CRONACHE DEL DOPOBOMBA 14 – Milan-Lazie 3-0

2 Marzo 2013

Che alla fine della metà del secondo tempo, alla centesima discesa di De Sciglio, quando anche Zaccardo (l’unico ad aver segnato su azione all’Italia nel Mondiale del 2006, a suo modo un record) si era perfettamente inserito al centro della difesa, quando il 4 a 0 sembrava lì a portata di mano, persino inevitabile, più che ineducato, un pensiero collettivo attraversava S.Siro in quella freschina serata di inizio Marzo: ma Acciuga perché, perché, non hai messo dentro Ambro nel secondo tempo nel derby? Ora: inutile stare a dire la genealogia di immensi capitani che abbiamo avuto al Milan. Se prima di te ci sono stati Cesarone, Rivera, Il Capitano e Maldini, portare quella fascia non è facile, ça va sans dire. Ma Ambro, questo meraviglioso esemplare di mammifero milanista con quell’accento romagnolo che hanno solo quelli che in realtà sono nati appena dopo, cioè a Pesaro, lo fa con una serietà e una devozione tale che mi commuovono quasi come quando da bambino mio padre mi faceva ascoltare Eine Kleine Nachtmusik di Wolfango Mozart su una ricercata edizione della Deutsche Grammophon e io pensavo: va bene papà, meraviglioso, però domenica portami a S.Siro che Hateley ha recuperato.

E il bello è che Ambro non fa solo quello, ma chiude, contrasta, recupera, anticipa; imposta pochino, è vero, perchè non è mai stato il suo forte, ma a centrocampo fa sentire eccome la presenza, tanto che se si vuole passare dalle sue parti conviene mettersi la bandana in testa, il coltello fra i denti e prepararsi ad una sfida fra pirati.

E allora, dopo che col Barça Ambro è stato letteralmente maestoso, perché Crist’Iddio non l’hai messo nel secondo tempo del derby? Fai 45 minuti in cui prendi le merde a pallonate come non succedeva da anni, sbagli il 2, il 3, il 4 a zero, finisci il primo tempo in vantaggio e ti rode pure il culo, vedi che tornati in campo quelli sono in maggioranza a centrocampo e non fai NULLA? Dal vasto settore di milanisti presenti a S.Siro, da ogni casa con un televisore acceso, in ogni anonimo casello autostradale in cui un rassegnato casellante milanista stava facendo il suo turno, tutti pensavano la stessa cosa: “Fai un cambio, cazzo, mettine uno a centrocampo prima che sia troppo tardi, dai”. Da qualche parte, persino Morrissey mugolava “Please please please, let me get what I want this time”. Cioè un centrocampista. Possibilmente Ambrosini.
E invece niente.

Va detta una cosa: non si può infamare uno e poi lodarlo il giorno dopo.
Solo che Allegri ha questa incredibile capacità di riassumere geniali intuizioni e scelte per cui vorresti aspettarlo sotto casa con un cannemozze. Della cazzata principe, cioè far giocare a Thiago Silva gli inutilissimi 120 minuti del ritorno di Coppa Italia dell’anno scorso abbiamo già detto mille volte, del non vedere che una squadra imbarazzante, come le merde domenica scorsa, venivano avanti solo per disperazione e solo perché ne avevano uno in più in mezzo, credo potrà diventare un old school del rimpianto come la sciocca ma inevitabile ammonizione che ha fatto saltare a Nedved la finale di Manchester o il palo di Cordoba al 90 nel derby di ritorno di Champions nel 2003 (Uh! Come ci spiace).

Fortuna che con la Lazie la faccenda si era chiusa immensamente prima, più o meno in quegli interminabili cinque minuti in cui tutto lo stadio si chiedeva “lo dà, non lo dà?” convinto nel profondo del suo essere che fosse un rigore grande come una casa. Che invece così non era, ma pazienza. Però rosso, Candreva a casa e aquile coccodè in dieci. *

Diciamolo sottovoce, ma sabato sera, complice l’assenza di Klose e la superiorità numerica, il Milan ha di gran lunga giocato la miglior partita della stagione, pari solo al primo tempo nel derby di cui sopra. Boateng è riemerso dalle sabbie mobili di divisimo, tatuaggettismo e velinismo in cui era caduto e finalmente sembra aver capito dove deve mettersi a giocare: di colpo corre, mena e regala ogni tanto numeri che stanno a metà strada fra il Barnum e Ipanema. Il Faraone è immenso, davvero un giocatore per cui sono finite la parole, così come De Sciglio. Persino Abate ha dato l’idea ogni tanto di saper piazzare dei cross. In generale, sabato sera regnava una specie di competenza ontologica: tu sei Flamini? Che sai fare? Randellare e recuperare palloni. Pronti. Tu sei Marione Yepes? Qual è il tuo forte? Anticipare di testa e tenere alta la difesa. Eccolo. Insomma, ognuno faceva il suo, come fa una squadra vera, non di fenomeni, ma di gente che sa stare in campo.
Chiaro che in quest’ottica l’hombre del partido non può che essere Pazzini. Uno che ha la stessa resistenza di Tom Hanks in Cast Away. Non lo ammazza niente. Le critiche, i paragoni, l’acquisto di Balotelli, nulla. S.Siro non l’ha mai amato granché, non tanto per la provenienza nerazzurra, ma perchè arrivava dopo uno che si chiamava Ibrahimovic. Che voglio dire, sono cazzi. Come quando ti metti con una e l’ex era il cocco della famiglia. Che alla prima cena ufficiale tutti ti guardano e pensano: ma chi cazzo è questo? Dillo figlio di puttana che vuoi far soffrire la nostra bambina (è vero).

“Chi cazzo è questo” l’hanno pensato in molti anche di lui, ma intanto Il Pazzo ne ha già messe dodici. Già, con cento rigori e cinque in una botta sola (anzi, due) al Bologna. Ma dodici per una punta non sono mica pochi, cari miei. E ancora ne mancano di partite.
Insomma, frantumiamo la Lazie e iniziamo a pensare che fra dieci giorni siamo là in quella Catalogna che zio George Orwell tanto amava, e poi oh, vada come vada. Ma per questo S.Siro che inizia e riempirsi di nuovo, a divertirsi, a regalare le standing ovation al momento delle sostituzioni, serve appena qualcosa di più. Non siamo così scarsi come pensavamo ad inizio anno, ma una squadra forte è ancora un’altra cosa. Aspettando di capire com’è questo Salamon, serve un centrale forte e uno che a centrocampo abbia gli stessi piedi almeno, dico almeno, di Montolivo.
Insomma, gente buona, affidabile, almeno decente.
Non sto parlando di Cristiano Ronaldo e Radamel Falcao, dai.
Come diceva Fiordaliso, non voglio mica la luna.

* (Anche se non è nemmeno nella Top Five delle rivalità, battere la Lazie ha sempre un suo perché. L’anno chiave è il 97-98. Girone d’andata Milan-Lazie, segna Ba su vertiginosa triangolazione. Tutti felici: ci diciamo, la squadra c’è. Pareggio in extremis su rigore. Ci ammosciamo e il resto della stagione è un’infinita via crucis che trova il suo martirio nella finale di ritorno di Coppa Italia, in cui, lanciati da un altro rigore (regalato dall’arbitro, con un par de bottiglie pe’ festeggià – ma tanto in Coppitalia vale tutto) ci sparano tre gol in sette minuti e ci mandano a casa a mani vuote. Una delusione feroce, nel tabellino del mio cuore seconda a pochissime altre. Ma considerato che poi a Perugia l’anno dopo gli abbiamo scippato lo scudo con una formazione che aveva in campo Gigi Sala e Guly, forse non dovrei infierire)

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