono stati brevi intermezzi, come Albertino Bigon, il Bravo Ambro di adesso o quell’infame maledetto di riccetto Collovati, ma più o meno la successione è questa). E adesso ti vedi Bonera con la fascia. Non si fa. Non c’ha il physique du rôle. E soprattutto ieri gettava nel terrore più cupo ogni singolo spettatore presente a S.Siro (quindi relativamente pochi, in ogni caso) non appena i carusi rossazzurri osavano superare la metà campo.
Che per la verità in tutta la partita è accaduto solo un’altra volta, cioè quando un argentino del Catania l’ha passata ad un altro argentino del Catania, una manovra che odorava così tanto di asado da lasciare basito il povero Ignazio, il quale invece di fare una diagonale che fosse una, lasciava che il pibe si involasse sulla Pampa per uccellare il nostro non irresistibile portiere.

Sembrava il sigillo definitivo su una partita iniziata male e continuata peggio e invece no, uomini di mala fede che non siamo altro, era solo il compimento cabalistico di protocollo rigidissimo che prevede che Nonna Amelia ne prenda almeno un paio a partita, un po’ come i Van Halen che ai tempi di David Lee Roth in camerino non volevano M&M’s color marrone sennò davano di matto. Tu inizia a piazzare due belle pere fumantine ad Amelia e poi vedi la reazione.

Tutte cazzate. Diciamoci la verità, avevamo il morale sotto i tacchi. Per fortuna non quelli di Pazzini, un altro ai cui dobbiamo le scuse in tutte le lingue del mondo come all’amico suo Montolivo. Il Pazzo non solo ci ha levato di torno quell’insopportabile di Ciccio Cassano, ma ne ha messo pure 15 partendo praticamente sempre dalla panca, manco fosse un Massaro in versione 2.0. Dopo aver parato tutto il parabile e anche di più il buon Frison (o Frisson. O Freeson. Allo stadio tanto era “quello che sta in porta al posto del portiere del Catania”. “Come si chiama? Ah sì, Andua”. “Andujar?” “Anduja” “Come il salame piccante spalmabile della Sila?” “Praticamente” “Ma è calabrese?” “No, argentino” “Ah ecco”) finalmente faceva una cazzata e respingeva male l’ennesima bomba scagliata da SuperMario. Arriva il Pazzo, gol, 2-2, palla a centrocampo. Vuoi vedere che…

Passano tre minuti, sulla trequarti un nostro carica palesemente un nano del Catania, ovviamente argentino. Io dico: questo è fallo – e invece no, perché l’arbitro (che in nome dell’amore non ha visto un mani in area di San Nicola Legrottaglie che nemmeno i bagher di Zorzi ai Good Will Games) lascia andare, i siculi invece di rientrare protestano perché vorrebbero la palla fuori. Ma voi siete matti ragazzi belli, anche perché quello non si è fatto un cazzo.

E allora filiamo verso la porta come un’Auto Blu sulla preferenziale, ElSha si mangia credo il suo quinto gol della giornata, arriva ancora il Pazzo e la mette da due metri di piattone. Scatenando l’apoteosi in un S.Siro finalmente libero e disinibito, che in nome dell’amore si abbraccia gaudente, continuando a godere anche quando Izco, uno che ad intuito, ma non vorrei sbagliarmi, dovrebbe essere nato dalle parti di Baires, sbanana in alto la palla di un immeritatissimo 3-3.
La magnifica retorica del calcio.

Poi Balo a tempo scadente mette dentro il rigorino della sicurezza e restiamo a più uno dalla viola. Adesso ci aspettano Toro in casa, Pescara fuori, Rioma ancora a S.Siro e chiusura con il gran finale a Siena. Insomma, con rispetto parlando non la finale del doppio a Roland Garros contro Federer in coppia con Nadal (sto dicendo cose a caso, si vede? Il tennis mi interessa come la filologia romanza o l’allevamento della carpa selvatica, con buona pace di David Foster Wallace). Dai ragazzi, ce la possiamo fare. Che alla gita sulle Ramblas di inizio primavera ormai ci siamo affezionati.

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