Tredici!

Bonacina, Bonacina – tutto il giorno in bicicletta, fino a seeera, seeeeeera (cit.)

Quattro miliardi, 361 milioni, 350 mila e 475 lire: dopo oltre quarant’anni di prestigiosa esistenza, il 20 novembre 1988 il 13 al Totocalcio frutta una paccata di soldi come mai prima d’ora. Visto che per il SuperEnalotto c’è da aspettare un altro decennio, si tratta di uno sproposito, una follia, la vincita più alta della storia d’Italia. Merito essenzialmente di una sola partita: Milan-Atalanta 1-2, ovvero la neopromossa bergamasca che vince in casa dei campioni d’Italia e futuri campioni di tutto. E perdipiù con un gol a tempo scaduto – in questo periodo anche alcuni cardiologi passeranno di lì a poco un felicissimo Natale.

Iniziato con oltre un mese di ritardo a causa della concomitanza con le Olimpiadi di Seul, quello sarà il campionato della trapattoniana Inter dei record, già partita a spron battuto. Ma quei merli si faranno di lì a poco eliminare grottescamente in coppa UEFA dal Bayern Monaco (con tanti saluti al gol-di-Berti all’Olympiastadion), mentre il Diavolo, proiettato per costituzione più verso l’Europa che verso il tricolore, sta ora tornando in campo dieci giorni dopo le epocali e massacranti due giornate di Belgrado, dove nel return match contro la Stella Rossa ne sono successe di ogni: il gol di Savicevic, la nebbia a novembre, la sospensione e la ripetizione a 24 ore di distanza, Donadoni che rischia la pellaccia, l’arbitro tedesco Pauly che ignora un autogol jugoslavo con palla dentro di mezzo metro abbondante (al confronto il gol di Muntari sarà una roba sottile come una barzelletta yiddish) e le parate decisive di Giovanni Galli nei rigori finali. A inizio stagione, 180 minuti sul groppone non sono facili da smaltire e i correttivi di Sacchi sono quelli che sono: Rijkaard stopper al fianco di Baresi, l’imberbe Massimiliano Cappellini (17 anni) interno di centrocampo e Angelo Colombo ala destra in luogo dell’offeso Donadoni, che rientrerà solamente nel derby dell’11 dicembre.
L’Atalanta è una bella squadretta. L’anno prima è entrata nella storia come la prima (e tuttora unica) squadra italiana ad approdare in una semifinale europea pur giocando in serie B: i belgi del Malines le hanno spezzato il sogno di vincere la Coppa delle Coppe, ma in compenso la Dea è tornata in carrozza in serie A. Schiera giocatori dai nomi mitologici, memorabili per ogni buon appassionato di figurine: Luigino Pasciullo, Eligio Nicolini, Armando Madonna, Renzo Contratto, Costanzo Barcella e soprattutto il vichingo Glenn Peter Stromberg, presumibilmente responsabile di numerose gravidanze nella Bassa Bergamasca. Soprattutto ha uno sponsor misterioso, “Sit-in”, che non è un invito alla contestazione ma più padanamente un’azienda produttrice di erba artificiale.
La partita assume ben presto i classici contorni del tiro al bersaglio. Potete riguardare il tutto nel servizio della Domenica Sportiva firmato dall’azzimato Franco Costa, simpatico cane da compagnia della famiglia Agnelli, cui saltuariamente l’Avvocato concedeva qualche pomeriggio di libera uscita. Nei primi minuti Colombo colpisce la traversa a botta sicura, poi è Van Basten a combinare due sconcerie solo davanti a Ferron (che abbiamo già incontrato tre settimane fa, come portiere della sfigatissima Sampdoria 1999). Più leggero di dieci anni, Ferron viene colto dal tipico stato di grazia e beatitudine dei portieri di provincia in trasferta a San Siro (un’esperienza mistica vissuta anche da gente come Gianpaolo Grudina, Giuseppe Gatta e Pino Taglialatela) e sul finire del primo tempo abbassa la proverbiale saracinesca. Il Milan fa una fatica del Diavolo, si sfilaccia, getta nella mischia anche Lupetto Mannari e naturalmente viene purgato alla prima azione atalantina, al minuto 75: il califfo Stromberg lancia Nicolini che si fa beffe della difesa alta e mette al centro, dove Galli anticipa Madonna ma il pallone incoccia sul sacro torace di Kaiser Franz e ballonzola in rete: 0-1. Ad ogni modo, tre minuti dopo, una legnata tipicamente olandese di Rijkaard rimette le cose in parità.
Si va verso un anonimo segno X che garantirebbe comunque un 13 da sette-ottocento milioni, e invece il veleno è nella coda: punizione da destra del folletto Nicolini e colpo di testa vincente di Valter Bonacina, 24 anni, enfant du pays col numero 11 sulla schiena. Mentre scapriola felice sul prato di San Siro, non immagina ancora che il suo blitz al 91′ ha appena mandato in tilt nello stesso momento tre anonimi signori sparsi per l’Italia e tre rispettive ricevitorie: in via Revoltella 46 a Trieste, in corso Marconi a Fermo (Ascoli) e in una strada di Stampace, quartiere del centro storico di Cagliari. Quattro miliardi, 361 milioni, 350 mila e 475 lire a testa; ovviamente, mai nessuno è uscito allo scoperto. Che volete che vi si dica? Se qualcuno di voi tre sta leggendo, mandateci la fotocopia.

MILAN: G. Galli, Tassotti, P. Maldini, An. Colombo, Rijkaard, Baresi II, Cappellini (65′ Mannari), Ancelotti (71′ Costacurta), Van Basten, Evani, Virdis – All.: Sacchi
ATALANTA: Ferron, Contratto, Pasciullo, Fortunato, Vertova, Barcella, Stromberg, Prytz (89′ Esposito), Evair (57′ Madonna), Nicolini, Bonacina – All.: Mondonico

Arbitro: Pairetto
Reti: 75′ aut. Baresi II, 78′ Rijkaard, 91′ Bonacina

 

 

Pubblicato da Giuseppe Pastore

Pugliese, classe 1985, milanista di ferro. Prima partita di cui ho memoria: Milan-Barcellona 4-0. Ammetterete che poteva andarmi peggio. Qui sotto i miei contatti.

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