Cronache dal dopobomba. Cap. VIII. Milan-Gobbi 1-0

Perché, io mi chiedo e mi domando, all’alba dei 40 anni ancora affronto le partite di calcio come se fossero tappe imprescindibili della mia vita.
Perché saluto mia madre nella solita visita della domenica e lei mi fa un carezza piena di comprensione come se fossi pronto a partire per il fronte delle Ardenne e non per andare a vedere 22 uomini in mutande che rincorrono un pallone. Perché mi incontro con i miei amici e ci scambiamo occhiate come quelli che hanno visto il peggio, ma sanno che il peggio non ha mai fine. Perché.

Me lo chiedo e me lo domando mentre salgo con brillante anticipo la scale di S.Siro, siedo al mio posto e intorno li vedo moltiplicarsi come delle larve di mosca su un cadavere. I gobbi.

Diciamocelo. Sono strani. Non sono come noi, certamente. Ovvio. Ma nemmeno come gli altri. A volte sospetto che abbiano tre teste, oppure le branchie o i tentacoli. Che in realtà usino fra di loro una lingua segreta che utilizza i grugniti e si esprimano in italiano solo con gli estranei. Del resto, se JG Ballard teorizzava i non-luoghi, loro ne hanno scelto il simbolo: la squadra della non-città. Gobbi che arrivano dalla Brianza, dal Veneto, dalle Marche, persino dalla periferia di Torino. Accenti strani, facce lombrosiane.

Insomma, non vorrei apparire inutilmente moderato: li odio.

Con tutto me stesso, da sempre. Da quando Galderisi ci rifilò una tripletta e condannò un Milan coraggioso e sfigato come quello del 1982. In realtà credo che mio padre mi abbia sventolato in culla una sciarpa della Giuve per farmi capire che quello era il Nemico. E trovarmeli attorno dà molto, molto fastidio. Sono ovunque. Si moltiplicano come una pianta infestante. In Cina non nascono i cinesi: nascono i gobbi. Li importano nottetempo su dei container avvolgendoli nei poster di Conte e Moggi. Questa è la verità.

E l’idea che arrivino qua a umiliarci mi getta nel più profondo rodimento di culo. Ma invece.
Avete presente la scena finale di Cuore Selvaggio in cui a Nicolas Cage appare la Madonna? Ecco: a noi è apparsa la nostra, illuminandoci di Grazia. Ovviamente sto parlando di lui: del Cigno. Il più grande di tutti. Un amore talmente grande che l’italiano non mi dà parole a sufficienza per descriverlo. Come il Papa Buono dava la carezza ai bambini d’Italia, MVB ci saluta e noi ci sentiamo tutti un po’ più forti. *

E accade il miracolo. Se non può essere il Milan degli Invincibili, almeno diventa una specie di versione moderna del Wimbledon di Fashanu e Vinnie Jones. Agonismo, agonismo e agonismo. Rabbia, orgoglio e guerra su ogni centimetro d’erba. Per ogni tifoso l’estasi. Nei primi 45’ teniamo botta, giochiamo meglio, passiamo anche in vantaggio, su un rigore che è bene dirlo, non c’era, ma allo stadio sembrava grande come una casa a tutti. Il secondo tempo è tutta sofferenza, ma di quella che allunga la vita. Ci teniamo per mano come nei giorni tristi, ma senza chiudere gli occhi o abbassare la testa. Come fanno i nostri in campo. A cui, senza se e senza ma, bisogna dire: bravi.
Bravi tutti. Perchè Marione è commovente e ti chiedi dove cazzo è stato fino a due anni fa, visto che c’ha già 36 anni. Perchè Montolivo si è preso la squadra sulle spalle e si è meritato la fascia di Capitano. Perchè Nocerino ha fatto Nocerino e questo basta e avanza. Perchè Mexes, per una volta, non ha fatto cazzate. Perchè De Sciglio è un miracolo che ti fa ricordare che un tempo Milanello forniva metà della formazione nostra e della Nazionale (Maldini-Baresi-Costacurta-Albertini). Perchè De Jong finalmente ha menato, ma con senso.

E poi perché ti chiedi dove possa trovare le riserve di energie quello là con la cresta. Che in 26 anni d’abbonamento non ho mai visto un attaccante fare il terzino. Anzi sì, Massaro in una trasferta a Verona. Solo che Sacchi l’aveva davvero schierato in quel ruolo: BipBip doveva coprire, salire sulla fascia e non strafare. Stop. Invece Il Faraone, fa tutto. Ad un certo punto ha recuperato la palla sulla nostra difesa come un difensore puro, poi è ripartito e ha fatto l’ala. Dopo uno scambio, era sulla loro tre quarti ed era tornato attaccante. Nella stessa azione. Oplà. Ci manca solo che stacchi i biglietti e venda i Billy in curva e poi fa tutto lui.

Finalmente finisce, dopo 50 minuti di indicibile sofferenza e di sostanziale inconsistenza avversaria. Ci abbracciamo come avessimo vinto il Mundial. Che atteggiamento provinciale verrebbe da dire. Ma ammazzatevi. I provinciali siete voi. E questa è la mia città. E adesso scusate, vado a fare incetta di copie di Tuttosport in edicola. Non sia mai che mi possa un giorno ritrovare senza carta igienica.

 

* (il Cigno ho avuto la fortuna di salutarlo tre volte. Quando ha giocato l’ultima volta a S.Siro in un anonimo Milan-Roma 0-0, quando ha segnato il suo ultimo gol, ad Ancona , in Ancona- Milan 1-3, e quando abbiamo perso a Monaco la finale contro una squadra così dopata che in confronto Armstrong ha solo preso delle aspirine. Non c’ero quando con la sua giacchettina di renna- in pieno Agosto- è venuto a dire ciao, a modi suo, in punta di piedi, senza esagerare. Anche per questo, e molto altro, ho dedicato la mai tesi di laurea a MVB)

2 Risposte a “Cronache dal dopobomba. Cap. VIII. Milan-Gobbi 1-0”

  1. Non si finisce mai di imparare: grazie alle Cronache del Conte Fiele, apprendo che anche Ballard ha teorizzato i non-luoghi. Io mi ero fermata a Marc Augè (e comunque ora e sempre abbasso i gobbi).

  2. conte fiele, tra le varie cose che mi sembra di capire che abbiamo in comune, scopro ora che c’è anche quella di aver dedicato la tesi di laurea a mvb. ti assicuro che è vero. l’ho fatto veramente.

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